Arte impresa e Stato

La necessità manageriale oramai impellente, per il paese “italia”, sta nella salvaguardia oltre che valorizzazione ed affermazione, dell’arte manifatturiera intesa anche come mera creazione di oggetti, dipinti, creazioni artistiche di ogni sorta.

I fondi quasi obsoleti perchè decretati inutili e controproducenti, alla stampa assoggettata al potere economico privato, andrebbero assolutamente reinvistiti nel circolo reinventato di produzione artistica all’”italiana”, sopratutto in relazione alla proliferazione di dipinti, sculture ed ogni genere di agghindo che ha affermato l’egemonia italiana nella storia, anche attuale. Tanto importante, l’ausilio all’arte estetica, in tempi di decadentismo della bellezza, imbarbarimento della platea di consumatori, e affaccio di nuove forrme di produzione materiale artistica non belle e “riempienti” quanto la produzione totale del genio artistico italico. Dunque alla stessa stregua della stampa in passato, tutelare l’autonomia creativa, estetica, degli artisti e produttori di bella manifattura italiana, è compito prioritario di ogni governo attuale e futuro, in Italia.

La bellezza moderna e’ prossima nei manufatti, dovrebbe scaturire dalla vetusta ma avanguardista Italia; e quant mai categorico, questo processo, diventa allorchè vi sia un assalto verso le aziende e i creativi italiani di eccellenza artistica o meramente produttiva-vedi Pininfarina, Bugatti, Lamborghini, Bulgari, Gucci, Versace- in ultima istanza. E con la consapevolezza che i prodotti italiani sono i più contraffatti al mondo, imporre dazi ai paesi ed a coloro che alterano la qualità e l’originalità dei prodotti italiani, o semplicemente bloccarli con l’impiego dei servizi segreti nostrani, sarebbe un atto prioritario nella visione di riaffermazione ed espansionismo globale, di cui l’Italia produttrice e vice-locomotiva d’Europa, necessita…




Covid al Sud e la crescita o decrescita per l’Italia

CONTAGI AL NORD, CRISI ECONOMICA AL SUD: PERCHÉ IL COVID HA FATTO MALE SOPRATTUTTO AL MEZZOGIORNO

di Stefano Rizzuti
Il rapporto Svimez 2020 mette in evidenza le criticità emerse in seguito all’emergenza sanitaria ed economica dettata dal Coronavirus. Nonostante la prima ondata abbia riguardato soprattutto le Regioni del Nord, a pagarne le maggiori conseguenze dal punto di vista economico sono le Regioni del Mezzogiorno, con un Pil che crolla e non riuscirà a risalire più di tanto nei prossimi anni, ma con anche altri indicatori che fanno lanciare l’allarme.
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Una recessione senza precedenti. Che colpisce, ancora una volta, maggiormente il Mezzogiorno. Tanto che la Regione in cui il Pil si è più contratto è la Basilicata. Sono solo alcuni dei dati emersi dal rapporto Svimez 2020 sull’economia e la società del Mezzogiorno, dal titolo ‘L’Italia diseguale di fronte all’emergenza pandemica: il contributo del Sud alla ricostruzione’. Il Coronavirus viene definito come la “più grave crisi della storia repubblicana”, che al Sud “si è tradotta in emergenza sociale incrociando un tessuto produttivo più debole, un mondo del lavoro più frammentario e una società più fragile”. Il divario di sviluppo tra Nord e Sud continua a crescere, anche se Svimez sottolinea come sempre più Regioni del Nord, dopo Umbria e Marche, rischiano quella che viene definita una “meridionalizzazione”, con un timore che riguarda soprattutto Piemonte, Toscana e Friuli Venezia Giulia.

IL COVID, IL LOCKDOWN E L’IMPATTO SUL SUD
“La crisi seguita alla pandemia è stata un acceleratore di quei processi di ingiustizia sociale che ampliano le distanze tra cittadini e territori”, afferma la Svimez nel suo rapporto annuale, sottolineando che “la crisi si è scaricata quasi interamente sulle fasce più fragili dei lavoratori”. La perdita di occupazione causata dal Coronavirus colpisce soprattutto i giovani, le donne e il Mezzogiorno, con un impatto sui giovani che è stato più pesante nelle regioni meridionali. Altro problema che riguarda maggiormente il Sud è quello della precarietà, secondo Svimez. Inoltre il rapporto stima che “il costo del lockdown in termini di valore aggiunto si ridimensiona a livello nazionale al 36,7%”. Un costo più alto al Nord che al Sud. Infine, un’altra stima: un mese di lockdown è costato all’Italia 48 miliardi di euro, il 3,1% del più. Di questi 37 miliardi riguardano il Centro-Nord e solo 10 il Mezzogiorno.

IL CROLLO DEL PIL NEL 2020
Nel 2020 il Pil italiano, secondo Svimez, subirà una contrazione del 9,6%, con un calo maggiore al Centro-Nord (9,8%) e leggermente inferiore al Sud (9%). A fine anno il Pil del Mezzogiorno sarebbe più basso di quello del suo picco minimo del 2014 e inferiore di 15 punti percentuali rispetto al 2007, prima della crisi economica. Il crollo più alto del Pil si registra in Basilicata, dove si sfiora il 13%. A seguire ci sono Veneto, Molise, Emilia-Romagna e Piemonte, con una diminuzione superiore al 10%. Il calo meno marcato si registra invece in Trentino Alto Adige, Sicilia e Lazio.

LE PREVISIONI DEL PIL PER IL 2021 E 2022
La ripresa nel 2021 e nel 2022 sarà limitata al Centro-Nord, secondo la Svimez. Qui il Pil dovrebbe crescere del 4,5% nel 2021 e del 5,3% nell’anno successivo. Ben diversi, invece, i dati del Sud, dove la crescita sarebbe solamente dell’1,2% e dell’1,4%. Chiaramente Svimez sottolinea che l’incertezza è molta ed è difficile fare una previsione realmente attendibile, anche se vengono escluse le ipotesi di altri lockdown totali. Inoltre, queste stime non tengono conto delle misure del Recovry fund né della legge di Bilancio che, secondo il rapporto, potrebbe avere un impatto positivo soprattutto al meridione, con un +0,4% al Sud rispetto alle stime che non includono le misure previste dalla manovra. Nel 2021, inoltre, il rapporto sottolinea che la crescita maggiore del Pil si registrerà in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. Mentre la più bassa in Molise, Sardegna e Sicilia.

IL CALO DEMOGRAFICO AL SUD
Il rapporto ritiene che il Mezzogiorno sia destinato a un lento declino demografico: dal 2019 al 2065, secondo le previsioni, la popolazione italiana potrebbe ridursi di 6,9 milioni di abitanti, di cui ben 5,1 al Sud. Nel Mezzogiorno a pesare è quella che viene definita una fragile demografia che poggia su un altrettanto fragile tessuto economico. Il calo della popolazione riguarda soprattutto la componente in età da lavoro. Altro dato citato è quello del 2018, quando dal Sud si sono cancellati 138mila residenti, di cui 20mila che si sono trasferiti all’estero. E la quota più alta è quella dei laureati.

L’IMPATTO DEL REDDITO DI CITTADINANZA SUL
La Svimez sottolinea l’importanza del reddito di cittadinanza durante l’emergenza sanitaria ed economica. Secondo il report in assenza di questo strumento, il lockdown avrebbe potuto portare profondi disagi economici con conseguenti tensioni sociali. Secondo Svilmez “nell’emergenza sanitaria il reddito di cittadinanza ha contribuito significativamente a ridurre la platea dell’esclusione e della marginalità fornendo un reddito minimo garantito”. Anche se va sottolineato che l’impatto della misura sul mercato del lavoro è stato “scarso, se non nullo”. Nessun aumento del tasso di partecipazione al mercato del lavoro, quindi.

SANITÀ IN ZONA ROSSA GIÀ PRIMA DELL’EMERGENZA
Secondo il rapporto la sanità del Sud era già “zona rossa” prima della pandemia. Il divario di offerta dei servizi sanitari essenziali dipende da inefficienze e distorsioni, con uno squilibrio “drammatico” tra le Regioni italiane nell’attività di prevenzione. La distanza tra le Regioni del Sud e quelle del Centro e del Nord era evidente già dal 2018, con valori massimi intorno ai 220 punti per Veneto ed Emilia-Romagna e minimi dai 170 in giù per Campania, Sicilia e Calabria.

LO SMART WORKING DIVENTA SOUTH WORKING
Altro fenomeno analizzato è quello dello smart working al Sud, con tanto di definizione del south working in riferimento a quei lavoratori impiegati in aziende del Centro o del Nord che si sono trasferiti al Sud approfittando del lavoro agile. Gli addetti che lavorano in smart working dal Sud sono 45mila, secondo i primi risultati di un’indagine realizzata da Datamining su 150 grandi imprese con oltre 250 addetti. Un dato che potrebbe essere solo parziale, perché non tiene conto delle piccole e medie imprese, più difficili da rilevare.

LINK: …https://www.fanpage.it/politica/contagi-al-nord-crisi-economica-al-sud-perche-il-covid-ha-fatto-male-soprattutto-al-mezzogiorno/




Come salvare il 5 g e la popolazione mondiale

Sebbene sia stato acclarato il fatto della perniciosità delle radiazioni elettromagnetiche negli uomini, è palese anche quanto bloccare o elidere lo sviluppo della connessione ultraveloce possa essere economicamente deleterio. Senza alludere alla diffusione di epidemie virali, non batteriologiche, in concomitanza con la capillarizzazione di onde elettromagnetiche, il modo per salvaguardare e coniugare tecnologia e popolazione, consiste nell’installazione collettiva di sensori schermanti dell’elettromagnetismo. se ognuno avesse sempre con se uno strumento già esistente, che ridimensiona le onde 5 4 e 3 g in onde 2 g innocue, il problema di smantellamento del 5 g e del portato economico ad esso corollario, si vanificherebbe. I rischi della salute umana sottoesposta all’ellettromagnetismo verrebbero sgretolati e sopratutto verrebbe salvaguardata la tecnologia con lo sviluppo economico annesso.

Siccome si anela a livello strutturato e globale, alle pratiche del transumanesimo imperante, dotare ogni individuo di un sensore schermante per le onde elettromagnetiche, applicare sul portafogli magari, si rivelerebbe una pratica transumanistica non aberrante e non invasiva. I dispositivi schermanti per il 5g non vengono pubblicizzati e diffusi ma sono in possesso di gruppi facoltosi e potentissimo di individui all’apice del potere; per cui obbligare la politica o chi per essa a fornire un dispositivo gratuito o semigratuito alla popolazione mondiale, un dispositivo, per così dire “salvifico”, si rivelerebbe un segnale di pace, distensione e pacifica ibridazione di transumanesimo ed etica.

infine le onde elettromagnetiche che oberano l’aria che respirano le persone, sono letali in ottica vaccini, siccome quest’ultimi contengono gruppi di elettroni che, attivati dalle onde elettromagnetiche, indeboliscono progressivamente il sistema imminutario, ed a richiresta possono causare amnesie, demenza o morte immediata, oltre che alla cancellazione della memoria: senza auspicare guerre civili e stragi popolari, depurare i vaccini dei tali quantum dots, ossia gruppi di elettroni, e diminuire con dei chip la potenza delle onde elettromagnetiche, scongiurerebbe decimazione sia della popolazione mondiale che della crescita economica




Il segreto di Amazon

Ci si chiede da più fonti quale sia il trucco di Amazon, nell’aver Bezos, il proprio fondatore, l’uomo più facoltoso del pianeta, ed in un arco temporale più breve rispetto agli abilissimi Bill Gates e compagnia, fatto superare ad Amazon appunto, le principali imprese a livello di valore assoluto.

Amazon guadagna in borsa, in base alle proiezioni di mercato, le quali preconizzano un mondo disposto a pagare l’alta cifra di oltre cento dollari annuali, per assicurarsi un ventaglio di prodotti e servizi oggi acquistati esclusivamente da minoranze di persone economicamente fortunate. Jeff Bezos, proprietario ufficiale di Amazon, è il paradigma di management economico, in grado di fidelizzare una crescente clientela nel pagare cifre cospicue per assicurarsi beni e servizi considerati come “indispensabili”. Indispensabili solo in quanto irrinunciabili per costruire o stabilizzare il proprio personale equilibrio fondato sul concetto esacerbato di consumismo che ha permeato tutti.

Oggi l’importanza di un prodotto e di un management, vengono decretati dal livello di percezione con cui un numero crescente di consumatori, considera indispensabile il bene da esso prodotto.

Siccome bisogna, per questioni di salvaguardia mondiale, pensare in maniera antitetica al consumismo imperante, il punto cardinale imperniato sull’eccellenza di un management e di un prodotto/servizio, sta nel rendere indispensabili prodotti e servizi, realmente utili, costruttivi e avvicinabili, dal punto di vista comunitario-, in alternativa a ciò, il mondo si avviterebbe in una spirale autodistruttiva, in cui l’emblema della democrazia e della dignità individuale, sarà emarginata allo stato di utopia, in una società demoniaca…




Bansky migliore e pazzo artista antiglobalista

Bansky e’ un egregio paradigma di arte pittorica coniugata nei postmoderni graffiti e nell’arte “ stradale”; ma e’ sopratutto il sommo rappresentante dell’anticonformismo artistico che si palesa nelle invettive figurative alla politica, alla deontologia inappropriata di oggi, alla celebrita’ ed alla prosperita’: infatti Bansky e’ un pittore di cui si conosce solo l’eta’ quarantennale anziche’ l’identita’, oltre che la nascita inglese, presso Bristol.

La provocazione, i richiami alla morale, la critica politica ed economica fanno da soggetto alle creazioni del principale esponente della stencil art, che ha dipinto il muro di separazione tra Israele e Cisgiorndania, con molteplici icone di bambini atti a sorvolarlo, oppure a crearsi una breccia per gustarsi il paesaggio libero da ombre. Ed e’ quel muro decretato antitetico ai diritti umani dal tribunale dell’Aia del 2004, ad aver reso l’azione di questo pittore eclettico, davvero degna di lode, in ottemperanza a cio’ di cui e’ capace l’arte se utilizzata da uomini liberi ed anticonformisti. Di Bansky colpisce ancora la facile ermenutica e la comprensibilita’ delle creazioni, che hanno riproposizioni di immagini pubblicitarie con stile pittorico e colori grigio-scuri, popolate da disparate forme di vita, animali e antropomorfe. Ma cio’ non limita all’artista di espandere il suo credo anticonformista ed antiglobalista allorche’ ha dipinto il celeberrimo “Show me the Monet”; questa creazione mostra un paesaggio perfettamente uguale a quelli monetiani sul lago, con il ponte, ma spezzato da un cono stradale e carrelli delle spesa distorti. La colorazione uguale a quella di Monet afferma le alte doti pittoriche di questo colossale artista. Lo stesso pittore che porta alcuni suoi quadri nei principali musei e consessi artistici, in aperta critica con la capacita’ economica che impone i propri gusti figurativi e riserva ai soli facoltosi la opportunita’ di gustare ed acquistare opere di pregevole fattura. Bansky non consente riproduzioni delle sue opere ma sovente le lascia in fruizione e in proprieta’ nei luoghi pubblici dove le compone e le espone.

Le opere principali di questo artista poliedrico sono il Fallng shopper in cui ritrae una donna in scuro dai capelli irti, la gonna stile tailleur e i tacchi, che affonda in un abisso assieme al suo carrello della spesa. Un consumatore questo, prettamente inglese e preda di quel sistema globalizzatore che ha trovato un nuovo slancio nei supermercati in cui il cibo da necessita’ diviene bene di moda e largo consumo connesso con le dinamiche del potere e del denaro. Questa donna che cade e porta in un abisso amorale il suo carrello della spesa, e’ forse l’icona di quella ventura fine del mondo, paventata dagli esponenti della salvaguardia delle risorse mondiali rispetto al commercio inveterato delle stesse per fini sopratutto o soltanto economici.

Ancora no ball games e’ il vero e proprio manifesto banskyano contro il proibizionismo e le violenze sui bambini, relativamente al divieto posto loro di giocare con la palla all’ombra di un muro, figure oscurate dal Grande Fratello odierno, forse, tuttavia l’ilarita’ dei soggetti che traspare dalla luce oscurata e si riflette sull’ombra del muro, e’ il manifesto della spensieratezza dei bambini da salvaguardare; bambini che riescono a sdrammatizzare i fenomeni malsani del sociale e vi fanno fronda allorche’ giocano con i cartelli di divieti alla stregua di un pallone.

In Sweeper invece, Bansky ritrae quella parodia del mondo occidentale, in particolar modo, allorche’ una donna vestita in un misto fra tata e cameriera otto-novecentesca, spazza e ripone la polvere su un muro pieghevole nei lembi, alla stessa stregua di un tappeto. E sara’ proprio questa focalizzazione del muro a rendere l’artista di Bristol un palladio antisionista, antisoprusi ed in grado di ibridare alla perfezione atmosfere, personaggi e temi del passato, con la drammaticita’ e le icone del presente, in tipica capacita’ universalista e metatemporale.

Cosi’ da artista poi personaggio indiscreto e scomodo, Bansky diviene per necessita’ il principale rappresentante della tecnica pittorica dello stencil, ossia la facolta’ di mettere colore su disegni gia’ elaborati in studio, in grado di renderlo produttivo e imprendibile per la polizia: infatti Bansky finisce i murales in quindici minuti per mezzo della composizione del disegno su lastra solida che deve solo riempire di colore…




Il grande Reset

Alla luce del fatto che di Covid e forme pandemiche analoghe si parlasse dal 1994 presso dibattiti della Fondazione Rockfeller, è opportuno addentrarsi nel corollario della situazione che oggi obbliga a restare in casa e non lavorare: il Grande Reset, ossia unsa decostruzione dell’economia mondiale contemporanea attuabile con un virus artificiale e capillare al fine di cancellare i debiti insostenibili e ripartire con emolumenti scarsi ma fissi ed infiniti, in cambio di transumanesimo, degradazione culturale, rinuncia al dissenso e alla iniziativa individuale.

il future organizzato e preconizzato dalle oligarchire finanziarie e grand’industriali, infatti, poggia sull’impossibilità di ripsagare i debiti e sull’opposizione di tali oligarchie nel cancellarli. Dunque per cancellarli ed assicurare un reddito alla popolazione, vengono concretizzatre sofisticate leggi per gli anni a venire, in cui le persone dovranno cedere, nel caso lo richieda lo Stato, le loro proprietà individuali in quanto la nazione è oberata dai debiti e dall’indigenza. nello Smantellare l’iniziativa privata, ovvero la piccola e media impresa, le grandi cricche di potere antepongono un reddito universale grosso modo dignitoso ma anche l’obbligo legale di acquistare in forma informatica dalle mastodontiche multinazionali in loro possesso. Ancora per Grande Reset si vorrà digitalizzare le identità individuali, con tanto di vaccini teleologici a strumenti per accedere ai servizi pubblici e privati: Il Grande Reset si è calcolato di ottemperare in uno scenario di degradazione culturale in cui il sistema educativo pubblico cederà il posto a quello privato, in cui aprioristicamente si deciderà cosa insegnare e cosa no, da parte delle cricche di potere in questione. Dunque uno degli obiettivi del Grande Reset consiste nello smantellamento della classe media oltre che del settore pubblico, il quale cederebbe il posto allo stesso potere privatistico centralizzato contemporaneo.

oltre all’obbligo vaccinale con l’immissione di elettroni attivabili da impulsi elettromagnetici per indebolire o uccidere, il Grande Reset ha predefinito di assegnare ai cittadini dei punti in base al loro rispetto delle prescrizioni: per i ribelli ci sarebbe il blocco del denaro, dell’identità e dei diritti sociali. Ancora verrà deciso di operare un taglio salariale in occidente per renderlo uguale all’oriente cinese, indiano e schiavizzato. infine sul terreno della religione si vuole operare un suo totale ridimensionamento ed annichilimento in favore dei dogmi del globalismo, dei diritti lgbt volano di distruzione delle famiglie, dell’autorità pubblica e genitoriale, in ottica di promozione della pedofilia. Il Grande Reset vuolre l’ibridazione di uomini e macchine per mezzo di sensori sottocutanei quali strumenti di controllo, attribuzione delle decisioni e del lavoro a macchinari centralizzati dalle stesse masnade alto industriali e finanziarie, in ossequio all’obiettivo di riduzione drastica della popolazione mondiale.

il Grande Reset necessita dell’America per sottomettere il mondo con la scusa dei debiti impagabili e della mancanza di risorse monetarie, per cui finchè Trump e Putin, unici bastioni a tali poteri disgregatori, non coopereranno con la restituzione a Trump dello scranno di presidenza, il covid continuerò assieme al lockdown; alla stregua del covid e del lockdown nel mondo tuttavia, senza la fine dell’elezione Usa e la restituzione dello scranno presidenziale a Trump, rimarrà ingessato anche il piano omicida del Grande Reset




Agenzie di rating: contraddizioni e illegalità

Si chiama Capital World Investment. Si tratta di una delle maggiori società di gestione del risparmio americane. E alla domanda più ricorrente di questi giorni, cioè «chi sta dietro le agenzie di rating?», può permettersi di alzare non una ma due mani. Capital World Investment è infatti contemporaneamente il primo azionista di Standard & Poor’s (detiene il 10,26% della casa madre McGraw Hill) e il secondo maggiore socio di Moody’s (con il 12,60%). Moody’s e S&P sono concorrenti sul mercato, certo. Ma a Capital World Investment non importa: ha comprato 28 milioni di azioni della prima e 30 milioni della seconda. Giusto per non rischiare di sbagliare, ha puntato su entrambi i cavalli.

La stessa filosofia ha guidato Vanguard Group, i fondi Blackrock, State Street e molti altri: tutti questi grandi investitori Usa ‐ secondo i dati Bloomberg ‐ figurano infatti tra i principali azionisti sia di Moody’s, sia di S&P. Insieme a tanti altri fondi o banche. Questo crea, potenzialmente, un cortocircuito: tutti questi investitori sono da un lato azionisti dei due big del rating, ma dall’altro sono anche utilizzatori dei loro stessi rating quando acquistano obbligazioni sul mercato. Il conflitto di interessi è evidente. Le possibili pressioni anche. I big del rating ‐ ha sentenziato ieri il commissario europeo Olli Rehn ‐ «giocano secondo le regole del capitalismo finanziario americano». Ovvio, si potrebbe aggiungere: hanno l’intero capitalismo finanziario americano come azionista…

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Errori e conflitti di interesse 

Che i colossi del rating siano intrisi di conflitti di interesse è risaputo. Il più noto è legato al fatto che Moody’s S&P e Fitch sono pagati dalle stesse società che devono valutare. Questo solleva da sempre sospetti di ogni genere: in tanti sono convinti che le agenzie di rating abbiano per esempio assegnato alle cartolarizzazioni di mutui americani voti troppo benevoli proprio per ‘coltivare’ i propri clienti. Per compiacerli. Per tenerli buoni. Le agenzie di rating si sono sempre difese su questo fronte: Moody’s e S&P valutano insieme più di due milioni di società, Stati o prodotti strutturati. Questo rende quasi ininfluente ‐ secondo la loro difesa ‐ la singola commissione percepita per il singolo rating. Sta di fatto che il conflitto resta. E che ogni errore, anche quando commesso in buona fede, sarà sempre guardato con dietrologico sospetto.

Ma quello degli azionisti è forse il conflitto più macroscopico: i grandi soci di Moody’s e S&P, come visto, sono in gran parte i fondi che usano i rating per investire, oppure sono banche che alle stesse agenzie chiedono un voto quando devono emettere obbligazioni. Questo conflitto è stato sollevato anche dalla Sec, l’Autorità di vigilanza Usa, che lo scorso settembre ha segnalato: «Due delle maggiori agenzie non hanno specifiche procedure per gestire il potenziale conflitto di interessi quando una società loro azionista chiede un rating». È vero che S&P ha declassato anche il rating Usa (sollevando l’ira di Obama), ma tutti questi conflitti irrisolti sollevano in molti le più disparate teorie del complotto.

Opinioni troppo pesanti

Si potrebbe obiettare che nel mondo della finanza nessuno è privo di conflitti di interesse. Le banche ne hanno molti di più: quando l’analista di una grande investment bank esprime un giudizio su qualche società quotata in Borsa (anche solo i consigli di comprare o vendere le sue azioni), è forte il sospetto che lo faccia perché la sua banca è creditrice di quella stessa società. Quando l’economista di una banca si esercita in previsioni sull’economia di vari Paesi, è altrettanto forte il sospetto che la stessa banca per cui lavora abbia un’esposizione su quello stesso Paese. Eppure nessuno si scompone quando Morgan Stanley, oppure Goldman Sachs, effettuano previsioni sull’Italia o sulla Francia.

Perché invece i tanto vituperati giudizi di Standard & Poor’s, Moody’s o Fitch sollevano così tante reazioni? La risposta è semplice: perché quei voti che le agenzie di rating assegnano, vanno a condizionare le politiche d’investimento di tutti i fondi del mondo. Insomma: perché le decisioni delle agenzie di rating ‐ giuste o sbagliate che siano ‐ vanno a creare una serie di effetti automatici a catena che rischiano di avvitare la crisi.

Ecco perché. I fondi operano sulla base di mandati molto stretti: alcuni di loro, per esempio, possono comprare solo obbligazioni con un rating superiore alla ‘Tripla B’. Quando un bond viene declassato, e il suo rating scende sotto quella soglia, tutti questi fondi sono dunque costretti a venderlo. È così che la decisione di un’agenzia di rating ‐ cioè un’opinione ‐ va a condizionare, nello stesso momento, le decisioni di milioni di investitori in tutto il mondo. Forse, dunque, il problema è tutto qui: possibile che il rating sia, in tutto il mondo, il parametro principale su cui basare gli investimenti?

il problema cardinale del mondo dunque, consiste nelle privatizzazioni selvagge di ogni ramo produttivo strategico e di controllo di pertinenza pubblica. sottrarre lo Stato dalla discrezionalità dei privati che di proposito ordiscono crisi e speculazioni, consiste nell’arma salvifica a disposizione dei popoli. Così costituire agenzie di valutazione finanziaria pubbliche e negare a soggetti con conflitti d’interesse di operare sullo stato, rappresenta la soluzione a tutti i problemi principali della società.




Whirpool complice della camorra. Di Maio si arrende alla multinazionale; la camorra assumera’ i nuovi disoccupati




Sabino Addezio e la giovane arte figurativa

I fermenti artistici contemporanei che invadono Napoli oggi, sono fenomeni davvero entusiasmanti che colpiscono grazie al brio ed alla profondità sensoriale che la permeano.

Sulla scia del fenomeno mondiale a nome Jorit, che unisce i murales con la notiziabilità politica senza deporre il “sublime”, ho scoperto stocasticamente la potenza espressiva di un giovane artista dal doppio lavoro e le ampie vedute: Sabino Addezio traspone un brio creativo tipico dei pittori   più sensibili e spregiudicati. Non mi sento di annoverarlo nel gruppetto trasgressivo cui appartiene il Jorit, per il fatto che lo spettro della politica non si riscontra nelle sue opere. Bensì è la ricercatezza analitica e la vividezza della pittura con accenni da cartoon, che mi fa ritenere il ventitreenne partenopeo, un concentrato di potenzialità che può rendere magnetica la sua produzione, al pubblico dallo  sguardo alieno all’arte figurativa.

Attualmente il giovane espone alla galleria Vanvitelli nel quartiere nobile collinare del capoluogo campano, e si è imposto all’attenzione di buoni galleristi di Roma.

Classificatosi secondo in importanti competizioni combattute da personaggi ben più esperti ed anziani di lui, la carrellata di soggetti realizzati da Addezio, balenano facilmente alla mente; il dipinto del feto interconnesso allude sopratutto alla massiccia informatizzazione di massa, con un bel puttino variopinto, e vicino nuvolette raffiguranti dispositivi tecnologici già dentro il grembo materno; microspermatozoi vagamente accennati in lontananza, tanto per “discettare” con il disegno, su un fenomeno contemporaneo di importanza e perniciosità totalizzanti.

E questo vien dipinto con uno stile che fonda la pittura giovanile simile ad un neo manga, con la creatività e l’iconografia tipiche dell’epoca post post moderna; allorchè i colori sgargianti ma vividi e moderni, dettano le regole per un’arte di qualità, di largo utilizzo, gran consumo, e sopratutto non inaccessibile. Qualcosa che non alieni la riflessione ma nemmeno l’ottimismo che deve continuare, nonostante tutto, a pervadere nell’uomo contemporaneo schiavizzato dai social e dall’imperante sistema produttivo del “Matrix”. 

In Addezio trova spazio anche la figura di Gemini trasposta nella dimensione sessuale e coniugale di oggi, allorchè non si sceverano bene i contorni fisiognomici dell’uomo e della donna, nucleo famigliare fondamentale ed interconnesso, ma sopratutto interdipendente in uno scenario di virtù e stabilità. Il che si può dedurre liberamente da un rosso fulvo che sembra emblematico di un connubio di amore e fuoco passionale, in cui avviene la dialettica quotidiana della vita  e della lotta per la sopravvivenza. Dipinto animistico, spirituale ed astrattista, quest’ultimo, che lascia intravedere le potenzialità di un ragazzo dalla forte vocazione artistica, nonchè dalla grande ricercatezza deontologica, che come tanti consimili, merita di esprimersi sui palcoscenici artistici di prestigio; proprio per questo suo magnetismo pittorico, merita L’Addezio, un rilievo ampio, per mezzo di quel magnetismo che attecchisce anche sul pubblico di massa, non grande estimatore e compratore di arte figurativa originale.

Senza eccedere nel panigirico, osservare il Gallo dall’uovo d’oro in antitesi ai riciclati temi animali o a quelli delle nature morte, fa notare l’affronto ideologico di questo creativo, ai canoni preimpostati che vogliono gli artisti seguire certe linee già trattate. Qui confondere l’animalismo, la natura sottoforma di alimento, l’economia legata allo sfruttamento animale, rende un quadro vagamente politico asintotico, che sfiora anche il tema tanto attuale dell’ambiguità sessuale; la medesima ambiguità che ha reso immortali tanti dipinti epigoni della Gioconda, con il suo portato di intima ambiguità spirituale.  




Agonismo senza vittoria per tornare a star bene

E’ importante fino ad essere vitale il mantenimento del benessere, non soltanto economico, ma quello collegato alla serenità di non dover dimostrare niente a nessuno; il benessere inteso come stabilità dovuto all’appartenenza presso una società egualitaria. Non per incedere ad alcun vortice neocomunisteggiante, ma focalizzando l’attenzione sul benessere e sulla stabilità individuale, bisogna affermare che una società fondata come oggi sull’antagonismo financo agonismo, è depravata. Va bene premiare i migliori, ma i migliori stessi si ammalano di individualismo esasperato per mantenere inalterata la propria posizione egemonica.

Il benessere pertanto non è più oggi, un fattore del singolo bensì affare collettivo, ecco perchè stimolare un’agonismo senza cedere all’enfatizzazione delle vittorie, risulta una base di salvezza per chiunque al mondo.

L’importanza dell’egemonia come quella decantata del calciatore Ronaldo, porta con sè messaggi fuorvianti ai giovanissimi ed alla società in generale. Si tace, infatti, quando si trattano i vari Ronaldo, Federer e Bill Gates, dei danni loro collaterali che si portano dentro, e dietro la propria leggenda. Dunque una società riorganizzata secondo criteri di competizione pura ma non fondamentale, giocherebbe un ruolo primario nel riequilibrio della stabilità globale. Quella stabilità messa in continua discussione da nuovi “attori”, e che fomenta il ricorso a psicofarmaci e terapie rigeneranti, per sentirsi paradossalmente meglio. Ma il “meglio” ed il “peggio”, nell’umore collettivo, è deciso da terzi oggi, in assenza di problemi strutturali neuropsichici.