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Blitz

Dic 04 2020

Blitz

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Soltanto quindici milioni di incasso totale per un’opera d’arte cinematografica tanto attuale, che coinvolge il mondo della droga, la rutilante Londra in versione degradata, gli agenti di polizia oppressi da sindromi depressive, e quello degli psicopatici dal grilletto facile. Blitz è stato girato nel 2011 e vede rivestire i panni del protagonista, il pelato ma carismatico e prestante Jason Statham. Tale poliziotto-sergente abusa del proprio potere pestando un delinquente di basso calibro all’interno di una sala giochi.

Purtroppo tuttavia, il “delinquentuccio” in questione si vendica di ogni suo crimine perpetrando crescenti omicidi di poliziotti, che destano più scalpore proprio per il preavviso che l’assassino da ad un giornalista poco prima dell’uccisione.

Il binomio professionale che coinvolge Jason Statham, virile e quasi omofobico, proprio con un poliziotto omosessuale, si rivela come un’indovinata mossa artistica che indaga e colpisce il già pubblicizzato ed attuale “odio di genere”. Poi il tema del razzismo ben incastonato in questa trama dinamicissima giova all’adrenalina che scaturisce dalle peripezie delle vittime dell’assassino psicopatico. E inoltre la suspence per la lotta al fine di salvare la successiva vittima appartenente all’Arma dei poliziotti. Ella è un’agente donna di colore, divenuta tossicodipendente in seguito alle sue numerose operazioni di infiltrazione all’interno delle bande di spacciatori; poi c’e ‘ la salvezza della poliziotta afro operata proprio dal giovane spacciatore conosciuto durante un’operazione sotto copertura, il quale poco tempo prima di immolarsi per salvare la vita della donna, le aveva chiesto aiuto.

Insomma, nel riquadro dell’arte in generale, Blitz è un interessante esperimento che coniuga bene i temi universali con il desiderio di catarsi pubblico, e l’azione violenta contro gli assassini, gli psicopatici, magari contro i pregiudizi sociali verso i reietti occlusi nell’omosessualità, nelle discriminazioni di genere, di razza, di censo, e di lavoro. E proprio il lavoro, in cui il giornalista proposto nella pellicola, è metafora di superficialità professionale in favore di attaccamento venale pernicioso.

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