Napoli: nega incidente e scatta la causa

Lo Stato italiano ha istituito un fondo finanziario peculiare, chiamato a risarcire gran parte delle fattispecie di “danneggiati” da auto o motocicli sprovvisti di assicurazione, oppure in relazione a danni economici superiori al milione orbati, pertanto, da copertura Rca. Ma a Napoli e’ successo un pò di tempo fa, eppure emerso solo ora, un episodio tanto inusitato quanto bislacco, che ha coinvolto il maresciallo della polizia di Chiaia, alcuni suoi sottoposti, un giornalista disabile ed un altro automobilista scevro da copertura assicurativa. Il tutto condito da un abuso di potere da parte del maresciallo della polizia di Chiaia: quest’ultimo ha confiscato il contrassegno di handicap al proprietario della vettura in seguito danneggiata dal succitato automobilista scevro di assicurazione. 

Partendo con ordine, la vettura del disabile, regolarmente registrata per passare nelle zone a traffico limitato quali la famigerata via Caracciolo sede del Lungomare, era guidata dalla compagna del giornalista con a bordo un minore di sei anni, in procinto di prelevare il disabile, giornalista, da una visita fisioterapeutica presso Corso Umberto I. La macchina, a causa del ritardo, è penetrata per velocizzare, proprio a via Partenope “asserragliata” rispetto auto diverse da quelle dei residenti, dei tassisti, degli operatori sanitari, dei lavoratori correlati con i ristoranti dirimpetti al mare, di coloro affetti da disabilità. Così il maresciallo della polizia, posizionato ravvicinatamente ad uno dei numerosi ristoranti panoramici, si è premurato di fermare la macchina, affermando che non avesse il permesso di passare. L’autista cittadina europea con nazionalità portoghese, si è premurata di replicare che la vettura fosse in possesso di ogni tipo di permesso, ma il poliziotto ha virato su una ipotetica incompatibilità tra la patente della donna portoghese e la legislazione italiana. Così la signora, leggermente infastidita, ha dimostrato che, essendo la sua una patente europea, non fosse impossibilitata a guidare in Italia. Alchè il maresciallo, apparentemente tracotante ma piccato, ha fatto accostare la macchina con minore a bordo-tra l’altro affamato- temporeggiando per circa cinquanta minuti tra controlli incrociati e la ricerca di un appiglio da sanzionare. La guidatrice a quel punto, a causa del ritardo nella presa a bordo del disabile proprietario del veicolo, amareggiata e provocata dall’atteggiamento del maresciallo, ha iniziato a rispondere in modo discretamente aggressivo ed ai limiti dell’offesa, che tuttavia non è stata pronunciata.

Il maresciallo ha infuriato il diverbio sostenendo che la signora guidasse a velocità elevata per un a ztl in cui sono estremamente pochi, i mezzi transitanti, ma l’autista si prodigava nello smentire tale tesi, con toni da parte dei due litiganti, che crescevano velocemente di intensità ed accuse. Dopo circa un’ora il maresciallo ha optato per una duplice multa del valore di quasi duecento euro, poggiante sul fatto che il bambino fosse seduto avanti e fosse sprovvisto da cintura di sicurezza. Ma la gravità di ciò è stata la confisca del poliziotto, proprio del  contrassegno di invalidità, affermando di volerlo restituire solo  al diretto interessato.

Il disabile in questione ha dovuto attendere per circa un’ora il passaggio, ma in seguito si è dovuto personalmente recare al posto di blocco per recuperare il proprio tesserino, allorchè si è visto testimone di un ultimo alterco, stavolta lapalissiano, tra la compagna ed il medesimo maresciallo: quest’ultimo  ha insistito rimarcando gli illeciti della compagna del giornalista dsisabile, smentiti strenuamente da quest’ultima, esimendosi dal cancellare la salata sanzione, e difendendosi dalle accuse di non imparzialità e dispettosità, nonchè abuso di potere; da qui accuse scagliatogli dalla diretta interessata,  ma apostrofata come vecchia e melensa dinanzi al compagno, a quel punto totalmente impotente.

Nel mezzo dello scontro verbale che ha chiamato in causa il giornalista disabile che è dovuto tornare personalmemnte al posto di blocco per riottenere il tagliando disabili, si è visto comminare una doppia ed alta multa in cui egli non c’entrava nulla, oltre oltre alle dirette offese verso la sua compagna dinanzi ad un bambino di sei anni;la sua auto parcheggiata nelle vicinanze del posto di blocco in cui stavolta stazionavano il maresciallo e due collaboratori ben comprensivi ed educati, ebbene l’auto del giornalista è stata sfrisata da un veicolo diruto, di proprietà di un ragazzo apparentemente trafelato, fuggito in un ristorante limitrofo e propenso a non scusarsi del danno. Sfrisatura tuttavia avvenuta davanti alla compagna del proprietario disabile della vettura, la quale ha fotografato la targa ed in seguito disposto una denuncia di risarcimento tramite Generali, ente assicurativo che copriva la macchina danneggiata. 

L’assicurazione Generali, in seguito aver ricevuto la denuncia per risarcimento danni del cliente disabile che si era imbattuto nel maresciallo della polizia di Chiaia che ha sanzionato con due costose multe la compagna a bordo della sua vettura, intestata a lui; è emerso da Generali che la macchina autrice della sfrisatura per circa mille euro alla macchina del giornalista a mobilità ridotta, era senza Rca. Dunque l’imminente denuncia al Fondo vittime della strada di proprietà proprio di Generali, affidata al rinomato studio napoletano collaboratore di Generali, Gespra, da cui è emersa una controdenuncia dell’autore del danno al veicolo, il quale ha negato il danno, la dinamica e la narrativa del sanistro, attribuendo al disabile ed alla compagna, la reità di tutto ed una sorta di farneticazione in merito alla vicenda intera. Solo  che i controaccusati disponevano di foto e testimoni, mentre il responsabile del nocumento era senza Rca. Di conseguenza Gespra ha sporto denuncia con querela, cui i colpevoli affidati ad uno studio legale che per alcuni è truffaldino, hanno cercato di dpanare la questione offrendo una somma di denaro molto inferiore al danno, sotto la supervisione di un loro perito. La causa prosegue, binariamente alla certezza del risarcimento danni, solo che il tempo è straordinariamente procrastinato, a causa della lentezza della magistratura e della smodata richiesta, a Napoli, di risarcimenti dal fondo vittime della strada di Generali: esistono reclami mendaci nella maggioranza dei casi, a Napoli, per ipotetici incidenti sulle scale mobili, che si aggirano sui sessanta milioni. Mentre solo un quarto della popolazione napoletana, risulta a norma con l’assiocurazione veicoli.

Il disabile vittima di abuso di potere del poliziotto, di contrattacco da parte del denunciato, di graffiatiura evidente della auto, dello stallo dei giudici, ha ammesso diu aver dovuto ricorrere ad un finanziamento, per ripararsi autonomamente, la sua macchina.

Vocabolario

*Inusitato: inaspettato.

*Bislacco: molto strano.

*Nocumento: danno.




Cooperazione Napoli-Brasile e sfilata

PRESENTAZIONE DEL PROGETTO
“LE MERAVIGLIE DELLA CAMPANIA NEL MONDO”

Un evento che promuove gli interscambi commerciali e culturali nel mondo.

Il giorno 24 Febbraio 2023 alle ore 11:00 presso la sede dell’AVPN, Associazione Verace Pizza Napoletana, Via Capodimonte, 19a, 80131 Napoli si terrà la conferenza stampa di presentazione del progetto “Le meraviglie della Campania nel mondo” Evento socio-culturale enogastronomico che ha l’obiettivo di promuovere ed esaltare le eccellenze, organizzato dall’Associazione I’mperfect in collaborazione con l’Associazione Verace Pizza Napoletana della quale è Presidente Antonio Pace.
Conduttore della mattinata sarà Erennio De Vita, presentatore ufficiale in Campania del concorso nazionale Miss Italia. L’idea nasce dalla volontà di esaltare le eccellenze Campane in un confronto e scambio culturale/sociale e commerciale con altri Paesi del mondo.
Obiettivo principale infatti è quello di favorire la commercializzazione di prodotti di alta qualità tra i due Paesi. Ogni anno ci sarà un gemellaggio con un Paese in cui la AVPN ha una scuola di pizzaioli per suggellare ed implementare gli interscambi relativi all’ artigianato e alle eccellenze dei singoli Paesi. Si parte quest’anno con il Brasile terra di colori, cultura e folklore e dove la Verace Pizza Napoletana trova grande apprezzamento e crescita di consumi. La scelta della location della presentazione nasce dal fatto che la AVPN ha in Brasile due scuole per pizzaioli ed è un great development. L’evento/progetto si terrà nel mese di Giugno 2023. La manifestazione, verrà dedicata ogni anno ad una nazione diversa nella quale l’associazione dei pizzaioli veraci è presente con la propria scuola.
In rappresentanza del Brasile sarà presente Fernanda Bordone giunta da Rio de Janeiro per curare l’interscambio di rapporti Italia Brasile che ne potranno scaturire.
Collaboreranno nell’ospitalità gli alunni dell’Istituto d’istruzione superiore Adriano Tilgher di Ercolano (NA). È attesa la presenza di autorità, giornalisti, fotografi ed emittenti tv.

Sponsor: Gennaro Galeotafiore titolare di “Sapori di Napoli”, unitamente alla Lady Chef Loredana Errichiello titolare del ristorante “TrattoBianco” di Santa Maria a Vico. Vincenzo Avitabile titolare di Terre Pompeiane con Babà Rè; Ciro Poppella titolare dell’omonima pasticceria; Benito e Arianna Di Costanzo titolari dell’omonima azienda vinicola; i Bartender Professional dell’A.I.B.E.S. (Associazione Italiana Barman e Sostenitori), Luigi Gargiulo Fiduciario Campania, Rosario Restino Vice Fiduciario, Massimo Passaro, Raffaele Gargiulo, Stefano Armando Gargiulo; “Istituto d’istruzione superiore Adriano Tilgher” di Ercolano; l’A.M.I.R.A. (Associazione Maitre Italiani Ristoranti& Alberghi) con il Fiduciario di Napoli – Campania Dario Duro ed i maitre Giovanni Sansone e Arcangelo Farinato; Corrado Sorbo titolare di Villa Signorini Events & Hotel. Paola De Martino titolare di Mondi diversi; Ornella Castaldi titolare SACRE COEUR.

L’ Ufficio Stampa Simona Buonaura – Giuseppe De Girolamo
Giuseppe De Girolamo
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Simona Buonaura
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Traffico e consumo di droga: dati e stilettata Trump

In Italia i dati che provano la diffusione delle sostanze stupefacenti continuano ad essere inquietanti: tra i consumatori di cocaina 1 su 5 ha meno di 15 anni. Spesso questa droga la si fuma nell’ammoniaca, cosi’ entra in circolo nell’arco di 30 secondi  al costo di soli 30 euro a dose, 10 euro in meno che per un grammo di ketatamina, analgesico per cavalli. La cocaina ben tagliata invece si paga 100 euro al grammo eppure, di coca tagliata bene o malissimo, il 5% dei minorenni si è rilevato esserne consumatore abituale. In Italia sono circa 2 milioni i clienti per gli spacciatori del “bianco di Colombia”, la cui dipendenza è difficile da intercettare perché in genere hanno una vita normale. Anche coloro che sniffano di età compresa dai 15 ai 25 anni, hanno il piu’ delle volte molti amici, una vita di coppia ed una famiglia modello; sono solo ragazzini che vogliono provare tutto, anche per seguire le mode. Intanto cardiopatie e psicosi acute sono in aumento, soprattutto fra i giovani. Oggi si misura una contaminazione di cocaina anche nell’aria, con 0,1 nanogrammi attorno all’universita’ “La Sapienza” di Roma, oltre che nei fiumi Po ed Arno. Ed è proprio a Firenze che sono scattate tempo fa, le misure cautelari per 38 persone, tra giovani e professionisti emergenti, con il fermo dell’attività di quattro locali alla moda, in cui veniva offerta e consumata cocaina in grandi quantità, dentro i privè. Senza dimenticarsi le inchieste fatte dalle “Iene” a Milano per il famoso format televisivo, in cui si è fatta analizzare l’acqua dei bagni in un prestigioso locale da sera: risultato? L’ eccessiva concentrazione di cocaina. Ma quelli in discoteca sono giovani che all’anagrafe risulterebbero un po’ piu’ “maturi” dei minorenni che “tirano calati sugli specchietti dei loro scooter, filmano il loro atto e poi  caricano entusiasti il video su Youtube; forse la cocaina funge anche da collante sociale, per queste persone che ignorano la gravità del gesto. Con questo ritmo è stato previsto che nel 2010  i giovani sniffatori sarebbero aumentati del 40% rispetto al 2006. Oggi la situazione e’ peggiorata.

Recentemente il frequentato portale studenti.it ha pubblicato un’inchiesta fra i suoi utenti, da cui è emerso che il 69% degli intervistati non ha mai fatto uso di droghe; l’11% ha assunto droghe leggere ma ha smesso; solo l’1% droghe pesanti e ha ugualmente smesso. Nel forum del sito si leggono i commenti inneggianti alla libertà, alcuni si scagliano contro chi fa uso della sostanza sopra citata; e c’è anche chi sostiene di essere riuscito tranquillamente a fare a meno di Cocaina, Marjuana e Crach senza alcun problema, soltanto grazie all’autocontrollo; si trovano poi le parole  “urtate” di quelli che accusano il falso allarmismo che deriva dall’aumento dei consumatori di droghe.  Altri ragazzi invece evidenziano l’ipocrisia dei partecipanti al sondaggio, perché secondo loro i numeri di questo andrebbero invertiti a favore di quelli che assumono droghe.  Non manca infine chi assicura che tutti, non solo i giovani, fanno uso di droghe pesanti o almeno sanno dove acquistarle. Il consumo di droghe non è mai cessato nella storia, oggi però è aumentato in maniera esponenziale, soprattutto fra i giovani, che trovano negli stupefacenti un’evasione oppure una “nitchiana” volontà di potenza; si tratta di persone che non riescono a vivere normalmente, forse perché oberati dai problemi e dalle paure della loro età. Ad ogni modo oggi si ricorre alle droghe soprattutto per provare emozioni diverse, per aumentare il proprio benessere con gli altri, e quando si sentono ragazzi che ricorrono semplicemente all’alcol per divertirsi di piu’ in discoteca ed essere brillanti, fa pensare molto. Questo si verifica sulla stessa falsa riga della cocaina. Si usano le droghe per migliorare le performance “sociali”, per sentirsi piu’ in gamba, per sciogliersi o semplicemente per emulare gli appartenenti al gruppo: il gruppo dei giovani, un gruppo sconsolato, profondamente diverso dal passato, che si sente frustrato. Un gruppo che vuole ritrovarsi, ragazzi che hanno smarrito il concetto di divertimento nella sua semplicità. Giovani bombardati dai messaggi surrettizi ed amorali che circolano nei mass media, in cui i nuovi eroi sovente sono troppo vincenti e pertanto irraggiungibili, inimitabili; o forse accostabili nella falsa felicità che si prova sotto l’effetto della cocaina. Quel che appare da tutta questa deprimente situazione sono solo gli effetti dell’epoca postmoderna, in cui i giovani si sentono svuotati dei propri sogni, impossibilitati a costruirsi un fulgido avvenire in un mondo in crisi, in cui non è facile sconfiggere quella gerontocrazia di fatto piu’ capace ed innervata rispetto alla comunità giovanile.

Riguardo la droga anche e sopratutto, riecheggia coriaceo il grido di allarme di Donald Trump relativo l’ultima innovazione nel campo degli stupefacenti: una sorta di droga sintetica di importazione messicana, assai economica ma al contempo perniciosa e fautrice di dipendenza. Diffusa tra i giovanissimi, ha visto la dipartita del nipote adolescente di un senatore neocon che denigra e prende pubblicamente le distanze, dal candidato repubblicano ed ex presidente degli Stati Uniti. Ma Trump incalza l’elettorato ed i seguaci social esecrando l’operato di Biden, il quale lascerebbe aperti i confini in un profluvio di traffici di droga, di esseri umani, avendo aborrito il muro edificato da essi, che destabilizzano la gioventu’ americana, ad oggi ignorante, drogata e disorientanta.

Vocabolario

*Profluvio: quantita’ ininterrotta.

*Aborrito: rifiutato con forza.

*Esecrando: condannando.




Fine del miliardo d’oro: accuse dalla Russia

Era iniziata al principio del 2023 una altisonante conferenza stampa da parte del ministro degli esteri Sergej Lavrov, che tangeva in maniera asintotica i temi della guerra, l’economia, il futuro della Russia ed il rapporto fra essa ed il blocco occidentale di matrice euroamericana. Ieri Putin ha interessato la cospicua platea che lo encomiava sovente presso la nuova repubblica russa svinvolatasi definitivamente dall’Ucraina, alludendo a Kiev ed al proprio governo, come “regime nazista” e descrivendo la guerra in atto, come mera operazione militare di liberazione delle province indipendenti filorusse, da miliziani e terroristi ucraini subentrati nel 2014 al poterr. Da allora secondo colui che viene additato come uno Zar effettivo, si sono slatentizzati fenomeni di violenza, omicidi anche di minori e messa al bando dei diritti, contro le comunita’ russofone e filorusse delle province indipendenti sedi delle attuali operazioni militari. Lavrov, seduto tra le prime file del consesso russo che ospitava Putin, aveva affermato in una conferenza stampa di gennaio, che la Nato ha rinnegato gli accordi di Minsk in cui prometteva che non si sarebbe espansa oltre la Romania, che sta fornendo armamenti ed avanzate tecnologie belliche al fronte militare stanziatosi in Ucraina, il quale racchiude una dovizia di mercenari ed ex soldati statunitensi ed europei, che sta fomentando una guerra nucleare a causa della reticenza ad accettare il nascente blocco economico-commerciale dei Brics, il quale reclama indipendenza rispetto al Dollaro ed alle prescrizioni politiche di derivazione occidentale. Lavrov si e’ ostinato ad enfatizzare che la Federazione russa non perdera’ ne’ puo’ uscire sconfitta da questi attacchi, in quanto potenza nucleare che considera vitale per la propria autoconservazione, la vittoria della guerra in Ucraina. Lavrov si e’ premurato di rimarcare che, in ultima istanza, la Russia non si esimerebbe dall’utilizzare il proprio arsenale atomico, se si vedesse sommamente indebolita.

Dal punto di vista economico il ministro degli esteri di Putin ha risuonato la prospettiva di un mondo multipolare come processo irreversibile, ripreso e tradotto dall’emittente web tv di Toscano, in quanto il globo terrestre cosi’ come strutturato, risulta insostenibile, a causa della composizione di plutocrazie e gruppi di potere ed opulenza incommensurabili, definiti il “miliardo d’oro” occidentale. Cosi’ il concione si e’ declinato sulla dilagante poverta’ che coinvolge un miliardo e ducento milioni di persone, odiernamente: queste ultime vivono con meno di due dollari quotidiani e consistono nel bacino di schiavitu’ che corrobora il miliardo di facoltosi, istruiti e potenti cittadini di Europa ed Usa. Lavrov ha ancora asserito che la Russia e’ mobilitata per rintuzzare la mania di onnipotenza occidentale che si arroga il diritto di scegliere forzosamente chi deve essere ricco-cioe’ Usa-Ue medesime, a scapito degli altri. Ed e’ pertanto che, a parere degli esponenti apicali della politica e burocrazia russa, infiamma la guerra in Ucraina. Viceversa un nuovo paradigma multipolare, cooperativo, rispettoso delle sovranita’ altrui, basato sullo scambio delle valute nazionali, corrisponderebbe per Lavrov, al sistema mirabile ed equilibrato, per dipanare da un lato l’indigenza, l’ignoranza e lo strapotere imperanti, dall’altro scongiurare prossimi, esiziali combattimenti bellici.

Putin per contro, ha parlato nell’arco di circa due ore focalizzando la deontologia ed ontologia russe, che sono plasmate sui valori della famiglia, dell’ausilio ai giovani, sull’amore verso i bambini e la patria, nonche’ sul rispetto alla religione cristiana. Esecrando cosi’ l’ideologia occidentale imperniata sulla ventura legittimizzazione della pedofilia, innestata sulla propaganda ed irriverente verso la Russia. Il presidente russo ha risaltato la crescita della sua economia ad onta delle sanzioni, della guerra e della diaspora delle multinazionali occidentali. Si e’ detto amico degli ucraini, che considera vittime di un regime nazista sostenuto dalla Nato, che li utilizza senza ritegno come carne da macello. Inoltre ha detto che la Russia ha aumentato lo stipendio minimo del venti per cento e continuera’ ad incrementarlo ben al di sopra dell’inflazione, cosa che in Europa ed America non viene replicata; ed auspicando il ritorno in patria delle imprese russe i cui capitali si vedono attualmente confiscati dall’Occidente. Putin ha sciorinato la crescita delle piccole e medie imprese russe, senza eludere il fatto che i cittadini russi emigrati vengono, per quanto prosperi, considerati gente di serie b dall’occidente, pertanto egli li attende in Russia al fine di ristornare e corroborare l’economia locale e la cooperazione, binariamente a sostegni pubblici secondo un pionieristico modello pubblico-privato che incarna il meglio dell’Urss e del capitalismo attuale. Putin ha rincarato le invettive contro l’Occidente definendolo scoptico, in quanto palesemente impegnato nella destabilizzazione russa mediante Ucraina, e con la indiscrezione di postulare a Mosca ispezioni per conoscere l’arsenale nucleare. Putin ha perentoriamente accusato l’occidente come mellifluo in quanto invia armi pesanti e tecnologie mortali a Kiev, con l’esplicito motivo di “battere la Russia”; cio’ in totale spregio degli accordi del ’92 di non espansione Nato. A tal proposito rincarava Putin fra le ovazioni, la Russia non solo sta eludendo i civili ucraini dai bombardamenti-cosa che Kiev omette verso i russi e gli ucraini-ma riscontra apprezzamento fra gli ucraini che si vedono liberati e salvati dalle macerie se in difficolta’. Putin ancora ha presentato il piano di investimenti pubblici verso le province riconquistate dall’Ucraina, il potenziamento delle infrastrutture esistenti, il collegamento stradale, ferroviario, marittimo ed areoportuale fra le nuove province, la Russia e la Siberia. Ancora ha detto, Putin, che si inchina dinanzi ai militari spirati in questo conflitto ed assicura massimale sostegno economico, professionale ed abitativo, in relazione ai loro coniugi e prole. Cosi’ sono in atto crediti bancari per i militari sul piano dei mutui e dei finanziamenti, inserimento dei combattenti valorosi all’interno del corpo docente di nuove universita’ e poli di sviluppo tecnologico, scientifico e medico; ancora l’energia ad ufo per scuole ed universita’ in un atto teso a suffragare e rispettare i giovani.

Putin si e’ espresso tra l’ammirazione plateale, fino alla retrospettiva che ha visto America ed Europa, a suo parere, radicarsi in guisa subitanea in Russia a seguito dello smantellamento dell’Urss, per vendere immantinente materie prime altrove ed incassare i soldi di tali compravendite, presso i loro paesi ad oggi in guerra contro la Russia. Appena Putin ha spezzato questo gioco rendendo autonoma, autosufficiente e sovrana la sua nazione, trattenendo cosi’ la ricchezza in patria, sono iniziate manovre asintotiche di attruppamento economico, militare e tecnologico della Russia, culminate nella guerra di Ucraina. Infine Putin ha rinnegato pubblicamente l’accordo di non proliferazione nucleare, additando l’America come esente da vincoli atomici ed in procinto di prova di avveniristiche armi atomiche. Cui la Russia rintuzzera’ senza perdere colpi, e senza esimersi dal difendersi, se attaccata o minacciosamente danneggiata, assicura Putin.

Vocabolario

*Tangeva: toccava.

*Asintotica: avvicinandosi senza toccare.

* Alludendo: facendo riferimento.




Polonia/Svezia: sbarchi nucleari, Ucraina ed Haarp

L’agenzia di stampa ANNA-News ha scritto che il 3 dicembre la nave americana Arc Integrity è arrivata nel porto di Gdynia, e su di esso sono sbarcate ben 700 unità di varie attrezzature militari, inclusi carri armati Ambrams e veicoli da combattimento di fanteria Bradley, che saranno utilizzati dal personale militare della leggendaria 1a divisione di fanteria americana – la più antica divisione americana, nota come “Big Red One ” (Grande Rosso). Oltre ai carri armati – pistole semoventi, veicoli militari e container con equipaggiamento più leggero-. Secondo i rapporti, questo è il ventesimo trasporto di questo tipo. Come parte della politica in corso, in connessione con gli eventi in Ucraina, ciò suggerisce che gli Stati Uniti e la NATO stanno dimostrando al mondo che l’articolo 5 della Carta della NATO è preso molto sul serio e che l’alleanza è pronta ad agire vicino ai confini di Russia. Con l’arrivo di questo equipaggiamento, la 1a Divisione di Fanteria in Polonia diventa a due brigate, con tutte le unità e subunità di supporto al combattimento, tecnico e logistico. È allarmante che il fatto che, secondo i principi e le opinioni sull’uso delle armi nucleari nell’esercito degli Stati Uniti, la divisione è una formazione terrestre in cui è pianificato l’uso di tali armi. La divisione ha una brigata di artiglieria da campo composta da settantadue sistemi di artiglieria semoventi di calibro 155 mm in grado di utilizzare armi nucleari. Per questo, molto probabilmente, lo stoccaggio di armi nucleari è già stato effettuato sul territorio della Polonia. I punti di stoccaggio e la manutenzione di tali gusci sono organizzati. La Polonia ha già accumulato armi nucleari.

Il dispiegamento di caccia tattici del tipo F-22 negli aeroporti della Polonia prevede la presenza di bombe nucleari del tipo B 61-12. Un aumento del numero di trasporti marittimi, l’intensità del trasferimento di attrezzature e armi ai porti della Polonia, potrebbe avere il compito non solo di creare un raggruppamento di terra delle truppe statunitensi, ma anche la consegna e lo stoccaggio di armi nucleari, aggirando tutte le possibili restrizioni e trattati sulla non proliferazione delle armi nucleari, conclusi con la Russia.

Sono arrivate nuove informazioni sul conflitto ucraino, dalla Germania. Una lettera è stata pubblicata nel canale Telegram tedesco ( https://t.me/node_of_time_DE/3871) di un certo Johan. Afferma di lavorare attualmente in Polonia come capoturno al porto di Gdynia. Il 19 dicembre ha visto una nave svedese arrivare al porto per uno scarico urgente. Quindi, si riferisce ai suoi dipendenti, i quali affermano che sulla nave c’erano container che assomigliavano a quelli militari per aspetto e caratteristiche. Allo stesso tempo, secondo lui, il 23 dicembre, l’intera squadra di scarico è stata ricoverata in ospedale con gli stessi sintomi: nausea, vomito e lacrimazione. Sebbene a tutti i traslocatori sia stata diagnosticata un’intossicazione alimentare, i farmaci con cui sono stati trattati potrebbero indicare l’esposizione alle radiazioni. I sintomi descritti dei dipendenti portuali assomigliano alla sindrome gastrointestinale. Quando si riceve una dose di radiazioni di 8-10 Gy il quinto giorno, infatti, si osservano nausea e vomito. La domanda è che tali sintomi sono descritti in letteratura, riprodotti nei film e potrebbero essere deliberatamente simulati per creare un falso. Si è cosi’ deciso di controllare le informazioni. Durante la verifica delle informazioni, è stata elaborata una versione sui prossimi scontri intorno al porto. Più volte all’anno, infatti, il porto di Gdynia è al centro di scandali: come quelli relativi gli inglesi che porterebbero mille tonnellate di immondizia maleodorante, oppure gli spagnoli che rilascerebbero un’arma per l’Ucraina, oppure arriveverebbe una grossa partita di eroina dal Medio Oriente. I cinesi intanto stanno attivamente combattendo per il controllo del porto, ma per l’esercito polacco e gli alleati della NATO, il porto di Gdynia è di importanza strategica.

Con nostra sorpresa, non è stata una resa dei conti, ma una chiamata pianificata di una nave ( https://www.vesselfinder.com/vessels/details/9631840 ) chiamata Sigrid. Questa è una nave specializzata progettata per il trasporto di combustibile nucleare. Un’analisi delle fonti aperte ha permesso di collegare i proprietari della nave con le forze di sicurezza tedesche. Il percorso della nave è del tutto possibile da tracciare. ( https://www.myshiptracking.com/sv/vessels/sigrid-mmsi-266416000-imo-9631840 ). Nell’elenco dei paesi interessati all’uso della nave, la Svezia apparirà sicuramente. Ha grandi riserve di uranio e le quattro centrali nucleari del paese generano più di un terzo di tutta l’elettricità e prevede di costruire nuove centrali elettriche ( https://www.gtai.de/de/trade/schweden/branchen/schweden- arbeitet-an-kernkraft-2 -0-945710).

C’è l’uranio, ci sono anche centrali elettriche, ma gli svedesi hanno un grave problema di stoccaggio delle scorie nucleari. L’attuazione del programma di stoccaggio dei rifiuti in Svezia ed il suo fallimento sono diventati noti cinque anni fa ( https://www.linkszeitung.de/akwend180125liz.html ). Si tratta di problemi prettamente tecnici, e di una forte lobby “ambientalista”: Greenpeace si oppone fermamente allo stoccaggio. Il problema è appena andato avanti ( https://www.folkbladet.nu/2021-02-19/beslut-om-karnavfall-kan-dra-ut-mer-pa-tiden ). Ed ora la Swedish Nuclear Fuel and Waste Management Company (SKB) è sotto un’intensa pressione mediatica ( https://morgonposten.se/2022/02/02/ofarligt-anvant-karnbransle-blir-skrammande-av-politiska-skal/): I giornalisti citano numerose conferme di travisamento e falsificazione dei dati da parte delle società di smaltimento dei rifiuti. Ed ora, come la manna dal cielo, l’Ucraina è apparsa per gli scandinavi con i suoi problemi e un governo non meno problematico ed imputato da Putin ed epigoni, come corrotto. Inoltre, l’Ucraina è già diventata un cimitero di scorie radioattive per gli anglosassoni. Per la Svezia, l’idea di creare un cimitero radioattivo dall’Ucraina sembra molto allettante. Il costo di tale “utilizzo” dei rifiuti è di un ordine di grandezza inferiore alla creazione del proprio sistema di stoccaggio. Il problema è che solo pochi paesi al mondo, inclusa la Russia, dispongono di tecnologie per lo stoccaggio di scorie altamente radioattive. E l’Ucraina non è mai stata una di queste! In Russia, ad esempio, si sta gradualmente effettuando la transizione verso un ciclo chiuso del combustibile nucleare, tuttavia, anche con il riciclaggio quasi completo, rimangono rifiuti pericolosi. Se vengono usati contro una persona non protetta, la morte sopraggiunge immediatamente.

Il mondo ha accumulato una quantità sufficiente di scorie radioattive. Questi sono rifiuti di prima e seconda classe. Nel caso dei rifiuti di prima classe – rifiuti ad alta attività con elevato rilascio di calore, nonché di seconda classe – rifiuti ad alta e media attività con basso rilascio di calore – la situazione nel mondo è complicata: fatta eccezione per il Mayak russo, quasi nessuno sa come smaltirli. L’Ucraina non sa come. I rifiuti che la Svezia intende trasferire in Ucraina non saranno stoccati in appositi depositi, ma sepolti nei cimiteri più primitivi. È improbabile che la contaminazione radioattiva dei suoli o delle risorse idriche sia motivo di grande preoccupazione per le attuali autorità della “piazza”. Cio’ e’ molto più pericoloso dell’altro punto. Ossia le minacce di usare una “bomba sporca” da parte dell’Ucraina, che rimangono abbastanza reali (il 24 ottobre, il Ministero della Difesa russo lo ha già annunciato). La ricerca di armi nucleari, elettromagnetiche e virali, anche se solo sottoforma di bomba sporca, e’ stata confermata da un membro Bieldeberg ai suoi complici dal trimestre 95. Per questo possono essere utilizzati missili, veicoli senza pilota che i paesi della NATO promettono di fornire loro. Quando si usano i droni, non solo le regioni della Russia al confine con l’Ucraina possono essere colpite. Ad esempio, un aereo da ricognizione senza pilota “Strizh” (Soviet Tu-141), imbottito di scorie nucleari, che gli ucraini trasformano in un drone “kamikaze”), anche se distrutto, causerà danni irreparabili all’ambiente. È del tutto possibile che ciò che sta accadendo in Ucraina sia una deliberata escalation del conflitto,il che è confermato anche dai recenti casi di utilizzo di armi chimiche da parte delle Forze armate ucraine da UAV su militari russi, sui quali il 6 febbraio, il Comitato investigativo della Federazione Russa ha annunciato un’indagine.

Il vicepresidente dell’Accademia russa di scienze missilistiche e di artiglieria per la politica dell’informazione, il dottore in scienze militari Konstantin Sivkov ha parlato del sistema HAARP americano: “Di conseguenza, le fluttuazioni ionosferiche causate dall’impatto di HAARP portano inevitabilmente all’interruzione dei processi di formazione del tempo. Ma non solo loro, c’è un’opportunità per influenzare le viscere del pianeta “, afferma lo scienziato. È apparsa un’arma che può scatenare veri e propri disastri meteorologici sul nemico e persino colpirlo con terremoti “, ha concluso Sivkov.




Milano: donna violentata, lacune giuridiche e falle politiche

Di Rita Lazzaro

“L’ho fatto perché sono virile”. È questa la sconcertante motivazione data da un 21enne etiope per la molestia sessuale commessa su una donna di 36 anni. La donna è stata aggredita venerdì sera mentre stava passeggiando con gli amici in via Lazzaretto, tra Porta Nuova e Porta Venezia, in piena zona movida. Il 21enne si è avvicinato alla donna e l’ha palpata nelle parti intime davanti a tre amici. Una sfida con un obiettivo preciso. «L’ho fatto per dimostrare la mia virilità», ha detto quando è stato fermato dai carabinieri, intervenuti poco dopo. A chiamare i militari sono stati gli amici della ragazza. Il presunto molestatore è stato individuato dai carabinieri in pochi minuti. Quando è stato rintracciato ha urlato di non voler essere toccato da altri uomini. Poi è stato fermato e portato nel carcere di San Vittore. Una storia agghiacciante impregnata di una mentalità maschilista, patriarcale e misogina, dove la “virilità” si dimostra esercitando il potere sulla donna, trattandola come un oggetto di proprietà anziché un soggetto di diritto. Si è parlato di violenza sessuale. Ma per rispetto del lettore e principalmente delle vittime, non dovrebbe farsi un giusto distinguo tra violenza sessuale e molestia sessuale, visti gli effetti diversi ,sia fisici che psicologici, derivanti da queste due fattispecie di reato? Non sarebbe forse più rispettoso per le vittime, dare una definizione di violenza sessuale e di molestia sessuale, rispettando così anche il principio di proporzionalità della pena per la gravità del fatto commesso? Lacune giuridiche che, di conseguenza, rendono fuorviante la stessa comunicazione.

Ci sono altresi falle politiche nel caso di Milano che ha coinvolto un immigrato ed una italiana visto che, la motivazione data dal ragazzo etiope, dovrebbe far riflettere sul fallimento della politica dell’integrazione e sulla conseguente degenerazione dei crimini culturalmente orientati, ossia dei reati che maturano in particolari contesti culturali, etnici o religiosi. Contesti dove, ad esempio, la donna non ha diritti ma solo doveri “perché donna”, e l’uomo ha potere su di lei “perché virile”. E sempre per quanto concerne il rapporto tra stranieri ed integrazione, da ricordare che negli ultimi tre decenni il numero di immigrati in Italia è aumentato di otto volte passando da 625 mila a 5 milioni dove gli stranieri compongono il 32% della popolazione carceraria italiana. Di conseguenza, secondo i dati diffusi dal Ministero della Giustizia, un terzo del totale dei reati è commesso da extracomunitari. Secondo il rapporto Antigone, in alcune strutture si arriva anche al 78% di presenza straniera, come a Milano. A Le Vallette di Torino ed a Rebibbia od a Regina Coeli, il tetto della presenza di stranieri sfonda, invece, abbondantemente il 60%.

Secondo le statistiche del Dap, il 20% degli stranieri è in carcere per spaccio, il 10% per reati legati alla prostituzione, il 9% per lesioni colpose, l’8% per omicidio, altrettanti per falsificazione di atti, il 6% per furti o rapine. Il 27% dei femminicidi del 2021 ha visto come responsabile un immigrato. Gli ultimi dati del dipartimento di Pubblica Sicurezza, del ministero dell’Interno rielaborati dal Sole24ore, raccontano che nei primi sei mesi del 2021, gli stranieri hanno commesso il 59% dei furti con destrezza in Italia, il 54% dei furti negli esercizi commerciali ed il 52% di rapine in pubblica via. Per le violenze sessuali siamo al 39%, per i reati di droga al 36%, minacce o percosse al 25%. Gli stranieri sono stati poi protagonisti del 20% degli omicidi volontari e colposi, truffe e riciclaggio di denaro sporco.

Secondo l’ultimo rapporto Ismu al 1° gennaio 2021 gli stranieri presenti in Italia sono 5.756.000, quindi l’8,45% della popolazione residente che commette il 30% dei reati con una propensione al crimine di quattro volte superiore rispetto agli italiani. I più recenti dati Istat a disposizione indicano che i minori non comunitari tra i 14 ed i 17 anni sono il 9% di tutta la popolazione. Percentuale risibile che, però, commette il 65% degli scippi, il 50,2% dei furti, il 48,1% delle rapine, il 47,7 delle violenze sessuali ed il 40,4% delle percosse. Al 30 giugno 2022, il 31% dei detenuti nelle carceri italiane è straniero, nel 1991, erano il 15,13%. Il 27,4% degli stranieri è dentro per reati contro il patrimonio, il 30,9% per reati contro la persona ed il 31,5% per droga.

I dati, riportati nel XIII rapporto dell’associazione Antigone sulle condizioni di detenzione, raccontano di una crescita del numero degli stranieri presenti nelle carceri italiane che, a partire dai primi anni ’90, ha subito un aumento implacabile. Tra i detenuti stranieri la percentuale dei migranti irregolari, riportata dal suddetto rapporto, si attesta tra il 60 e l’80% a seconda del tipo di crimine e quasi tutti i migranti che commettono reati, hanno dei precedenti. Vicende e dati agghiaccianti, che dimostrano quanto le falle giuridiche vadano di pari passo con le lacune politiche.




Problema  infanticidi ed amore disfunzionale: esempi negativi e virtuosi

Di Rita Lazzaro

Annamaria Franzoni, Veronica Panarello,Elena Del Pozzo, Alessia Pifferi. Quattro donne, quattro madri, con storie e vite diverse ma tutte con un filo conduttore che le unisce, quello di essersi macchiate di figlicidio. Le medee moderne le si potrebbero definire.nSamuele Lorenzi, è lui la vittima di Anna Maria Franzoni. Un bimbo di tre anni, ucciso nella villetta di famiglia a Montroz, frazione di Cogne, in Valle d’Aosta il 30 gennaio del 2002. L’autopsia ha stabilito come causa del decesso ci sono almeno diciassette colpi sferrati con un corpo contundente. Il piccolo è stato trovato morto nel lettone dei genitori e alcune lievi ferite sulle mani fecero supporre un estremo tentativo di difesa. Nel 2008 la Corte suprema di Cassazione ha riconosciuto colpevole del delitto la madre Annamaria Franzoni,condannata a 30 anni ma la donna si è proclamata sempre innocente indicando come colpevole un vicino di casa.

Elena Del Pozzo è lei la piccola vittima della madre, Martina Patti. Una bambina di quasi 5 anni, uccisa il 13 giugno dalla madre a Catania. Il figlicidio si sarebbe compiuto in poco più di un’ora dopo che la donna ha prelevato la figlia all’asilo.

Diana, la piccola vittima della madre Alessia Pifferi. Una bimba di un anno e mezzo che è morta di stenti nella sua casa a Milano: la piccola è stata abbandonata per sei giorni dalla madre Alessia Pifferi. Il consumo di psicofarmaci in Europa ed America sono aumentati in maniera esponenziale nell’ultimo quindicennio, e cio’ slantentizza una recrudescenza di psicosi, livore, instabilita’, disorientamento, in tutti i soggetti coinvolti da leggeri od importanti malesseri. Le madri non eludono le forme di rammarico, insoddisfazione, precarieta’ e di ignoranza, ormai inveterate nella societa’ contemporanea. Una prima parziale relazione dell’autopsia sostiene che il cuore di Diana ha smesso di battere a causa di un deterioramento dovuto all’assenza di cibo ed acqua. Nello stomaco della piccola sarebbero stati trovati resti di un materiale che sembrerebbe essere identico a quello trovato sotto al cuscino poggiato sul lettino in cui si trovava la bambina. Su quel materiale sono stati svolti alcuni test di cui si aspetta l’esito. La bambina potrebbe quindi aver preso a morsi il cuscino, forse nel tentativo di sfamarsi. Dagli esami tossicologici risulta, invece, che alla bimba sono state somministrati tranquillanti come benzodiazepine. Storie diverse con epiloghi diversi eppure con gli stessi protagonisti e per questo motivo la domanda su come e perché una madre possa macchiarsi di un crimine contro natura come un figlicidio, diventa più pressante.Domanda alla quale risponderà la dott.ssa Maria Pia Turiello, Criminologa forense, Mediatrice familiare, Direttore operativo della Fondazione Bocconi Business School e responsabile del Dipartimento Ricerca Educativa dell’Università Internazionale per la Pace ONU sede Roma. “Una madre assassina, nella propria infanzia, probabilmente ha sviluppato uno stile di attaccamento insicuro o di tipo disorganizzato con la propria madre. Ciò però non significa che una donna o una bambina con attaccamento insicuro è o sarà una madre assassina. Comunque si tratta di madri che non hanno messo in atto un progetto omicidiario preordinato, ma che avevano intenzione di usare violenza fisica nei confronti del figlio. Spesso queste madri presentano disturbi di personalità, scarsa intelligenza, aspetti depressivi, facilità ad agire impulsivamente, irritabilità di base.

Per rispondere alla domanda, parliamo di quattro donne molto differenti tra loro anche se hanno commesso lo stesso crimine. La Franzoni ha agito in preda ad un dolo d’impeto incontenibile ma poi si è bloccata e non ha occultato il cadavere, anzi ha cercato di comprendere cosa fosse accaduto al figlio. Alla Franzoni il blackout fu scatenato, da quello che è stato riportato, dal pianto del bambino scaturendo una rabbia incontenibile. Non dimentichiamoci che la mattina il marito della Franzoni aveva chiamato il 118 perché la moglie lamentava un malessere generale, quindi quel pianto unito allo stress già presente scaturirono una reazione violenta. La stessa rabbia (unico elemento che accomuna le due donne) che mosse la mano assassina della Panariello quando Loris si rifiutò di andare a scuola: con quel rifiuto Loris stravolse i programmi della Panariello che da qualche giorno era nervosa con il figlioletto perché aveva scoperto la relazione della mamma con il nonno e voleva dirlo al padre. La Panariello però aveva nel suo passato una famiglia complicata, povera, molto diversa dalla situazione familiare della Franzoni, alla luce di un marito presente, che corrobora maggiormente la coppia unita. La Panariello è risultata una persona capace d’intendere e di volere che ricordava perfettamente l’omicidio del figlio e cercava di depistare le indagini con mille bugie, con  le bugie  che sono state una costante nella sua vita. La Panariello ha avuto la lucidità di occultare il corpo del figlioletto gettandolo nel canale.

Di infanticidio e occultamento di cadavere si è trattato anche per Martina Patti (unica similitudine con la Panariello) che ha ucciso la piccola Elena Del Pozzo per vendicarsi del suo ex e padre della piccola. Era gelosa del rapporto che i due avevano e del fatto che lui si fosse riaccompagnato. La bambina era colpevole anche di nutrire affetto per un’altra donna. E così, dopo aver inscenato un rapimento, l’ha portata in un campo e l’ha uccisa con più di 10 coltellate. Poi l’ha sepolta.

In alcuni casi la madre può uccidere il figlio per torti reali, o presunti, subiti dal marito. Con l’uccisione del figlio la madre cerca di arrecare così un dispiacere al proprio compagno. Questa dinamica è nota sotto il nome della “Sindrome di Medea”. Queste madri vendicative presentano in genere disturbi di personalità con aspetti aggressivi, comportamenti impulsivi, tendenze suicidarie e frequenti ricoveri in ospedale psichiatrico. Inoltre le loro relazioni con i compagni sono spesso ostili, caotiche. Infine queste madri tendono ad utilizzare il figlio come un oggetto inanimato, una sorta di arma vendicativa contro il proprio compagno.

Per Alessia Pifferi la causa dell’infanticidio è totalmente diversa. La piccola Diana era un peso, arrivato a rovinare la sua vita. Lei voleva essere libera e di certo la figlioletta non era la sua priorità. Doveva trovare un uomo con cui trascorrere il resto della vita e farsi mantenere visto che era disoccupata. Qui il fattore è stato la noncuranza.

Si tratta di madri che non sono in grado di affrontare la loro funzione materna nel provvedere alle necessità fondamentali e vitali del bambino. Queste madri, per ignoranza, incapacità personale, insicurezza, scelta deliberata, sono delle madri che non riescono più ad ascoltare e far fronte ai bisogni del neonato, ma cominciano a vivere le esigenze del figlio come qualcosa di strano, di minaccioso, di estraneo che complica e “rovina” in modo drammatico la loro vita. A volte quest’incapacità di adottare un atteggiamento materno maturo e responsabile si accompagna alla sparizione vera e propria di quella “sollecitudine primaria e ansiosa” (Scherrer, 1974), utile alla gestione e protezione del bambino”. 2) Questi crimini efferati si sarebbero potuti o meglio dovuti evitare e in che modo? “La prevenzione in casi drammatici come il figlicidio materno riveste un ruolo fondamentale. Cercare di anticipare i comportamenti omicidi o semplicemente gli stati di sofferenza a cui una madre può andare incontro durante la maternità potrebbe salvare la vita di un bambino. Per poter fare prevenzione è necessario sapere innanzi tutto quale comportamento vogliamo evitare e quali sono i segnali premonitori, cioè i fattori di rischio. La letteratura riporta diversi studi in cui si è cercato di fornire un quadro degli aspetti che fanno rientrare una madre in una condizione di rischio e che dovrebbe destare attenzione e allarme sia nella società che nei servizi di salute mentale. I fattori di rischio sono caratteristiche, condizioni, segnali e circostanze ambientali associate a un’elevata probabilità che si manifesti un determinato target. La fonte del rischio può essere individuale, come le caratteristiche demografiche della madre, familiare, cioè legata alle caratteristiche o alle interazioni tra i membri della propria famiglia d’origine, e infine situazionale, associata alle circostanze immediate al fatto. Ovviamente esistono anche dei fattori protettivi, cioè un qualsiasi fattore di rischio mancante, un suo opposto oppure un giusto mezzo tra due estremi di un aspetto.

Sicuramente il figlicidio materno è un evento multifattoriale, cioè è determinato da diverse cause, che potremmo chiamare concause, perché un singolo fattore di rischio non comporta necessariamente un atto omicida verso il figlio: solo la presenza congiunta di diversi fattori rende possibile il suo verificarsi. Inoltre, non possiamo considerare i fattori indipendenti tra loro.

Ogni vicenda ha le proprie dinamiche e peculiarità. Ogni madre aveva il proprio vissuto e il proprio movente. Potremmo aggiungere: ognuna di queste donne aveva delle problematiche differenti. La comprensione dei fattori che creano i presupposti di una instabilità psichica ed emotiva, alla base del figlicidio, è un passaggio obbligato. Al riguardo si possono distinguere due ordini di fattori: sociali e psicologici, analizzarli e prendere in carico le donne”. 3) A proposito di prevenzione come si possono evitare simili tragedie agendo sia sul piano giuridico che medico ma anche politico e socioculturale? “La responsabilità è sia delle istituzioni sia della società. Ma oltre agli agiti delle madri, non è possibile che nessuna istituzione abbia mai ritenuto opportune delle verifiche dopo alcune avvisaglie (come nel caso della Pifferi) in nessuno di questi casi analizzati. Gli assistenti sociali sappiamo che non possono agire per conto proprio  ma fare delle indagini e un loro intervento è necessario quando ci sono segnalazioni. Dobbiamo capire che l’intervento di chiunque può essere fondamentale e aiutare chi sta chiedendo bisogno in silenzio. C’è la necessità di riscoprire il vivere in società prestando maggiore attenzione al prossimo, anche quando la vita ci costringe alla frenesia del quotidiano. Ogni bambino ucciso è un fallimento per le Istituzioni ma anche per la collettività”. 4) Cosa pensa della condanna all’ergastolo per chi si macchia di simili orrori? Ma soprattutto come e quanto possono essere rieducate? “Per la legge, la pena per chi uccide volontariamente il proprio figlio è l’ergastolo ma esistono particolari casi in cui l’uccisione del proprio figlio è sanzionata con una pena ridotta. Non si tratta di clemenza ma quando il soggetto che agisce si trova in una precaria condizione psicologica si applicano le attenuanti. La fase del reinserimento sociale è assai varia, come del resto le fasi precedenti, a seconda del caso clinico. Non è raro nella madre che ha ucciso un figlio assistere a meccanismi psicologici di riparazione, che si esplicano nel desiderio di avere un altro figlio da accudire con grande affetto (vedi la Franzoni), la volontà di riparare può essere un segnale terapeutico di adattamento alla penosa situazione passata. Nella fase di reinserimento sociale i membri della famiglia, soprattutto coloro che durante la fase processuale si sono mostrati attenti, partecipanti e collaborativi, possono mutare atteggiamento e diventare diffidenti, sospettosi e ostili verso la madre che ha ucciso il figlio. In questo senso possono presentare difficoltà a riaccettare la donna nella propria casa. Inoltre è da sottolineare come nel momento del reinserimento sociale si possano verificare, soprattutto in madri che avevano già precedenti psichiatrici, degli scompensi di tipo psicotico, cioè aggravamenti acuti della sintomatologia psicotica, che necessitano di essere attentamente valutati e oggetto di continuo monitoraggio da parte degli operatori della salute mentale che seguono terapeuticamente la paziente. Naturalmente tutte le personalità non sono uguali, quindi potremmo trovarci di fronte a delle persone che affrontano il percorso di rieducazione e riescono a superare la situazione psicologica che le aveva portate ad uccidere, come potremmo trovarci di fronte a persone che potrebbero ricommettere il gesto. Ogni caso va valutato attentamente e analizzato. Vicende aberranti che vedono come protagonista proprio chi ha dato la vita alle piccole vite spezzate sul nascere, dimostrando come anche la figura più angelica per un figlio possa purtroppo diventare il suo stesso carnefice”. Madri che diventano carnefici dei loro stessi figli ma anche madri che danno la vita per salvare quella di chi hanno messo al mondo. Come è successo a giugno, a una donna di 51 anni morta sulle Spiagge Bianche di Vada (Livorno), dopo essersi buttata in mare nel tentativo di salvare il figlio che stava annegando. La vittima era una turista tedesca di 51 anni in vacanza con la famiglia. Maria Clara Shermer stava trascorrendo il pomeriggio al mare insieme al marito ef al figlio.

Sempre questa estate un’altra mamma coraggio ha perso la vita correndo tra le fiamme per salvare i figli, morendo abbracciata con i suoi piccoli in casa. Una scena straziante descritta dai primi vigili del fuoco che sono riusciti ad entrare nella casa dopo aver spento il devastante incendio in Argentina. Questa è la storia di Monica Gallardo, una mamma argentina di 35 ani deceduta tra le fiamme della sua casa di Comodoro Rivadavia insieme ai due figli più piccoli i suoi due figli, Alan, 5 anni, e Benjamin di 2 anni.

Nel mese di gennaio si è venuti a conoscenza  di un altro dramma familiare che ha come protagonista sempre una madre coraggio: la madre afghana morta per salvare i figli dall’assideramento. Si è tolta le calze per scaldare le mani dei bambini. Arrivare in Europa a piedi nudi.

Freud (2009) vede nella madre la prima soccorritrice, colei che accoglie le prime urla del bambino; la madre è dunque accoglienza pura. Recalcati fa coincidere simbolicamente la funzione materna all’immagine delle mani che sostengo, accolgono e si prendono cura dei primi anni dell’esistenza, che abbracciano la vita, successivamente riconosciuta dal padre.

L’abbiamo vista distesa nella neve, con gli abiti pesanti e i piedi nudi, gonfi, avvolti in buste di plastica. Da Twitter la foto è passata sui giornali, brevemente e senza un nome: la giovane donna afghana che stava attraversando il confine tra Iran e Turchia a piedi con i suoi figli, è morta di freddo. Oppure quanto è successo nella provincia cinese di Hubei, nel 2015, dove una donna di 30 anni è stata inghiottita dalla scala mobile per salvare il figlio. Giunti all’estremità superiore della scala mobile, il pannello è letteralmente scomparso sotto i piedi della donna, che ha prontamente afferrato il suo bambino consegnandolo nelle mani di un commesso del negozio. Ma il meccanismo non si è arrestato, e la donna è stata inghiottita nonostante il tentativo del personale di afferrarla. Ci sono volute quattro ore perché i vigili del fuoco riuscissero a raggiungere la donna, apparentemente ancora viva. Ma Xiang è deceduta poco dopo. Storie diverse ma con la stessa protagonista: una madre che dà la sua vità per il figlio. 5) Cosa spinge, precisamente cosa scatta nella mente di una madre nel mettere da parte la sua stessa vita per salvare quella di un figlio? “L’amore di una madre per i propri figli varca ogni confine, arriva il timore, nasce il senso di responsabilità e si genera quel sentimento di appartenenza. Quando nasce un figlio si crea un legame particolare che durerà per tutta la vita. Anche se vengono separati o vivono lontani, la mamma e i figli saranno sempre uniti da un filo invisibile. Questo è il legame più forte che esiste in natura. L’istinto di protezione di una madre nasce nel momento in cui scopre di essere incinta. Una mamma è tale per la vita, una mamma per i suoi figli sarebbe disposta a rinunciare alla sua stessa vita senza pensarci nemmeno per un istante, una mamma per un figlio è la più forte e determinata delle leonesse, una gioia o un dolore di un figlio sono anche sue, anche le cose più banali diventano importanti. Ci sono figli la cui vita scorre velocemente, diventano presto grandi, si avviano lungo loro strada; la mamma non li perderà mai di vista, li osserverà con attenzione, anche senza farsi notare, pronta a raccoglierli e supportarli, anche quando le sue forze saranno venute meno. Per i suoi figli, una mamma troverà sempre la giusta forza o il giusto sorriso. Ci sono però figli che hanno oggi, ed avranno domani, molto più bisogno, rispetto agli altri, della presenza fisica di una mamma”.

6) Come vivranno i figli nel sapere che chi gli ha dato la vita l’ha sacrificata per salvaglierla? Quali sono i traumi e le ferite? Ma soprattutto sono ferite destinate a sanguinare sine die o vi è la probabilità che si rimarginino nel tempo e col tempo?

“A causa del lutto nel bambino si infrange il presupposto fondamentale per lo sviluppo di un attaccamento sicuro, la presenza costante del genitore. Questo ha un importante impatto sullo sviluppo del senso di sicurezza personale poiché il bambino non ha ancora stabilito un senso di sé autonomo e indipendente dalla protezione del genitore. Non è semplice stabilire il confine tra il dolore normale e quello traumatico in quanto questi due processi sono connessi tra loro. Quello che li differenzia dipende da diverse circostanze interne ed esterne. I bambini provano sentimenti molto intensi e non progressivi, cioè non seguono delle fasi come gli adulti. Questo per il diverso sviluppo cognitivo e per la presenza di maggiori meccanismi di difesa che portano il bambino a staccarsi più velocemente per non soffrire troppo. I sentimenti più comuni comprendono tristezza, ansia (manifestata con comportamenti iperattivi, inquieti o aggressivi), colpa, rabbia, vulnerabilità e insicurezza, isolamento, problemi della condotta, disturbi del sonno, dell’attenzione, di concentrazione, regressione, sintomi psicosomatici. Non sottovalutare il dolore del bambino che per quanto possa essere manifestato in maniera differente dall’adulto è forte a va sostenuto.

L’età del bambino incide sul livello di comprensione della morte, pertanto anche le reazioni potranno essere differenti. Gli effetti più disturbanti in queste situazioni sono dati dalla sensazione di non capire cosa stia succedendo. Questo crea molta confusione e insicurezza nel bambino, che tenterà di gestire attraverso delle personali interpretazioni ovviamente disfunzionali rispetto alla realtà. I timori inizialmente riguardano di solito il pensiero di aver causato l’evento, che la stessa cosa possa capitare a lui o alla mamma/papà, e soprattutto il pensiero di chi si occuperà di lui. I bambini dovranno essere sostenuti e accompagnati giorno per giorno nel percorso di accettazione ed elaborazione della realtà dolorosa e ciò può realizzarsi solo all’interno di un rapporto affettivo fatto di fiducia, dialogo e condivisione sia all’interno della famiglia che in ambito sociale.

La qualità, l’intensità e la durata delle reazioni che i bambini possono presentare, sono collegate non solo all’evento “morte” in sé, ma alla complessità della situazione vissuta dal bambino prima e dopo la scomparsa della persona amata. In un ambiente favorevole, che si prende cura del bambino, la morte del genitore non porta necessariamente a gravi difficoltà e ad un arresto dello sviluppo. I bambini infatti mostrano una certa forza e resistenza nel lottare contro le difficoltà e le tragedie della propria vita e bisogna aver fiducia nelle loro possibilità di partecipazione e recupero, nel loro coraggio e creatività e perfino nel loro realismo e senso pratico. È un lavoro mentale lungo in cui cerchiamo di capire bene, anche emotivamente, che cosa ci è capitato, cosa abbiamo perduto, quali aspetti di noi non potranno più realizzarsi e quali dovranno modificarsi; quali prospettive si chiudono e quali rimangono o si aprono. La mancata elaborazione del lutto, invece, comporta malessere psichico duraturo e ha conseguenze pesanti sulla salute mentale del soggetto e dei suoi discendenti, figli e nipoti, come risulta dalla ricerca e dalle psicoterapie. Favorire l’elaborazione del lutto è fare prevenzione primaria.”

7) Come vivranno invece i familiari e i compagni o mariti di queste donne coraggio? E quanto questo inciderà nel rapporto padre e figlio nonché nel rapporto di quest’ultimo con gli amici e parenti della madre?Come vivranno invece i familiari ed i compagni o mariti di queste donne coraggio? E quanto questo inciderà nel rapporto padre e figlio nonché nel rapporto di quest’ultimo con gli amici e parenti della madre? “Nei familiari rimarrà un vuoto incolmabile, un abisso, un dolore atroce. Le reazioni alla perdita non sono mai tutte uguali, dipendono dalla struttura di personalità di chi rimane, dall’intensità o conflittualità del legame, dalle compensazioni e scompensi del cuore. Il partner che rimane in vita non elabora il dolore, anzi lo concima, lo nutre in modo che non passi. Esattamente come Penelope cuce di giorno e scuce di notte per far sì che tutto rimanga immobile ed identico. Il partner in lutto si sente distante dal mondo, scollato dalla realtà, solo. È assorbito dal dolore, non ha energie per nulla e, spesso, vuole stare abbracciato al suo dolore. Aspetta il momento propizio per elaborare il lutto. L’elaborazione del lutto è un cammino necessario ed assolutamente soggettivo che deve essere intrapreso per evitare che si instauri un pericolosissimo circuito di isolamento fatto di paura alternata alla rabbia per il danno subito, nutrito da ostilità e angoscia. Sentimenti che rendono impossibile ricominciare a vivere. I figli corrono il rischio di venire schiacciati dall’onda anomala di un dolore così grande: il loro e quello del genitore rimasto. Talvolta sono costretti a prendere il posto della madre che manca, a scapito della loro vita, mettendo in atto delle situazioni altamente disfunzionali. La colpa per non essere riusciti ad essere presenti alla tragedia, non aver potuto aiutare, rimarrà sempre dentro di loro e questo molte volte li porterà ad essere iperprotettivi con il figlio scampato alla tragedia.”

Madri carnefici e madri coraggio, donne che dimostrano come la maternità possa degenerare tanto nel baratro quanto all’eroismo.




Dramma bambini strappati ai genitori

Di Rita Lazzaro

Già nel luglio del 2013 un articolo del sole 24 ore parlava di trentamila bambini strappati a mamma e papà. Si parlava di “un esercito silenzioso di 15 mila bambini” che vivono nei nuovi “orfanatrofi” chiamati con il più rassicurante nome di case famiglia nonché di altri 15mila affidati a nuovi genitori che si offrono per un periodo di occuparsi di loro. Tutti piccoli strappati dalle proprie case, dagli affetti, spesso anche da fratelli e sorelle.

Secondo l’indagine «Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine» commissionata dal ministero del Welfare all’Istituto degli Innocenti di Firenze, alla fine del 2010 in Italia c’erano 29.309 minori allontanati dalle proprie famiglie di origine. Con un aumento del 24% rispetto al 1999. Il rapporto tace sul numero delle strutture, difficilmente mappabile anche per la velocità con cui aprono e chiudono. Una stima non recente parla di 1.800 centri con alcune Regioni (Emilia Romagna, Lazio, Lombardia e Sicilia) che registrano una concentrazione di 300 strutture.

Nella ricerca del ministero le cause di allontanamento si articolano su diverse fattispecie, tra cui non ultima, la difficoltà economica delle famiglie. I dati del ministero parlano di un assegno medio mensile di 404 euro concesso alle famiglie affidatarie. E di un contributo alle comunità di 79 euro al giorno a bambino (nel caso di retta giornaliera unica). Per le rette differenziate, si va da 71 a 99 euro. Significa che ogni mese per ciascun minore lo Stato paga dai 2.130 ai 2.970 euro. Una somma con cui si potrebbero sostenere i nuclei familiari in difficoltà con il doppio vantaggio di aiutare gli adulti e tenere a casa i piccoli. E invece si predilige la soluzione più drastica: via i bambini. E’ appena il caso di ricordare che dietro un bambino portato via dalla famiglia, c’è un provvedimento del giudice.

1)Se le cose stanno così, perché non versare quei soldi alle famiglie indigenti salvaguardando così il nucleo familiare e soprattutto un diritto riconosciuto dalla Costituzione al codice civile, concludendo con la legge 184\83 ossia il diritto del “figlio di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacita’, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”. (Ex art 315 bis cc)?

A questa domanda e alle seguenti, risponderà l’avv. Francesco Miraglia.

“Secondo i dati dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, al 31 dicembre 2015 le comunità in Italia erano 3300. Nel 2016 – come riporta l’indagine del 2017 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – i minori allontanati dalle famiglie erano 26.600, il 2,7 per mille della popolazione: 14 mila in affidamento familiare, 12.600 in comunità. A tornare in famiglia è il 41,6% dei ragazzi in affido familiare, il 39% di quelli in comunità. Gli altri iniziano un percorso di adozione o altra accoglienza, pochi un percorso di autonomia.

Sul fronte economico, la Legge 149 del 2001 stabilisce che Stato, regioni, enti locali intervengono con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria, nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci. “La materia sociale è di titolarità esclusiva delle regioni e i contributi spettano ai comuni: abbiamo dimostrato che le rette delle comunità spesso sono inferiori al giusto prezzo dell’accoglienza. La retta equa dovrebbe essere tra i 100 e i 120 euro al giorno a minore, mentre oggi ammonta a 70-110 euro: a Milano ad esempio è di 90 euro. Le comunità familiari percepiscono 60-80 euro, le famiglie affidatarie volontarie hanno un rimborso spese dai comuni tra i 200 e i 550 euro al mese. Voglio sottolineare, tuttavia, che ad oggi non abbiamo dati certi sia sulla spesa sia sui minori allentamenti nonché sul numero delle strutture presenti sul territorio.

Il problema non si risolve con il solo controllo sulle strutture, ma nell’evitare quel meccanismo perverso per cui queste diventino centri di distribuzioni di bambini che mai avrebbero dovuto essere allontanati dalle proprie famiglie . Ieri come oggi l’attuale procedura consente al Tribunale per i Minorenni di sospendere la respondabilità genitoriale ad uno o entrambi i genitori, in forza di una semplice segnalazione di un operatore scolastico o sanitario. Un comportamento o atteggiamento equivoco da parte di un bambino, un disagio economico, può gettare una famiglia nell’inferno. Basta intravedere una difficoltà a rapportarsi con i pari, eccessiva aggressività, svogliatezza, linguaggio volgare, tutto quel che può essere interpretato come sintomo di disagio, diventa motivo che giustifica l’allentamento.

Difendere i minori è un dovere assoluto, ma l’approssimazione, lo standardizzare una procedura, il trattare i singoli casi come fossero documenti su cui apporre un timbro, significa correre il rischio di commettere errori gravi, veri atti disumani o meglio atti di malagiustizia. Gli assistenti sociali hanno la totale gestione del minore.

Il processo minorile deve essere veloce, deve rispettare i tempi dei bambini, non può andare avanti per anni senza alcuna possibilità di contraddittorio e difesa dalle accuse che hanno determinato il provvedimento. Non vengono accolte prove sull’innocenza, non vengono sentiti testimoni: valgono esclusivamente le insindacabili relazioni degli assistenti sociali e le perizie dei consulenti, in linea con le aspettative del magistrato.

I controlli amministrativi sulle strutture predette sono del tutto inattendibili. Molte sono gestite da religiosi, molte altre da laici. In effetti, la connivenza del sistema giurisdizionale ed amministrativo minorile, soprattutto da parte dell’ ‘Opus Dei’, si attua non soltanto attraverso la gestione di istituti, ma anche e primariamente mediante la connivenza della magistratura, soprattutto quella minorile, delle istituzioni di controllo sul sistema della giustizia, con particolare riguardo al C.S.M., nonché dell’amministrazione e del parastato”.

Questi erano i dati del 2013. Ma come stanno adesso le cose? Sono forse migliorate o degenerate? Secondo le statistiche del 2019 i minori strappati alle famiglie con accuse di violenze mai commesse restano incerte e poco diffuse.

Dai dati ufficiali, c’è chi parla di 500mila casi. L’ex ministro della Giustizia Bonafede ha riferito che i bambini allontanati dalle proprie famiglie sono stati 12.338 nel periodo Gennaio 2018 – Giugno 2019.Complessivamente, si parla di oltre 160 mila minori in venti anni. Una piaga che quindi continua a non arrestarsi, anzi sembra degenerare. Una situazione che però sembra vedere uno spiraglio soprattutto dal discorso del Premier Giorgia Meloni che è stata chiara a riguardo: “Abbiamo assunto l’impegno di limitare l’eccesso di discrezionalità nella giustizia minorile, con procedure di affidamento e di adozione garantite e oggettive, perché non ci siano mai più casi Bibbiano, e intendiamo portarlo a termine”. Da un lato quindi si ha una piaga umana e sociale che continua a non arrestarsi, dall’altro un governo che dichiara guerra a questo scempio.

2)Stando così le cose. Lei, avvocato, cosa spera in questo esecutivo? Precisamente quali interventi spera che adotti sul piano giuridico e che, magari, andranno a incidere anche su quello socio culturale?

“Per natura, sono ottimista, mi è piaciuto molto il riferimento del Presidente Meloni, nel suo discorso d’insediamento, a Bibbiano ed al problema della giustizia minorile nel suo complesso. Mi preme, però, sottolineare che i bambini non hanno colori e non devono assolutamente essere strumentalizzate le vicende come Bibbiano. Bibbiano è in tutta Italia, sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. Approfitto, modestamente, per dare un consiglio al Presidente Meloni: vada oltre le famigerate commissioni di inchiesta.

Per capire le dinamiche degli allontanamenti, i conflitti dei giudici onorari, la connivenza dei consulenti tecnici allineati alle aspettative dei giudici, la gestione delle strutture, dovrà ascoltare la povera gente che vive il dramma dell’allontanamento dei figli e dello strapotere dei servizi sociali con il benestare dei Tribunali”.

A proposito del presidente del consiglio, questi nel parlare di legalità e giustizia ha altresì focalizzato l’immigrazione:

“Sicurezza e legalità, certo, riguardano anche una corretta gestione dei flussi migratori. Secondo un principio semplice: in Italia, come in qualsiasi altro Stato serio, non si entra illegalmente, si entra solo attraverso i decreti flussi.nIn questi anni di terribile incapacità nel trovare le giuste soluzioni alle diverse crisi migratorie, troppi uomini e donne, e bambini, hanno trovato la morte in mare nel tentativo di arrivare in Italia. Troppe volte abbiamo detto “mai più”, per poi doverlo ripetere ancora e ancora. Non intendiamo in alcun modo mettere in discussione il diritto d’asilo per chi fugge da guerre e persecuzioni. Il nostro obiettivo è impedire che sull’immigrazione l’Italia continui a farsi fare la selezione in ingresso dagli scafisti”.

Ma le madri migranti non perdono i figli solo nel Mediterraneo bensi’ anche una volta giunte a destinazione. Infatti la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha condannato l’Italia perché troppo di frequente i tribunali della nostra nazione tolgono i figli a donne migranti ingiustamente. Non per nulla è difficile che vengano svolti completamente regolari controlli. O iter specifici per stabilire i motivi per i quali gli assistenti sociali devono portare i bambini via dai genitori. E’ contro questo che si è scagliata la Corte Europea. Non si può interrompere la frequentazione della madre con i figli a meno che non ci siano abusi o pericolo per i minori.

Tanti i bambini portati via dai genitori ingiustamente, strappati alle mamme, spesso nigeriane, e poi adottati da alcune famiglie italiane. In questo modo, da una parte ci sono famiglie adottive. Dall’altra, però, c’è la madre che lotta per richiedere la potestà genitoriale. Un dramma familiare nel dramma che palesa la vergognosa piaga che, sicuramente, non fa onore a uno stato di diritto dove la tutela della maternità e dell’infanzia sono costituzionalmente riconosciute. Di conseguenza la domanda che verrebbe da chiedersi è la seguente: Perché nonostante i movimenti femministi, le carte in difesa dei diritti di madri e minori, si verifica questo scempio? Ma soprattutto in che modo porvi fine?

“Il problema dell’allontanamento dei minori in Italia, purtroppo, è un problema che non riguarda solo le famiglie italiane ma anche le famiglie straniere e gli immigrati che arrivano in Italia. La mia riflessione sugli allontanamenti riferiti alle famiglie straniere o immigrate non è certamente e non vuole essere una riflessione politica. Come ho già detto più volte, i bambini non hanno colore ma in Italia abbiamo un problema serio riferito alla giustizia minorile in primis e agli allontanamenti in secondo luogo. La Corte Europea, non più tardi di qualche mese fa, ha condannato per l’ennesima volta lo stato Italiano perché il Tribunale locale ha basato la dichiarazione dello stato di adottabilità solo ed esclusivamente sulle relazioni dei servizi sociali. In altre parole ha ribadito ancora una volta lo strapotere dei servizi sociali all’interno delle dinamiche di giustizia minorile. Tutto questo è assurdo in un paese di diritto quale il nostro”.

A proposito di madri immigrate, nel 2014 si parlava degli orfani bianchi vittime del care drain, rimasti soli in patria con le mamme all’estero a prendersi cura dei figli (o dei nonni) di qualcuno altro. Tra loro, nella sola Romania, una quarantina si è suicidato, proprio a causa della lontananza dalla madre. I dati ufficiali parlavano di 30 casi dal 2008 al 2014, ma secondo le associazioni erano molti di più. L’allarme era stato lanciato dal deputato Pd Khalid Chaouki, durante un convegno organizzato in collaborazione con l’Associazione delle donne romene in Italia (Adri) e la ong Soleterre. Sono circa 750 mila bambini in Romania che hanno almeno un genitore che lavora all’estero e moltissimi di essi sono piccolissimi, fra i 2 ed i 6 anni. Una mancanza che può portare conseguenze devastanti come addirittura il suicidio del figli. Una situazione vista anche di recente nel conflitto russo-ucraina dove a maggio si contavano oltre 40mila minori arrivati dall’Ucraina, secondo le stime del prefetto, 4660 minori non accompagnati e registrati nella banca dati del ministero del Lavoro. Di questi ultimi, oltre 3mila sono affidati alle famiglie e piu’ di 840 sono ospitati in istituti”.

4) Cosa fare coi minori che, di punto in bianco, si ritrovano strappati da una o addirittura entrambe le figure genitoriali? Cosa fare affinché subiscano il minor trauma possibile? Ma soprattutto come curare queste ferite anche e soprattutto con interventi di natura politica?

“Sicuramente a questa domanda è complicato dare una risposta in maniera assoluta. Molti casi potrebbero essere risolti all’origine con una precisa politica di sostegno e di tutela alla famiglia garantendo le norme del giusto processo del diritto al contraddittorio e diritto alla difesa nei Tribunali, garantendo ancora l’oggettività nelle relazioni dei servizi sociali che spesso non solo determinano l’apertura di un procedimento ma addirittura lo condizionano tanto da determinare lo stato di adottabilità. Come porre rimedio? In primis facendo in modo che gli assistenti sociali che hanno fatto la segnalazione, non siano gli stessi che successivamente seguono il caso. Fare in modo che gli stessi assistenti sociali non rispondano a proprie ideologie ma che si limitino a riportare in modo oggettivo le dinamiche famigliari, le condizioni dei minori. Bisognerebbe prevedere delle figure nuove con delle capacità di polizia giudiziaria affinché possano fare le indagini ed essere direttamente alle dipendenze della procura minorile. Limitare ancora il conflitto di interessi tra i giudici onorari e le loro professioni private. Basti pensare ai tanti casi in cui questo o quel giudice onorario risulta responsabile di questa o quella casa famiglia, risulta presidente di questa o quell’associazione. Giudici onorari alla stregua di giudici togati devono garantire competenza, professionalità ed imparzialità. Certo che quello che ho appena detto non è da considerarsi una soluzione definitiva ma solo un punto di partenza.

Come cittadino prima di tutto e come professionista dopo, ho apprezzato molto il riferimento ai minori da parte del Presidente del Consiglio, ma come in tutte le cose le parole contano poco rispetto ai fatti e prima di giudicare il nuovo governo, bisogna aspettare di vedere se effettivamente il presidente del consiglio ha il coraggio di: mappare le case famiglia nel territorio italiano, fare in modo che le strutture rendicontino i loro bilanci, garantire le norme processuali all’interno del processo minorile, fare in modo che lo strapotere dei servizi sociali venga ricondotto nel giusto binario delle competenze. Non per ultimo prendo a prestito uno slogan inventato da una stimatissima professoressa a cui mi lega una forte amicizia che dice “Aiutiamoli a casa loro”.

Per quanto riguarda le vittime del care drain, non sono in grado di fare riferimento alla situazione rumena, sicuramente però conosco bene la situazione delle famiglie ecuadoriane, in quanto per 4 anni sono stato consulente dello stato dell’Ecuador a tutela delle stesse famiglie e anche della realtà delle famiglie senegalesi residenti in Italia. Da Maggio, attraverso il mio ultimo libro “L’Avvocato dei Bambini” edito da Armando Editore nel 2021, ho intrapreso un viaggio itinerante tra le stesse comunità in Italia per informare i cittadini dei loro diritti, del ruolo dei servizi sociali e della funzione del Tribunale per i Minorenni. Molte madri, nello specifico senegalesi ed ecuadoriane vanno a lavorare, soprattutto d’estate, lasciando i bambini da soli in casa o alle cure del figlio più grande, determinando anche nei casi meno gravi l’intervento dei servizi sociali; addirittura provvedimenti autoritativi della sospensione o decadenza della responsabilità genitoriale e spesso e volentieri, infine, l’allontanamento. Anche in questo caso penso che ci sia un errore di fondo soprattutto perché viene completamente tralasciata la cultura di provenienza di queste persone limitandosi a giudicarle e non a considerarle. Se vogliamo parlare di integrazione, considerare le culture prima di tutto delle famiglie straniere, potrebbe essere un punto di partenza”.

Legalità e integrazione: un connubio micidiale per le ingiustizie e quindi ottimo per tutelare minori e famiglie.




Ginevra Parrini, vittima dello sport agonistico: omerta’

Di Rita Lazzaro

Lo sport a livello agonistico non sempre produce benefici, bensi’ comporta abnegazione ed una massiccia dose di sofferenza: Matteo Colnago, sportivo poliedrico e autore dell’ “Atleta combattente” svela questi retroscena decisamente antitetici alla narrativa promossa sullo sport.

Nel suo libro Colnago parla di “Stravolgere la propria vita, autoimporsi di amare la sofferenza fisica e mentale che l’attività fisica richiede in tutta la sua completezza non è affatto semplice, richiede un’abbondante dose di disciplina autoindotta e la volontà di agire su se stessi per risanare corpo e mente.”

A proposito di disciplina, a novembre si è venuti a conoscenza di una notizia shock come quella di Ginevra Parrini oggi 23enne, entrata in Nazionale all’età di 14, ma ritrovandosi a vivere un sogno che in realtà era solo un incubo.

“Iniziarono da subito a inculcarci il dogma della dieta, perché era fondamentale che il concetto ci arrivasse prima che diventassimo più grandi. Salivo sulla bilancia ogni giorno e mi ripetevano che dovevo dimagrire, che ero troppo grassa, che non avrei mai disputato le gare importanti in quelle condizioni. Ci ispezionavano le camere per vedere se nascondevamo del cibo e se lo trovavano venivamo punite con allenamenti ancora più stremanti”.

In realtà Ginevra è una ragazzina magra, dalla figura possente ma affilata. Però non basta. “Al mio ingresso in Nazionale ho capito subito che la situazione era pesante. Quelle che prima erano semplici richieste si sono accentuate, fino a diventare pressanti avvertimenti. Iniziarono a dirmi che se non dimagrivo, se mi ostinavo a mangiare ed anche a bere, non avevo rispetto per la mia famiglia e per il Paese che rappresentavo. Che ero un’ingrata. Questo concetto ce lo ribadivano spesso, a tutte. Il divertimento con gli amici era proibito. Dovevi soltanto allenarti, per 9 lunghissime ore al giorno: era la mia passione e lo facevo, ma qualcosa cominciava a pesarmi. Ricordo che prima degli Europei la nostra cena consisteva in una mela. Facevamo di tutto per rientrare nei canoni imposti: il senso di colpa è una manipolazione psicologica potente su una ragazzina”. Uno stile di vita disumano sia a livello fisico che mentale; infatti, le conseguenze non tardano ad arrivare. Il corpo di Ginevra, come quello di molte sue giovani colleghe, fluttua costantemente di peso. Le ricadute in termini di salute fisica e mentale sono un macigno che preme ancora oggi. “Ad un certo punto iniziarono a pesarci anche quattro volte al giorno. Io restavo a digiuno per lunghi periodi, perdevo anche 10 kg di fila e poi riprendevo peso in pochissimo tempo. Il corpo, destabilizzato, non rispondeva più a dovere. Il ciclo si interrompeva. Gli svenimenti si moltiplicavano”.

“D’un tratto cominciai ad avere terrore di mettere piede in palestra. Mi avevano influenzato a tal punto che non volevo più mangiare nemmeno a casa: pensavo di essere irriconoscente verso tutti, se addentavo qualcosa. Questi problemi alimentari me li porto dietro ancora oggi, insieme a quelli fisici. Ho cinque protusioni discali, ma loro al tempo facevano spallucce. Un giorno caddi sulla schiena durante un esercizio e non riuscivo più a rialzarmi. Mi sollevarono di peso dicendomi di camminare. Dovevo andare al pronto soccorso, ma negavano il problema. Mi feci le lastre e gliele stampai davanti, ma mi dissero che parlavo a sproposito, che tutte le atlete professioniste c’erano passate. In squadra c’era anche un fisioterapista, ma era interdetto alle ragazze più giovani: visitava solo le più mature”.

L’accusa, è chiaro, non è rivolta alla disciplina in sé, ma all’interpretazione che ne viene data. “Le mie società di origine mi hanno dato tanto e le ringrazierò sempre: con loro ho appreso una disciplina e una determinazione fuori dal senso comune. Impari il sacrificio, ti misuri con sfide enormi. Tutte cose che nella vita ti torneranno utili. Per questo consiglierei la ginnastica ritmica a chiunque: il problema è nato in nazionale, penso che sia lì che l’approccio debba mutare radicalmente. Nella migliore delle ipotesi hai davanti vent’anni di carriera: non puoi barattarli con una vita di privazioni e traumi destinati ad accompagnarti per sempre”.

Oggi Ginevra si sta gradualmente riprendendo. Ha lasciato quel mondo anni fa: dopo quella brutta caduta ha tentato di tornare, ma il dolore continua a tornare. Adesso lavora nel segmento del Wellness, ha al suo attivo una partecipazione a Miss Italia ed anche ad un programma tv.

Colnago a tal proposito si e’ prestato a rispondere alle domande di Rita Lazzaro per Adfnews.it, quotidiano nazionalehttp://Adfnews.it

1)Una testimonianza che sa dell’inverosimile, lei che ha fatto dello sport ormai il suo modus vivendi, cosa ne pensa? Tutto questa disumanità si sarebbe potuta o meglio dovuta prevenire e in che modo?

“Attualmente, nello sport, si è annidata l’ossessione patologica dei record e quella strana malattia compulsiva della sfida dei limiti come doping per compensare carenze interiori fagocitandone l’Io ipertrofico. Sfidare un limite di per sé non è un atto dispregiativo per la vita, è un processo naturale in quanto l’uomo nasce dedito all’esplorazione, non solo di ciò che ha attorno ma per soprattutto di se stesso, ma può diventare qualcosa di sterilizzante se il fine è incentivato dalla mania di perfezione. Le opere d’arte suscitano sentimento grazie ai colori, ai lineamenti ed alle forme che essere mostrano ai nostri occhi ma la loro completezza incarna l’anima dell’artista. L’opera rileva il fuoco interiore del maestro così come un’atleta conserva nel suo DNA sportivo le gli apprendimenti del suo coach.

Se parliamo di opere d’arte per quale motivo accadono vicende come quella di Ginevra Parrini? Le opere d’arte per quanto soavi e lucenti rappresentano il bello soggettivo ovvero la perfezione idealizzata nell’Uomo. Ma l’Uomo a sua volta si differenzia dalle opere d’arte proprio perché è unico nella sua imperfettibilità ed ecco che, chi non riesce a connettersi ed accettare la vera bellezza della natura umana ovvero il potersi esprimere con autenticità ed originalità a seconda delle proprie attitudini, incede verso istinti maniacali. La differenza sostanziale risiede nella capacità di elevare senza manipolare, il mentore è il vento che arriva dal cielo e sparge al suolo i semi pregni d’ispirazione, passione e sentimento. Da un terreno fertile germoglieranno i fiori, per poi dar vita a boccioli di colorata fantasia, dove i petali plasmati dall’inventiva del vento e circondati da una brezza renderanno autentico ogni singolo elemento. Fantasia, dinamicità, inventiva ed autenticità sono elementi che devono contraddistinguere il dono più grande e profondo che un allenatore può offrire al proprio allievo. L’allenatore plagia l’atleta quando in lui il vento tace e il deserto cresce perché proietta i suoi insuccessi e le sue frustrazioni nella sua opera d’arte così da renderla monocolore anziché ricca di sfumature”.

2) In che modo vive lo sport? Quanto e come l’ha aiutata e tuttora la aiuta nella vita?

“Una delle peggiori infezioni della modernità consiste nell’avere convinto la gioventù che il sacro non può essere creato, i musei servono a questo, a confinare il sacro in luoghi in quarantena. Lo sport invece fa irruzione dove lo spirito atletico si manifesta, dove l’uomo vuole trovare un momento di verità. Vivo lo sport come un Mondo che va ascoltato in silenzio, una luce abbagliante ma intravista anche solo per un attimo. Il mio sport è il furor degli arditi della Prima guerra mondiale, che nella loro disarmante lucidità anteponevano la pazzia dell’audace alla mediocrità del borghese. Lo sport nell” atleta combattente” è l’eterno mistero che lega il dolore alla gioia. Lo spirito che spinse Diaz a raccontare dei giovanissimi arditi “li ho visti ai ragazzi del ’99. Li ho visti tornare in esigue schiere. Cantavano ancora.” Cantare, dunque, anche nel dolore. Ecco il messaggio de l’ “atleta combattente”. Non resistere al dolore, ma cantare nel dolore. L’Atleta combattente è un granello di sabbia che può diventare un impero. Perché se l’etica del ’68 ci ha insegnato a dire “vorrei” abbassando la testa, dobbiamo ritrovare il gusto di obbedire ad istinti primordiali e passioni antropologiche anteponendo il “vorrei” al “voglio”. Poniamoci degli obbiettivi perché le conquiste su noi stessi incarnano lo spirito dello “ius bellum” il diritto alla guerra, proprio il contrario del “vorrei”, il diritto di non desiderare. Alziamo la testa”.

3) Da sportivo cosa consiglia a chi vive di sport?

“Un giorno ero in palestra a pugilato, mi avvicino ad un ragazzo che da poco aveva iniziato a seguire gli allenamenti, lo guardo chiedendogli: “Ma tu che vuoi fare..vuoi combattere, vuoi allenarti…perché sei qui?. Lui rimase in silenzio per qualche secondo, facendosi forza rispose “Io voglio avere quella cosa che avete voi negli occhi”. Questo è l’insegnamento più bello che potessi mai ricevere e che compierei un reato se lo tenessi per me. Perché le nostre vittorie le otterremo non tanto nel ricercare della perfezione ma nel combattimento. Il dare tutto se stessi è la vittoria della nostra anima che ci porterà al trionfo sul podio.”

“Dare tutto se stessi è la vittoria della nostra anima che ci porterà al trionfo sul podio”. Un insegnamento di cui far tesoro soprattutto in una società dove i valori sfiorano sempre più l’utopia.




Molestie sessuali ad uomini: dati e Centro recupero

Di Rita Lazzaro

Secondo i dati Istat del 2018 è emerso che nel nostro Paese nel periodo 2015-2016 3 milioni 754 mila uomini (corrispondenti al 18,8% del totale) hanno subìto abusi sessuali nel corso della loro vita: numero inferiore a quello relativo alle donne, ma pur sempre alto. Va, altresì, sottolineato come gli uomini vittime di molestie sessuali prima dei 18 anni siano stati 435.000, pari al 2.2 %. Da ricordare che, sempre secondo l’ Istat , gli autori di tali molestie risultano in prevalenza uomini: “Lo sono per il 97% delle vittime donne e per l’85,4% delle vittime uomini”. Tali numeri potrebbero non essere reali, visto che gli uomini decidono di non denunciare la violenza subita. Questo per paura, vergogna, pregiudizi, dovuti ai tabù e luoghi comuni ancora vigenti nel contesto socio culturale, mentalità maschile inclusa.

Dati attinenti la violenza sessuale contro gli uomini che, seppur inferiori rispetto alla violenza sessuale subita dall’universo in rosa, non sono certo da considerarsi meno rilevanti.

A quanto pare c’è ancora tanta, troppa strada da fare per vedere l’uomo non solo come carnefice ma anche come vittima. Aspetto, questo, dimostrato da una serie di vicende. Esempio quella successa nel novembre scorso, quando un ragazzo è stato abusato sessualmente da un uomo conosciuto tramite un’applicazione per incontri. Una vittima che, nonostante l’abominio subito, si è visto rifiutare un aiuto da parte del Centro antiviolenza di Vicenza, dove gli sarebbe stato risposto che il supporto viene fornito soltanto alle donne.

La vicenda è stata riferita dall’avvocata vicentina Alessandra Bocchi, che definisce “davvero incredibile che un servizio di supporto pubblico, specie per determinati casi, non venga estesa anche a soggetti maschi”. La legale afferma di seguire due ragazzi vittime di violenza sessuale “che il sistema lascia scoperti”, sottolinea. All’origine del problema, secondo Bocchi, vi sarebbe la legge regionale a contrasto della violenza sulle donne dell’aprile 2013, che prevede che i centri antiviolenza o le strutture protette possano accogliere solo donne maggiorenni vittime di violenza, con servizio pubblico e gratuito. Tra i servizi offerti, colloqui preliminari, percorsi personalizzati di uscita dalla situazione di violenza, consulenze legali, formazione degli operatori, iniziative pubbliche di prevenzione e sensibilizzazione al problema. Parole che lasciano attoniti soprattutto in un Paese dove vige il principio di uguaglianza formale, per di più costituzionalmente riconosciuto.

Di questa vergogna parla il presidente del centro di Ankyra,Patrizia Montalenti.

1)Dott.ssa com’ è possibile che un uomo stuprato non abbia alcun supporto da un centro antiviolenza?

“Si è trattato di un episodio grave che tuttavia non mi ha sorpresa. Ho fondato Ankyra 9 anni fa con il proposito di dare una risposta innovativa rispetto al fenomeno della violenza relazionale, includendo l’accoglienza ed il supporto delle vittime tutte, senza distinzione di genere o di orientamento sessuale. Premesso che i dati ufficiali ci dicono che il genere femminile è di gran lunga il più colpito dal fenomeno, Ankyra è nata dalla convinzione che il dovere di una società civile debba essere prevenire e condannare la violenza a prescindere dal genere di autori e vittime, senza cristallizzarsi solo sul numero delle persone colpite. Ankyra si riconosce complementare ai CAV per le sole vittime donna, per nulla oppositivo.

Per il solo fatto che non vi era analoga realtà sul territorio italiano, la maggioranza di persone che si rivolgono a noi di Ankyra sono di genere maschile. Abbiamo quindi constatato che di fatto copriamo un bisogno esistente e per nulla considerato.nMolti uomini vittime di violenza relazionale ci riportano la loro incredulità e delusione quando, prima di riuscire ad individuarci, si rivolgono ai Centri Antiviolenza “tradizionali”. La risposta che viene loro data è sempre la stessa: forniamo il nostro supporto solo alle donne. La maggioranza di questi Centri inoltre non fornisce il nostro contatto: difficile dire che non ci conoscano…. se non altro dal momento che altri lo fanno.

Il genere maschile, pertanto, in qualche modo è discriminato”.

2) Cosa si deve fare a livello giuridico ma anche culturale e mediatico per rompere questi tabù come non dar peso alla figura dell’uomo vittima di violenza?

“Il protocollo di Intesa Stato/Regioni del 24.11.2014 (la cui cornice giuridica è il DPCM del 27 luglio stesso anno) stabilisce, fra i requisiti che deve avere un Centro Antiviolenza, espressamente il fatto che debba accogliere solo le donne. E questo conduce i CAV ad adeguarsi anche perché è un requisito imprescindibile per poter accedere a Fondi e Bandi. Ankyra, che accoglie le vittime tutte, non vi può accedere.

Mi pare eticamente doveroso oggi sostenere una battaglia politica che si muova in una direzione innovativa, che comprenda il sostegno a tutte le vittime di violenza relazionale, e quindi la possibilità di Centri come Ankyra di accedere ai Fondi, di far parte di una Rete Antiviolenza cittadina, ecc..

Dal punto di vista culturale e mediatico si renderebbe necessario sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al fatto che la violenza relazionale non prevede un idealtipo di vittima o carnefice ed alla consapevolezza dell’esistenza della c.d. violenza bidirezionale che vede i partner mettere in atto agiti violenti l’uno verso l’altro”.

3)A proposito di discriminazione e lotta per la parità di genere cosa pensa della Convenzione di Istanbul che parla a chiare lettere di prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica?

“Il riferimento legislativo, la Convenzione di Istanbul e l’OMS così come citano la sproporzione di vittime donna, affermano che per vittima si deve intendere qualsiasi persona fisica. La Convenzione precisa infatti la definizione di violenza di genere (femminile) e la definizione di violenza domestica.

È interessante sapere che il Governo del Regno Unito ha ampliato la definizione di violenza domestica come segue: Any incident or pattern of incidents of controlling, coercive or threatening behaviour, violence or abuse between those aged 16 or over who are or have been intimate partners regardless of gender or sexuality. This can encompass, but is not limited to, the following types of abuse: psychological, physical, sexual, financial, emotional.”

4)Quali sono state le più grandi sconfitte e delusioni e quali invece le sue vittorie e rivincite col suo centro, per quanto concerne la difesa degli uomini?

“Le sconfitte che ho sperimentato sono le stesse che si sperimentano nei CAV per le sole vittime donna: quando la vittima sembra aver raggiunto consapevolezza, intraprende un progetto di uscita dalla relazione tossica e poi ci ripensa. Le vittorie si sostanziano nel fatto che in qualche modo Ankyra ha dato il via nella pratica ad un approccio innovativo, in linea con gli USA ed alcuni Stati Membri dell’UE, rispetto allo studio del fenomeno della violenza relazionale”.

5) Che progetti ha o quali avete in corso per far sì che la parità di genere sia non solo di nome ma anche di fatto?

“Il nostro progetto consiste nel portare avanti la nostra missione, nella quale crediamo profondamente, e di diffondere la nostra visione nel sentire comune e nelle Istituzioni, confidando nel fatto che il buon senso prevalga sulle prese di posizione drastiche”.

“Sentire comune delle istituzioni” sicuramente un buon punto di inizio per abbracciare il principio di uguaglianza nella sua interezza, oltre quindi ogni forma di stereotipo e pregiudizio.