Acca Laurentia: attentato anti fascista anniversario

Di Rita Lazzaro

«Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all’uso delle armi.»
Questa è la rivendicazione della strage di Acca Larentia a nome dei “Nuclei Armati di Contropotere territoriale”.
Sono passati 45 anni da quel maledetto 7 gennaio dove persero la vita due giovani attivisti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larentia, nel quartiere Tuscolano.
All’evento è tradizionalmente collegata la morte di un altro attivista della destra sociale, Stefano Recchioni, ucciso qualche ora dopo da un capitano dei Carabinieri, negli scontri con le forze dell’ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso dell’agguato.
La strage ebbe inizio verso le 18:20 del 7 gennaio 1978, quando cinque giovani militanti missini,mentre si apprestavano a uscire dalla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia per pubblicizzare con un volantinaggio un concerto del gruppo di musica alternativa di destra Amici del Vento, furono investiti dai colpi di diverse armi automatiche sparati da un gruppo di fuoco formato da cinque o sei persone. Uno dei militanti, Franco Bigonzetti, ventenne iscritto al primo anno della facoltà di medicina e chirurgia, rimase ucciso sul colpo.
Il meccanico Vincenzo Segneri, ferito a un braccio, rientrò nella sede del partito e, assieme agli altri due militanti rimasti illesi – Maurizio Lupini, responsabile dei comitati di quartiere, e lo studente Giuseppe D’Audino – riuscì a chiudere dietro di sé la porta blindata, sfuggendo in questo modo all’agguato.
Lo studente diciottenne Francesco Ciavatta, pur ferito, tentò di fuggire lungo la scalinata situata a lato dell’ingresso della sezione ma, inseguito dagli aggressori, fu colpito nuovamente alla schiena; morì in ambulanza durante il trasporto in ospedale.
Nelle ore seguenti, col diffondersi della notizia dell’agguato tra i militanti missini, una folla sgomenta di attivisti organizzò un sit-in di protesta sul luogo della tragedia. Qui, forse per il gesto distratto di un giornalista che avrebbe gettato un mozzicone di sigaretta nel sangue rappreso sul terreno di una delle vittime, nacquero tafferugli e scontri che, fra l’altro, danneggiarono le apparecchiature video dei giornalisti Rai e provocarono l’intervento delle forze dell’ordine, con cariche e lancio di lacrimogeni. Uno di questi colpì anche l’allora segretario nazionale del Fronte della Gioventù, Gianfranco Fini.

Secondo alcune testimonianze, smentite molti anni dopo da perizie balistiche, i Carabinieri spararono alcuni colpi in aria mentre il capitano Eduardo Sivori sparò mirando ad altezza d’uomo, ma la sua arma s’inceppò; l’ufficiale si fece quindi consegnare la pistola dal suo attendente e sparò di nuovo, questa volta centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio e chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus. Questa versione si rivelò completamente priva di fondamento tanto che diversi anni dopo l’ufficiale fu assolto per non aver commesso il fatto. Il giovane sarebbe morto dopo due giorni di agonia.
Inizialmente i compagni di partito delle vittime tentarono di raccogliere le firme per denunciare l’ufficiale ma i dirigenti del MSI rifiutarono di testimoniare per non pregiudicare i loro buoni rapporti d’immagine con le forze dell’ordine. L’ufficiale venne indagato in seguito a una denuncia presentata individualmente in questura da Francesca Mambro.
Anni dopo Francesco Cossiga, all’epoca dei fatti Ministro dell’interno, avrebbe rivelato che l’allora capitano (poi arrivato al grado di generale), dopo aver sparato, sarebbe caduto in stato confusionale e avrebbe temuto ritorsioni per la sua famiglia.In seguito Sivori in base a una perizia balistica fu definitivamente scagionato con sentenza di proscioglimento definitivo nel febbraio del 1983.
In un’occasione l’ufficiale sostenne che il colpo che uccise Recchioni fosse stato sparato da brigatisti lì presenti.
Le prime indagini non portarono a conclusioni di rilievo. Il capitano dei Carabinieri Eduardo Sivori, inizialmente indagato, fu prosciolto dal giudice istruttore Guido Catenacci il 21 febbraio 1983, con sentenza di proscioglimento definitivo.
Nel 1987, in seguito alle confessioni di una pentita, Livia Todini,si arrivò a individuare cinque responsabili, militanti di Lotta Continua, accusati per il duplice omicidio. Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari e Francesco de Martiis furono arrestati; Daniela Dolce,[14] ultima accusata, scappò all’arresto fuggendo in Nicaragua.
Scrocca, il giorno dopo essere stato interrogato dai giudici, si tolse la vita in cella in circostanze sospette.Gli accusati furono poi assolti in primo grado per insufficienza di prove.
Una delle armi utilizzate nell’agguato, una mitraglietta Skorpion, fu poi rinvenuta, nel 1988, in un covo delle Brigate Rosse, in via Dogali a Milano. Gli esami balistici svelarono che quella stessa arma fu utilizzata in altri tre omicidi firmati dalle BR: quello dell’economista Ezio Tarantelli nel 1985, dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti nel 1986 e del senatore democristiano Roberto Ruffilli nel 1988.
Nel 2013, a seguito di un’interpellanza parlamentare, venne ricostruita la provenienza iniziale dell’arma, che fu originariamente acquistata, nel 1971 dal cantante (e appassionato di armi) Jimmy Fontana, e da questi venduta, nel 1977, a un commissario di polizia, lasciando però ignoto il modo in cui l’arma sia poi giunta nelle mani dei terroristi.
Ma la strage di Acca Larenzia non ebbe solo tre vittime. I giovani Bigonzetti, Ciavatta e Recchioni furono solo i primi di una lunga lista di vittime legate alla strage del 7 gennaio.
Infatti pochi mesi dopo la morte del suo unico figlio, Antonio Ciavatta, padre di Francesco, non sopportando la perdita del suo unico figlio, si suicidò.
La famiglia Ciavatta proveniva da un’estrazione popolare, i genitori della giovane vittima lavoravano entrambi come portieri in uno stabile in via Deruta, e Francesco, diciotto anni, unico figlio, frequentava il quarto anno al Liceo e si era iscritto al Fronte della Gioventù per la passione nell’organizzare qualsiasi attività politica. Dopo la morte di Francesco Ciavatta, Patrizia Walton, dirigente del Movimento Sociale Italiano, fu incaricata di seguire la famiglia Ciavatta. Dopo alcuni mesi la situazione era preoccupante. Nel suo rapporto a Giorgio Almirante, spiegava che il padre, Mario, aveva accusato malissimo il colpo. Chiuso in un preoccupante stato di mutismo: taciturno, silenzioso, un uomo spezzato dal dolore. Mentre la moglie, Angiolina Mariano, piangeva, si disperava ma riusciva ad esternare tutte le sue emozioni. Dopo pochissimi giorni, il padre di Francesco Ciavatta si suicidò bevendo, fino all’ultima goccia, acido muriatico contenuto in una bottiglietta. Fu ritrovato cadavere nei giardinetti pubblici senza labbra.
Arriviamo alla sera del 10 gennaio 1979 quando si consumo’ l’efferato assassinio del giovane 17enne, Alberto Giaquinto.
Il giovane fu ucciso da un poliziotto in borghese, Alessio Speranza, con un colpo alla nuca mentre si allontanava pacificamente da una manifestazione.
Giaquinto era insieme al suo amico Massimo Morsello, cantautore e poeta, che cercò inutilmente di dargli i primi soccorsi. L’ambulanza arrivò solo 30 minuti dopo, e dopo poche ore Alberto cessava di vivere tra le braccia della madre. Molti giovani avevano visto quello che era accaduto, ma quando andarono in commissariato a testimoniare, si videro denunciati perché la manifestazione non era autorizzata. Vergogna nella vergogna, perché – come disse alla Camera lo stesso Giorgio Almirante – il Msi aveva ben chiesto con settimane di anticipo alla questura l’autorizzazione a ricordare i morti di Acca Larenzia con un corteo silenzioso aperto dai parlamentari del partito, cosicché non ci fosse pericolo di disordini. Ma dopo aver perso tempo per parecchi giorni, il ministro dell’Interno aveva rimandato i missini al questore, il quale disse, all’ultimo momento, come faceva spesso, che il corteo non si sarebbe fatto. Ma i giovani missini avevano il diritto e il dovere di ricordare i loro morti, soprattutto perché le indagini su Acca Larentia non avevano alcuna svolta.
Sin dal primo momento si tentò, da parte delle sinistre e dei soliti giornali di regime, e anche da parte della questura, di infangare e calunniare Alberto Giaquinto, dicendo falsamente che era armato, che aveva munizioni, che aveva minacciato i poliziotti: tutte menzogne smentite dalla realtà dei fatti, in quanto nessuna pistola fu mai trovata, né le munizioni, e fu altresì provato che il giovane stava andando via.
Infatti nei momenti in cui Giaquinto agonizzava e la famiglia era accorsa all’ospedale San Giovanni, la questura inviò una perquisizione a casa Giaquinto, all’Eur, nella frenetica ricerca di un’arma che non fu ovviamente mai trovata. “Non la troviamo , non la troviamo!”, “La dovete trovare!”, era il tono delle telefonate tra i poliziotti e la questura a casa Giaquinto.
Ma la vergogna non si attesta infatti dopo l’assassinio: il ministero rifiutò per giorni di fornire il nome del poliziotto. Una condotta intrisa da un’indegna e incivile omertà.

Una situazione a dir poco allucinante per quello che dovrebbe essere uno stato di diritto.
Una situazione così vergognosamente allucinante che porterà il padre della vittima a trovare le risposte per avere così giustizia.
Teodoro Giaquinto era un farmacista che aveva la sua attività a Ostia, simpatizzante missino, tanto che ogni mese non mancava di far avere il suo piccolo contributo alla locale sezione del Msi, poiché allora non c’era il finanziamento pubblico e il Msi appariva che non rubava come invece facevano i partiti dell’arco costituzionale. Questo padre, infatti, visto che gli inquirenti non facevano il loro mestiere, anzi ostacolavano la ricerca della verità, pagò di tasca propria un’agenzia di investigazioni la quale sentì centinaia di testimoni, sia tra i ragazzi che avevano partecipato alla manifestazione sia tra gli abitanti del luogo sia tra i commercianti nei pressi di piazza dei Mirti. Nessuna pista fu trascurata, e in breve si seppe la verità. Fu Almirante che in un’interrogazione parlamentare, atto insindacabile, fornì al Viminale il nome del colpevole. Ma le denunce per i missini che si erano recati a testimoniare rimasero.
Alla catena di ingiustizie ecco il colpo di grazia: Speranza fu condannato a sei mesi per “eccesso colposo di legittima difesa”.
Condanna a dir poco inquietante dal momento che una persona amata non può macchiarsi di eccesso di legittima difesa verso una persona disarmata che, per di più, era intento ad allontanarsi anziché aggredire. Una morte ingiusta con un’ingiusta giustizia. Una delle tante dove viene spezzata una giovane vita. Quella di uno studente amato da tutti, estroverso, amante della musica e del calcio, allegro, come tutti i ragazzi della sua età.
Ma la sua morte non fu scolpita come quella di altre vittime care al sistema democraticamente in rosso.
Perché?
Semplice: era solo un fascista.
Una delle tante, troppe vittime di terroristi di sinistra o delle forze dell’ordine, volutamente gettate nel limbo.
Come quella di Mauro Culla, amico e compagno di classe di Alberto Giaquinto, rimasto così turbato per la morte dell’amico da togliersi la vita impiccandosi.
Vicende, eventi, colpi di scena, che vedono vite spezzate e famiglie distrutte in quella che più che una strage sa di una spirale maledetta scritta col sangue di italiani per mano di altri italiani.




Benedetto XVI e cristianofobia

Di Rita Lazzaro

In base ad un Rapporto di Pew Research Center del 2011, intitolato “The future of global muslim population”, i musulmani presenti nel continente europeo sono 43 milioni (se consideriamo anche la Russia), e rappresentano circa il 5,6% della popolazione totale.Tali dati fanno riferimento al 2010, mentre per il 2050 si stima una presenza di 70 milioni, con un’incidenza pari al 10% circa.
Proseguendo sempre in base ai dati emessi da tale rapporto, i musulmani sono attualmente più di 20 milioni e rappresentano circa il 6% della popolazione comunitaria. Come sopra accennato, in seguito al grande afflusso di rifugiati giunti in Europa nel 2015, la Germania ha accolto circa 700 mila profughi di fede musulmana, e ad oggi il paese conta nel suo territorio circa 6 milioni di musulmani. La presenza musulmana in Germania rappresenta dunque, insieme anche alla Francia (5,8% milioni di musulmani), tra le più elevate in termini numerici in tutta Europa. Un numero che ha portato a parlare di islamofobia ossia “avversione nei confronti dell’Islam e dell’islamismo” .
Un fenomeno sociale non facile da definire, poiché da un lato si può rischiare di una sopravvalutazione/generalizzazione, dall’altro del ridimensionamento/negazione della sua portata sociale e politica.
Una situazione che nel 2013 ha portato alla risoluzione del Parlamento europeo sul potenziamento della lotta al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo, all’islamofobia, all’ostilità verso i Rom (Sinti, nomadi), all’omofobia, alla transfobia e a tutte le altre forme di discriminazione.
Da notare la presenza del termine islamofobia e la mancanza di quello concernente la cristianofobia.
Un’ assenza alquanto strana per non dire inquietante, visto che la religione cristiana è quella più perseguitata al mondo.
Una persecuzione che, per di più, è in continuo aumento.
Dati docent: nel mondo sono oltre 360 milioni i cristiani vittime di un livello alto di persecuzione e discriminazione a causa della loro fede. Uno ogni sette.

L ‘Afghanistan oggi è il Paese più pericoloso al mondo per i cristiani, seguito da Corea del Nord, Somalia, Libia, Yemen, Eritrea, Nigeria, Pakistan, Iran, India e Arabia Saudita, solo per citare i primi dieci Paesi.
Questo è quanto è emerso dall’ analisi della ” World Watch List” 2022, rapporto sui 50 Stati dove i cristiani subiscono persecuzioni, curato dall’organizzazione Porte Aperte/Open Doors per il periodo primo ottobre 2020 – 30 settembre 2021, presentata agli ultimi giorni dell’anno alla Camera dei deputati.
Da ricordare che la cristianofobia si sta espandendo a macchia d’olio anche in Europa.

‘Fuego al Clero’ è stata l’ultima campagna d’odio lanciata in Spagna contro i seguaci di Gesu’ Cristo. Lo slogan violento inventato per incitare a bruciare chiese, sacerdoti e religiosi cattolici non ha riscosso veti e biasimo di sorta. L’appello ad azioni terroristiche che prendono di mira la cattolicità non è stato censurato né condannato nelle opportune sedi, tra social, istituzioni ed Ong.
Nella cattolica Polonia l’attacco alla Chiesa non è meno violento. Dopo la sentenza di incostituzionalità dell’aborto eugenetico, la reazione del terrorismo anti cattolico non s’è fatta attendere. Per diverse settimane i polacchi hanno subito l’aggressività, la volgarità e la violenza di chi non ha digerito l’iniziativa della Corte Costituzionale. Gruppi di abortisti organizzati e manovrati hanno iniziato a profanare gli edifici ecclesiastici, dedicandosi anche ai graffiti per rovinarne le facciate e al lancio di rifiuti ed escrementi. Al punto che gli stessi fedeli hanno dovuto presidiare, fisicamente, le chiese per difendere il Santissimo e l’integrità delle strutture. Simbolo dei manifestanti, che hanno messo a ferro e fuoco le città, un fulmine rosso.
Anche la banca mBank (appartenente alla tedesca Commerzbank) ha realizzato un video di sostegno alle manifestazioni intitolato «Wspieramy» (Noi sosteniamo); è bastato qualche giorno perché il quotidiano di sinistra, Gazeta Wyborcza, di George Soros, annunciasse il lauto finanziamento delle future manifestazioni.
In Francia l’assedio alla cristianità sembra essere preso da una spirale di violenza senza fine. Gli incendi dolosi che hanno coinvolto le chiese cattoliche francesi, e che non hanno mai un colpevole, sono sempre più diffusi. L’incendio appiccato nella cattedrale gotica di San Pietro e Paolo, a Nantes il 18 luglio 2019, è stato segnalato in tutto il mondo. Ma gli attentati incendiari contro le chiese francesi, di solito, non fanno notizia a livello internazionale. Notre Dame, Saint Denis, Rennes, Saint Sulpice a Parigi, Pontoise, Nancy, Nantes, Nostra Signora delle Grazie di Revel, Saint-Jean-du-Bruel di Rodez, la cattedrale di Saint Alain di Lavaur, sono solo i casi più eclatanti.
In Francia la cristianofobia è aumentata del 300% in dieci anni.
In Inghilterra e Galles, il governo ha cercato di fornire un sostegno finanziario ai luoghi di culto potenzialmente a rischio di attentati. In Francia è nata l’iniziativa spontanea ‘Protège ton église’, Proteggi la tua chiesa: i giovani cattolici si stanno organizzando nelle città di tutta la Francia per controllare le loro chiese di notte e rendere visibile la presenza del cattolicesimo.
In Italia la cristianofobia trova la sua espressione migliore nei numerosissimi casi di statue della Vergine e di Gesù divelte e imbrattate, ma soprattutto nell’annosa aggressione a crocifissi e presepi nei luoghi pubblici. Gli incendi dolosi sono cosa rara, ma intanto don Malgesini, a settembre del 2019,veniva assassinato da un immigrato clandestino perché sacerdote. Ma gli episodi spesso non finiscono nemmeno sulla cronaca completamente disinteressata alla faccenda.
La cristianofobia non si è fermata neppure durante il periodo natalizio. Basti pensare infatti a quanto successo a Bergamo nella notte tra il primo ed il 2 gennaio, dove la statuetta di Gesù bambino è stata trafugata dal presepe allestito in piazza Italia. A dare notizia dell’accaduto è stato il sindaco Camillo Bertocchi, mentre indignazione per l’accaduto è stata espressa dal Circolo Fratelli d’Italia Bergamo Est.
Poco prima di quest’ «atto vile e ignobile», così come definito dal primo cittadino, a Reggio Emilia si sono verificati svariati atti di vandalismo contro la Natività.
Infatti diversi presepi, in aree pubbliche ma anche private, hanno subito danneggiamenti agli addobbi, furti di luminarie, perfino statue di Gesù bambino sparite. Come accaduto al presepe in centro a Rolo , dove si sono aggiunti anche dei vandalismi gratuiti. Tanto che gli organizzatori di “Rolo in festa” hanno lasciato un messaggio di condanna rivolto proprio agli autori del gesto. Simili episodi si sono verificati pure a Roncocesi e Vezzano . Danneggiamenti pure a un presepe in un cortile privato nel quartiere Espansione sud a Correggio , oltre che a Reggiolo .
Perfino nella chiesa a San Martino di Guastalla qualcuno ha cercato di rubare qualcosa. Ma, notato da un fedele entrato all’improvviso, il giovane sospetto si è allontanato in fretta. Di questi episodi si era parlato nelle cronache pure negli anni scorsi: a Guastalla era stato trafugato il bambinello in piazza Primo Maggio, così come al presepe del Borgonuovo a Novellara oppure in centro a Reggiolo, a Casoni di Luzzara, a Quattro Castella. In quasi tutti i vari episodi, le statuine erano state poi ritrovate e rimesse al loro posto, pur se erano rimasti i danni lasciati dai vandalismi, oltre ad ammanchi di luminarie e altre attrezzature.
A questi atti vandalici da ricordare la continua avversione delle scuole, a partire dalla materna, nella realizzazione del presepe.
Come successo a Emanuele Mastrangelo che, dopo un duro braccio di ferro con l’asilo della figlia, a Roma, è riuscito a far valere il diritto di tutelare le nostre radici, la nostra identità, le nostre tradizioni, la nostra cultura.
Proprio come previsto dalla Costituzione che sì prevede la laicità dello stato ma senza rinnegare le sue radici.
Vicende e dati che rendono ancora più viva la frase di Papa Benedetto XVI “E’ urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere dappertutto il Vangelo” .

In questo pantano la Russia ha attuato un rafforzamento ed un innalzamento della religione cristiana come “faro” nazionale ed identitario; invece in Ucraina Zelensky sta ponendo restrizioni immani al cristianesimo ortodosso.

Vocabolario

*Immani: grandi.

*Veto: divieto.




Meloni: giunge il richiamo da Mosca

L’Italia non può essere mediatrice nel conflitto tra Mosca e Kiev, ha detto mercoledì la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. Le osservazioni sono arrivate in risposta a una precedente iniziativa espressa dal primo ministro italiano Giorgia Meloni.

“È strano per noi ascoltare proposte di mediazione da nazioni che hanno assunto una posizione anti-russa inequivocabile e piuttosto aggressiva fin dall’inizio dell’operazione militare in Ucraina”, ha detto Zakharova in una uscita pubblicata dal ministero.

Roma è tra i Paesi che hanno apertamente sostenuto Kiev e le hanno attivamente fornito “un’ampia gamma di armi”, comprese le mine antiuomo, ha osservato la portavoce, aggiungendo che queste “azioni sconsiderate non fanno che moltiplicare il numero delle vittime, anche tra i civili ” e ritardare la fine del conflitto.

Ulteriori forniture di armi all’Ucraina potrebbero anche mettere i sostenitori della NATO di Kiev a rischio di essere direttamente coinvolti in un conflitto militare con la Russia, ha avvertito Zakharova. Tuttavia, a quanto pare, gli sponsor ucraini non hanno intenzione di interrompere le consegne e desiderano solo aumentarle, ha aggiunto.

“Alla luce della posizione guidata dall’agenda assunta dall’Italia, ovviamente non possiamo considerarla né un ‘intermediario onesto’ né un potenziale garante del processo di pace”, ha affermato il funzionario.

Germania, Italia, Austria e Giappone sono stati tra i 50 membri dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che hanno votato contro la risoluzione russa per condannare l’esaltazione del nazismo, unendosi all’opposizione annuale di Stati Uniti e Ucraina. 

Il voto finale di giovedì pomeriggio è stato di 120 favorevoli, 50 contrari e dieci astenuti. Oltre alle ex potenze dell’Asse, altri importanti “no” includevano Canada, Regno Unito, Francia, Spagna, Polonia, Cechia, Polonia, Ungheria e i tre stati baltici. Svizzera, Corea del Sud e Türkiye sono stati tra gli astenuti degni di nota.

Mosca propone la risoluzione ogni anno, esortando le Nazioni Unite a combattere la “glorificazione del nazismo, del neonazismo e di altre pratiche che contribuiscono all’escalation delle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza”.

La risoluzione invita i membri delle Nazioni Unite a intraprendere azioni appropriate per contrastare il revisionismo storico e la negazione dei crimini contro l’umanità commessi durante la seconda guerra mondiale.

Usa ed Ucraina hanno per anni votato  contro la risoluzione proposta dalla Russia . Sono stati gli unici “no” nel 2021, mentre altri 49 si sono astenuti, principalmente alleati di Washington. In quell’occasione, l’inviato americano  ha asserito che la risoluzione era incompatibile con le garanzie di libertà di parola del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e ha accusato Mosca di “narrazioni di disinformazione” sul neonazismo negli Stati baltici e in Ucraina. 

Spiegando la loro opposizione dopo il dibattito in commissione del mese scorso, gli Stati Uniti hanno  definito  la risoluzione “non uno sforzo serio per combattere il nazismo, l’antisemitismo, il razzismo o la xenofobia – che sono tutti aberranti e inaccettabili”, ma piuttosto un “vergognoso stratagemma politico” per giustificare il conflitto in Ucraina. 

La diplomatica moscovita autrice di tali affermazioni e’ la stessa che redargui’ Giletti rintuzzando coriacemente i suoi attacchi e le proprie osservazioni, al principio della guerra di Kiev, apostrofando il conduttore italiano come ingenuo ed inmaturo, in relazione alla reale situazione ucraina.

In Italia i proseliti di Meloni figurano in calo sopratutto a causa della cesura ai fondi per il reddito di cittadinanza e l’aumento del prezzo dei carburanti e dell’elettricita’, binariamento a quello delle armi e dei soldi elargiti ai profughi ucraini ed alla causa di Zelensky. Il presidente italiane si e’ resa protagonista, recentemente, di numerose dichiarazioni pubbliche su stati esteri viste come intromissioni illegittime.

Vocabolario

*Intromissioni: entrate.

*Illegittime: non conformi alla legge.

*Proseliti: sostenitori.




Oligarchi: enormi perdite economiche e crescita Russia

I miliardari del mondo hanno avuto un anno difficile, avendo perso quasi 2 trilioni di dollari messi insieme nel 2022, dopo aver aggiunto trilioni alle loro fortune collettive nei due anni precedenti, ha riferito la rivista Forbes.bSecondo le sue stime, i miliardari americani sono stati i più colpiti, perdendo complessivamente 660 miliardi di dollari a causa del crollo dei prezzi delle azioni tecnologiche dovuto all’aumento dei tassi di interesse, all’aumento dell’inflazione e al peggioramento dell’economia.

Il rapporto statunitense ha evidenziato che il CEO di Tesla e Twitter, Elon Musk, ha visto la sua fortuna diminuire di più. Il patrimonio netto di Musk è crollato di circa $ 115 miliardi l’anno scorso, ha calcolato Forbes. Il prezzo delle azioni di Tesla è sceso di quasi il 70% per l’anno. Anche se pare-secondo altri ricercatori e parametri-che tra i magnati mondiali il creatore di Space X e Neuralink, abbia perso di meno e rimanga in attivo rispetto ai guadagni legati al 2022. Scenario diametralmente opposto invece, avvale Jeff Bezos di Amazon, Bill Gates di Microsoft, Moderna e Pfiser, Mark Zuckerberg di Facebook, Instagram, Whatsapp: tra essi le perdite principali le ha subite Jeff Bezos seguito Bill Gates.

Sebbene Musk abbia perso la corona di persona più ricca del mondo lo scorso anno, è ancora il più ricco degli Stati Uniti, con un patrimonio netto di quasi 139 miliardi di dollari al 27 dicembre, secondo Forbes. Mentre si rivelano maggiorati gli incidenti con la Tesla come l’ultimo in California che ha coinvolto, senza dipartite, una famiglia di quattro persone, ebbene si evince un tentativo coordinato di danneggiamento a Musk: cio’ per mezzo dell’infiltrazione nel sistema informatico della Tesla, il quale contempera anche la guida autonoma.

Musk è “il più grande perdente del 2022”, secondo la pubblicazione anglosassone, ma non è l’unico miliardario il cui patrimonio netto ha subito un duro colpo. Gli altri cinque miliardari statunitensi che hanno perso di più nel 2022, secondo Forbes, sono: il fondatore e CEO di Amazon Jeff Bezos (-80 miliardi di dollari), il co-fondatore di Meta Platforms (società madre di Facebook) Mark Zuckerberg (-78 miliardi di dollari), il co-fondatore di Google il fondatore e membro del consiglio Larry Page (-$40 miliardi), il presidente di Nike Phil Knight (-$18,3 miliardi), il presidente emerito di The Estée Lauder Companies Leonard Lauder (-$9,8 miliardi). Amazon e’ in procinto di licenziare diciottomila dipendenti e si sta indebitando in maniera crescente. Emerge inoltre che i ricchi americani spendono di meno, anche durante le appena trascorse festivita’ natalizie.
Il rapporto ha anche mostrato che anche il numero di miliardari è diminuito, da 2.671 a 2.523, secondo il tracker in tempo reale di Forbes, poiché magnati di alto profilo come Sam Bankman-Fried di FTX, Kanye West e il fondatore di Rivian RJ Scaringe sono usciti dai ranghi .

Le prospettive per la corporation simbolo di quella che fu la globalizzazione sono funeste. Se Amazon dovesse scomparire si potrebbe aprire un enorme buco in quel settore che un domani potrebbe essere riempito da una nuova IRI, affermano alcuni periti.

I milionari statunitensi stanno tagliando le loro spese per le vacanze a causa dell’aumento dell’inflazione, che considerano un grave rischio per l’economia e la loro ricchezza personale, secondo un sondaggio della CNBC.

Secondo l’outlet, l’80% degli intervistati milionari – quelli con beni investibili di $ 1 milione o più – ha dichiarato di voler spendere meno durante le festività natalizie a causa dell’inflazione. I millennial milionari sono i più propensi a ridurre, con il 100% che afferma di voler spendere di meno, rispetto al 78% dei baby boomer.

Alla domanda su come stanno rispondendo all’inflazione, la maggioranza dei milionari (52%) ha spiegato di essere “più attenta ai prezzi” quando fa la spesa e un terzo ha affermato di cenare meno spesso al ristorante.

“Stanno diventando più cauti su come stanno spendendo i loro soldi”, ha detto George Walper, presidente di Spectrem Group, che ha condotto il Millionaire Survey con CNBC.

L’inflazione negli Stati Uniti ha toccato i massimi degli ultimi 40 anni quest’estate, spinta dall’aumento dei prezzi. I dati ufficiali mostrano che il tasso è rallentato da allora, con l’indice dei prezzi al consumo che si è attestato al 7,1% a novembre, in calo rispetto al +7,7% del mese precedente.

La ricerca della CNBC ha sottolineato che mentre l’inflazione ha avuto un impatto sulla spesa dei milionari, sono divisi quando si tratta di apportare modifiche ai loro portafogli di investimento. Quando è stato chiesto in merito, il 29% ha riferito di aver già apportato modifiche, mentre un altro 11% ha dichiarato di aver solo intenzione di farlo. Quasi un terzo (30%) ha affermato che “potrebbe o meno” apportare modifiche e il 31% ha dichiarato di non aver pianificato alcun cambiamento.

Le sanzioni dell’UE alla Russia per il conflitto ucraino sono state un completo fallimento, ha affermato lunedì l’eurodeputato belga Guy Verhofstadt. Ha aggiunto che l’UE stava solo “ricompensando” la Russia aumentando le importazioni dal paese.

Scrivendo su Twitter, Verhofstadt, primo ministro belga dal 1999 al 2008 ed eurodeputato dal 2009, ha affermato che l’effetto dei nove pacchetti di sanzioni dell’UE su Mosca “è inferiore a 0”.

L’ex primo ministro ha affermato che i tentativi del blocco di punire la Russia hanno ottenuto il risultato opposto. “Stiamo premiando la Russia per la sua guerra contro di noi!”. Lo riporta Rt.

Verhofstadt ha anche pubblicato un grafico intitolato “Still Filling Putin’s Coffers”, che mostra il commercio Russia-UE da febbraio ad agosto 2022. Il grafico, che cita i dati di Eurostat, mostra che la maggior parte degli Stati membri dell’UE, tra cui Germania, Francia, Italia e Polonia, ha registrato aumento delle importazioni dalla Russia. In totale, solo sette membri dell’UE hanno acquistato meno dal paese.

Dopo l’inizio dell’operazione militare russa in Ucraina, l’UE ha imposto sanzioni senza precedenti a Mosca, colpendo interi settori dell’economia. A dicembre, il blocco, insieme ai paesi del G7 e all’Australia, ha introdotto un prezzo massimo per il petrolio russo trasportato via mare, fissato a 60 dollari al barile. In risposta, la scorsa settimana, il presidente Vladimir Putin ha firmato un decreto che vieta la fornitura di petrolio e prodotti petroliferi dalla Russia ai paesi che applicano queste restrizioni.

Le sanzioni alla Russia hanno esacerbato la crisi energetica del blocco, facendo salire i prezzi del carburante e il costo della vita. Ciò ha provocato proteste contro la politica delle sanzioni in diversi paesi dell’UE. A dicembre si è svolta a Parigi una manifestazione organizzata dal partito di destra Patriots contro la posizione del governo sull’adesione della Russia e della Francia alla NATO.

Nel suo discorso di Capodanno, Putin ha affermato che la “guerra di sanzioni in piena regola” dell’Occidente contro Mosca non è riuscita in gran parte a minare l’economia russa.

Vocabolario

*Magnate: imprenditore miliardario.

*Esacerbato: peggiorato.

*Periti: esperti.




Non solo Qatar: i talebani tornano ad uccidere donne e stuprare minori

Di Rita Lazzaro

Natale, un giorno che dovrebbe essere di pace, serenità e famiglia. Condizionale che è d’obbligo visto il Natale trascorso dalle donne afghane le quali sono scese in piazza per l’istruzione. Alcuni gruppi di giovani donne sono scese in piazza a Herat per protesta, sfidando i Talebani. C’è anche una campagna degli studenti maschi che boicottano esami e lezioni.

A Herat, nell’Afghanistan occidentale, le donne sono scese in piazza per rivendicare il diritto di frequentare l’università.

Ecco che dopo la scuola vietata alle bambine, subentra un ulteriore divieto che lede ulteriormente il diritto all’istruzione per l’universo in rosa: i Talebani hanno vietato alle studentesse di frequentare le università con effetto immediato, provocando così manifestazioni in piazza contro il regime.

Ma le donne afghane continuano a non avere pace, infatti a questo divieto se ne è aggiunto subito un altro: le donne non potranno più lavorare per le Ong, soprattutto quelle internazionali.

«L’istruzione è un nostro diritto», è questo il grido delle donne che, la mattina di Natale, si sono recate verso casa del governatore della provincia di Herat quando sono state respinte dalle forze di sicurezza che hanno sparato con i cannoni ad acqua, costringendole a nascondersi in una via laterale. Ma questo non ha demoralizzato le manifestanti che, infatti, non si sono fermate e hanno ricominciato con l’urlo «Talebani codardi».

Secondo le testimonianze raccolte dall’agenzia Ap, tra le 100 e le 150 donne hanno preso parte alla protesta. Un portavoce del governatore provinciale, Hamidullah Mutawakil, ha affermato che c’erano solo quattro-cinque manifestanti. Secondo la Bbc sarebbero state qualche decina. Ma a questa protesta si sono aggiunti anche alcuni uomini.

«Fino a quando le nostre sorelle non potranno studiare di nuovo, boicotteremo anche l’educazione degli uomini», ha spiegato il responsabile Ajmir Sadat allTolo News. Infatti nel paese è stata anche lanciata una campagna di protesta da un gruppo di studenti per il diritto all’istruzione universitaria con lo slogan «O tutti o nessuno». Ci sono stati studenti che hanno lasciato le aule durante la lezione o hanno rifiutato di sostenere gli esami per solidarietà con le loro compagne.

Circolano anche video in cui si vede la polizia sparare su studenti che boicottano gli esami nella provincia di Kandahar. Ciò, purtroppo, sembra non fermare il regime dei talebani che si fa sempre più discriminatorio. Infatti oltre a colpire il diritto allo studio, i talebani hanno leso anche il diritto al lavoro ordinando a tutte le ong straniere e nazionali di non lavorare più con le donne.

Il motivo delle prescrizioni politiche in questa fetta di Medio Oriente starebbe nel fatto che le donne che lavorano nelle Ong non seguono un codice di abbigliamento appropriato. «Ci sono state gravi lamentele sul mancato rispetto dell’hijab islamico e di altre norme e regolamenti relativi al lavoro delle donne nelle organizzazioni nazionali e internazionali», ha dichiarato il ministro dell’Economia che, per inciso, è anche la persona da cui dipende l’approvazione delle licenze per le ong che operano in Afghanistan.

Il ministero afghano ha spiegato che «in caso di inosservanza della direttiva (…) la licenza dell’ente che era stata rilasciata da questo ministero sarà annullata». Anche il divieto di frequentare le università è stato giustificato con lo stesso argomento: le donne «non hanno rispettato le indicazioni sull’hijab», ha detto il ministro dell’Istruzione superiore, Neda Mohammad Nadeem.

Ed è così che le donne afghane stanno sparendo dalla vita pubblica. Infatti nonostante le promesse iniziali, da quando i talebani sono tornati al potere nell’agosto dell’anno scorso le donne sono state escluse progressivamente dalla vita pubblica, politica e dall’istruzione.

Lo scorso maggio, le giornaliste televisive sono state costrette a coprirsi il volto per poter andare in onda. Nello stesso mese il governo ha imposto il burqa per passeggiare in pubblico. Infine, la grande promessa tradita a marzo: la non riapertura delle scuole. Gli estremisti al potere avevano annunciato che avrebbero riaperto tutte le scuole sia maschili che femminili, dopo uno stop che durava da 190 giorni, ma poco dopo il governo ha emanato un rinvio con una giustificazione che sa di pretesto: non erano ancora state progettate le uniformi scolastiche compatibili con l’indicazione della Sharia.

Nonostante le repressioni, in più occasioni violente, le donne afghane hanno continuato ad alzare la voce contro il regime oppressivo scendendo in piazza e manifestando dissenso. Ultima recriminazione manifestata in ordine di tempo è stata la protesta di decine di donne della minoranza hazara – un’etnia sciita storicamente perseguitata e oppressa dai Talebani e dall’Isis – scese tra le strade di Kabul contro l’attentato suicida avvenuto lo scorso ottobre in una scuola, provocando la morte di almeno 35 persone, gran parte giovani donne. Donne la cui pecca è stata quella di essere nate nel Paese sbagliato. Una Terra in cui la condizione delle donne non è mai stata facile, anzi… È stata una continua altalena tra passi avanti di civiltà ,emancipazione ed altrettanti passi indietro che cancellano i primi, scrivendo una nuova era oscurantista.

Dopo le numerose guerre civili e i vari cambiamenti di regime, i diritti delle donne sono stati spesso ostacolati dagli integralisti, i quali hanno avuto il potere in diverse epoche storiche. Durante la monarchia (1926-1973) hanno avuto luogo una serie di riforme in funzione dei diritti delle donne. Ad esempio, dal regno di re Amanullah (1919-1929) si susseguirono alcune riforme liberali nei confronti delle donne per unificare e modernizzare il paese, anche se la questione femminile nelle zone rurali è rimasta sempre la stessa. Si trattò di riforme dirette a combattere la mentalità patriarcale, evidenziando l’educazione femminile, portandole a indossare abiti più occidentali.

Un altro passo fondamentale per l’integrazione della donna in Afghanistan avvenne nel 1921 con l’abolizione del matrimonio forzato, assieme a quello infantile: il prezzo della sposa e con restrizioni sulla poligamia, molto comune nelle zone rurali.

I successori Mohammed Nadir Shah e Mohammed Zahir Shah applicarono riforme con più cautela, anche se molto moderne. Le riforme continuarono dal 1953 con grossi passi avanti per le partecipazione della donna alla vita pubblica.

Tra le migliori riforme afghane va annoverato un passo fondamentale che avvenne nel 1964 quando le donne ottennero il diritto di voto e di essere elette in cariche elettive. Ma fu comunque una vittoria a metà visto che le donne continuavano a vivere come casalinghe e fu infatti una rarità averle al governo.

Un passo fondamentale per la vita pubblica in rosa avvenne invece nel 1965. Infatti ben 6 donne vennero elette per la prima volta all’interno del Parlamento.

Un altro traguardo rivoluzionario in Medio Oriente per i diritti della donne fu del 1978, con Nur Muhammad Taraki.

Infatti il suo Governo concesse gli stessi diritti degli uomini alle donne in tutti gli ambiti, dando loro la facolta’ di scegliere marito e di far carriera. Uno degli obiettivi del Governo era la lotta all’analfabetismo e al lavoro femminile.

Negli anni dell’occupazione sovietica le donne beneficiarono di molti diritti, dall’istruzione all’emancipazione dall’uomo, ma, in ogni caso, la mentalità da sempre conservatrice e patriarcale afghana prevalse sempre, anche in quel periodo.

La situazione della nazione afferente la Russia orientale cambiò radicalmente nel 1992, quando i mujaheddin salirono al potere. Infatti con loro alcuni dei diritti che le donne ebbero dal 1978 fino a quell’anno vennero rimossi: l’adulterio divenne punibile con l’esecuzione e l’hijab divenne obbligatorio, ma non il burqa (il quale divenne obbligatorio per tutte le donne dal 27 settembre 1996). Venne richiesto alle donne di indossare abiti non aderenti; le ragazze vennero iscritte in scuole solo femminili e non venne loro concesso di lavorare in maniera professionale, ma solo negli uffici e come dipendenti. Le donne, ad esempio laureate in economia, potevano lavorare solo come impiegate di banca o negli uffici, indossando comunque l’hijab.

In quel lasso di tempo (fino al 1996) era ancora comune vedere donne indossare hijab all’iraniana o anche abiti molto sfarzosi variopinti (almeno nelle grandi città). Il velo era principalmente simbolico.

Nonostante le varie limitazioni che già imposero i mujaheddin alle donne, queste continuarono a lavorare e molte disposizioni del 1964 rimasero in vigore.

Nel 1996, con l’arrivo dei talebani, la situazione divenne drammatica, se non tragica. Infatti dal 1996 al 2001 i talebani violarono ampiamente i diritti delle donne: dall’uscire di casa da sole al trascorrere invece tutto il tempo nella propria abitazione con la possibilità di uscire solo se accompagnate da un tutore maschio. Il burqa divenne obbligatorio con divieto di cosmetici e poi, dal maggio ad ottobre 2001, di smalto e gioielli.

Venne proibito loro di ridere, di lavorare (se non come infermiere e medico) e di frequentare la scuola.

Nessun uomo avrebbe dovuto rivolgere la parola a una donna afghana e questa non avrebbe nemmeno dovuto guardarlo negli occhi o stringergli la mano.

Tutte le donne presenti in radio, in televisione e in uffici pubblici vennero licenziate. Vennero proibite le biciclette e tutti i tipi di sport possibili per le donne. Vennero chiusi tutti i bagni pubblici femminili.

Gli uomini ebbero potere assoluto sulle donne privandole di ogni diritto: dietro ai loro burqa, se malauguratamente i loro passi fossero giunti all’udito di un estremista, rischiavano di essere fustigate pubblicamente davanti a folle di altri folli estremisti. Incredibilmente vietarono alle donne anche di utilizzare calzari rumorosi; il rumore dei tacchi divenne vietato nel luglio 1997.

Tantissime furono le donne giustiziate per adulterio.Persino i nomi di giardini pubblici o di luoghi aventi la parola “donna” vennero modificati.

Dal 1996 al 2001 le donne poterono esercitare principalmente solo la professione di medico e infermiere in ospedali e strutture prettamente femminili. Le altre donne furono segregate in casa sotto lo stretto e asfissiante controllo degli uomini, con vetri oscurati per evitare che qualcuno, da fuori, avesse potuto scorgerle.

Molte donne si lasciarono morire suicidandosi (dandosi anche fuoco), oppure per mancanza di cure mediche o di parto naturale, visto che non sono state più visitate da medici uomini e le donne non hanno potuto più lavorare e studiare per diventare medico.

La situazione fortunatamente si capovolse nel 2001 con la caduta del regime talebano.

Nello stesso anno le bambine tornarono a scuola, anche se in istituti prettamente femminili, indossando come divisa ufficiale (attualmente ancora in vigore) l’hijab bianco e un abito nero, coprendo sia braccia sia gambe.

A causa di cinque anni scolastici persi per le ragazze, molte bambine anche di dieci anni dovettero frequentare lezioni della prima classe con bambine di cinque/sei anni.

Le donne tornarono anche a ricoprire ruoli politici e di rilievo come successe .

Il 26 gennaio 2003 poi, a Kabul, 28 donne presero la patente.

E nel 2009 in occasione delle presidenziali ci furono donne-seppure due donne- su quarantuno candidati.

Con l’entrata in vigore della nuova Costituzione del 26 gennaio 2004, rifacentesi a quella del 1964, le donne afgane, de jure, ricevettero gli stessi diritti degli uomini.

Nonostante fosse stato ripristinato anche il codice civile del 1976 e quello della famiglia del 1971, dove la donna afgana godeva di buoni diritti. Infatti nonostante i progressi a livello giuridico, la mentalità afghana rimase estremamente conservatrice, ostacolando l’emancipazione femminile, in quanto, di fatto, la donna continuò a subire molte limitazioni lavorative e sociali nelle zone rurali dove i talebani o i capi villaggio contavano infatti più della legislazione nazionale stessa; essa fubripristinata nel 2001.

Una mentalità che ostacolò anche gli interventi internazionali contro la violenza sulle donne. Una mentalità che continuò a considerare le donne quasi come oggetti, le quali devono rimanere in casa e svolgere le mansioni domestiche. Aspetto questo, che portò un intenso scontro culturale e un forte dislivello tra classi sociali e tra ambienti urbani e rurali

Infatti il 15 novembre 2008 degli ignoti aggredirono e lanciarono acido in faccia contro almeno quattordici studentesse e insegnanti, a Kandahar, per “punirle” per essere andate a scuola.

Il 12 aprile 2009, Sitara Achakzai, membro del Parlamento, venne uccisa dai Talebani.

Nelle elezioni del 2014, il presidente eletto dell’Afghanistan si impegnò per garantire alle donne pari diritti.Tuttavia ebbe molto successo nelle zone rurali.

Sempre secondo delle stime del 2014 le donne costituivano solo il 16% della forza lavorativa.

Nel maggio 2017, la Missione d’Assistenza delle Nazioni Unite in Afganistan stabilì che la maggioranza di colpevoli di delitto d’onore non era stata condannata. Nel 2018, secondo alcune ricerche, diminuirono in maniera significativa le donne senza burqa nel Paese dalla caduta del regime talebano. Tuttavia, la presenza sul territorio dei signori della guerra, dei trafficanti d’armi e di oppio, di bande criminali e di mafiosi, e dei talebani (dove in alcune province governano ancora), rendono il paese ancora insicuro.

Oltre alla cultura, altri fattori agiscono da ostacolo alla liberazione della donna da matrimoni costruiti sulla costrizione e l’abuso. Quando una donna non può avere figli l’uomo può ottenere facilmente il divorzio per risposarsi.

È secolarmente considerato un disonore per le famiglie più conservatrici una donna senza figli dal matrimonio. Grazie al coraggio di politiche e attiviste, dal 17 settembre 2020 anche il nome della madre comparirà nella carta di identità del figlio.

Vittorie su vittorie in ambito giuridico sebbene ostacolate dalla mentalità integralista; ma tutti questi passi avanti di civiltà e diretti a garantire la parità di genere sono stati cancellati nel 2021 dopo che il 15 agosto i Talebani hanno ripreso in mano Kabul,dando così nuovamente vita all’era oscurantista di cui le principali vittime sono prorio le donne.

Il capo dei Talebani aveva ufficialmente dichiarato che nel suo governo ci sarebbero state delle donne (anche se in base alla Sharia), e che esse avrebbero potuto studiare e lavorare liberamente senza essere ostacolate, indossando solamente l’hijab come indumento obbligatorio, e di avere in mente di costruire un Paese civile e democratico.

Le donne erano scettiche a riguardo e, viste queste ultime vicende, purtroppo, era uno scetticismo più che fondato.

In Europa riguardo i Talebani, imperversa livore a causa di attacchi web tesi a rimarcare i loro finanziatori che, a quanto pare, si aggirano nelle alte sfere della politica e della finanza euroamericane. Desta inoltre scalpore lo scandalo degli Bacha whazi, ovvero i bambini che in afghsnistan vengono tollerati nei loro travestimenti femminei e nelle proprie attivita’ di meretricio, in eta’ inferiore all’adolescenza.

Vocabolario

*Meretricio: prostituzione.

* Imperversa: ha luogo.

* Scalpore: scandalo; grande attenzione.




Tifoso bambino morto

Di Rita Lazzaro

Quanti sogni ha un ragazzo di 16 anni?
Tanti quanti è la sua voglia di viverli per realizzarli.
Purtroppo non è stato così per Alessandro Buonocore, il piccolo tifoso del Napoli, morto all’età di 16 anni dopo aver lottato a lungo contro un brutto male.
Qualche anno fa il ragazzo era apparso in tv nel corso della partita Napoli-Sassuolo quando aveva accompagnato le squadre in campo. Un momento di gioia in seguito trasformato in un atto vile e ignobile per mano dei fanatici da tastiera. Infatti il giovanissimo tifoso del Napoli fu deriso e bullizzato per il suo peso da molti utenti, non curanti della sua giovane età e della malattia che lo accompagnava.
Una vicenda vergognosa che porto’ l’intervento del Calcio Napoli.
Alessandro in seguito ai vili attacchi era riuscito ad incontrare il suo idolo: Lorenzo Insigne. Ha anche partecipato alla trasmissione televisiva “La vita in diretta” dove aveva detto: “Mi hanno bullizzato sul web, nei primi minuti hanno detto che ‘avevo mangiato Insigne, il pallone…’ prima di scendere in campo. Ci sono rimasto un po’ male, ma ho pensato che alla fine volevano stare loro al mio posto“. Però, non è mancata la vicinanza di chi veramente gli vuole bene: “Mi hanno detto di starmi vicino, di non preoccuparmi e non pensare agli altri. E Io voglio starli a sentire“. Infine, una risposta agli insulti: “Io sono fiero di essere napoletano e la passione per il Napoli non potrà togliermela mai nessuno. Guardate solo a voi“.

Un ragazzo fiero delle sue origini e orgoglioso della sua squadra ma soprattutto un vincitore perché ha lottato fino alla fine senza mai arrendersi né tanto meno fermarsi di fronte al male dei mali: la cattiveria del genere umano.
Una storia su cui riflettere sia sotto l’aspetto umano che giuridico. Per quanto concerne il primo, da ricordare che il bullismo assieme al fallimento scolastico è tra le principali cause di suicidio tra i giovani. Queste rappresentano problematiche che non sono state affrontate e quindi risolte né sotto il profilo socio culturale né tanto meno giuridico.
In relazione al bullismo, ad esempio, non vi è alcuna norma diretta a contrastarlo tenendo conto della giovane età del carnefice e della vittima e di conseguenza cercando un sistema rieducativo a cui affidarsi per combattere così questa piaga umana, sociale; ma anche una falla normativa. E’ proprio questo vuoto esistente nel nostro ordinamento che fa sì che bullismo e cyberbullismo continuino ad espandersi a macchia d’olio nonostante i loro effetti devastanti dove il suicidio della vittima rappresenta solo l’apice di condotte improntate su sevizie e violenza.
Tragedie che, sicuramente, non fanno onore a uno Stato la cui tutela dell’infanzia e dell’adolescenza è un valore Costituzionalmente riconosciuto.
Uno Stato che deve essere in difesa degli ultimi e dei più fragili e che, sicuramente, ha tanto da imparare dal piccolo tifoso del Napoli.
La sua e’ una storia fatta di sogni, passione e voglia di vivere. Valori che niente e nessuno ha il diritto di calpestare e che, per questo motivo, devono essere difesi a spada tratta dalle istituzioni.
Tali istituzioni magari, dovrebbero prendere esempio proprio dal mondo dello sport. Un mondo che fa sentire la sua voce di fronte agli atti di bullismo e ad altre nefandezze che colpiscono i giovani e giovanissimi.
Tragedie che dovrebbero fungere da calcio di inizio per dar vita a una serie di goal delle istituzioni in difesa del nostro futuro anziché tradursi nel loro ennesimo autogol nella difesa dei diritti.




Parigi attaccata in Africa

Il Burkina Faso ha ordinato all’ambasciatore francese di lasciare il Paese, hanno confermato lunedì le autorità locali. La mossa arriva dopo i disordini del novembre dello scorso anno, durante i quali i manifestanti hanno tentato di prendere d’assalto l’ambasciata francese accusando Parigi per i suoi problemi di sicurezza. Rt e’ assertiva su questa contingenza. Frattanto la Russia quest’anno e’ penetrata nel ristretto gruppo delle dieci principali economie globali. Nello scenario contemporaneo fette crescenti di investitori stanno vendendo le loro riserve in euro come in una consapevolezza che la moneta unica deflagrera’. Cio’ ad onta dell’ingresso della Croazia nella moneta unica continentale, in relazione alla quale stazionano le prime recriminazioni in base al repentino aumento dei prezzi. La Croazia dispone di un pil 38 volte inferiore a quello italiano per cui gli scettici affermano che non bastera’ a salvare la compattezza europea: quest’ultima appare seriamente a repentaglio a causa della vittoria dei falchi olandesi e tedeschi nella gestione patrimoniale dell’Italia e degli altri paesi indebitatissimi.

Parlando con l’agenzia AP News, il portavoce del governo Jean-Emmanuel Ouedraogo ha detto che l’ambasciatore francese Luc Hallade è stato espulso, ma non ha fornito ulteriori dettagli.

Secondo fonti del quotidiano francese Le Monde, il ministero degli Esteri del Burkina Faso ha avanzato la richiesta di sostituire l’ambasciatore francese in una lettera inviata a Parigi a fine dicembre.

Fonti di Le Monde affermano che le ragioni per l’allontanamento dell’ambasciatore sono in parte legate a una lettera trapelata che sarebbe stata inviata da Hallade a cittadini francesi nella città burkinabè di Koudougou all’inizio di dicembre.

A quel tempo, l’ambasciatore avrebbe insistito affinché i suoi compatrioti si trasferissero nella capitale di Ouagadougou o Bobo-Dioulasso, un’altra città del Burkinabe, a causa della crescente minaccia jihadista nella regione. Il Burkina Faso ha subito due colpi di stato dal gennaio 2022.

Il sentimento antifrancese è in aumento nel Paese da diversi mesi. A novembre, i manifestanti hanno assediato l’ambasciata francese a Ouagadougou, chiedendo l’espulsione dell’ambasciatore.

Alcuni attivisti accusano Parigi, che ha un’impronta militare nel Paese, di non aver sconfitto il terrorismo. Vogliono rompere il vecchio rapporto di sicurezza con la Francia a favore di legami più stretti con la Russia.

La Francia ha dispiegato truppe nella regione del Sahel dell’Africa occidentale per combattere gli estremisti jihadisti nel 2013 e un anno dopo ha avviato la lunga operazione anti-insurrezione Barkhane. La campagna, che è stata ampiamente vista come un fallimento, è stata ufficialmente conclusa dal presidente francese Emmanuel Macron a novembre, che ha anche ordinato una revisione semestrale della strategia militare della nazione per la regione.

Quando la Francia ha ritirato le truppe dal Sahel, il numero totale dei militari di stanza è stato ridotto da 5.500 a 3.000. Alla fine di novembre, Ouagadougou ospitava ancora 400 membri delle forze speciali francesi. All’epoca, Hallade ha osservato che sarebbero rimasti lì “finché le autorità burkinabé lo desiderano, ma in un formato adattato e più ristretto”.

Vocabolario

* Ad onta: nonostante.

* Contemporaneo: di questo tempo.

* Repentino: veloce.




Mastodon: piattaforma social per pedofili

A seguito di un’indagine di Secjuice, è diventato chiaro che Mastodon è una piattaforma di social media dominata da pedofili e la maggior parte del suo contenuto è pornografia infantile. Avendo costruito la propria piattaforma di implementazione di O Status ,uno standard aperto per il microblogging federato. OStatus è stato creato per fornire un’alternativa a Twitter, ma invece di essere controllato da un’unica entità commerciale come Twitter, è stato controllato attraverso una federazione di “istanze indipendenti”. 

  Elias Stein e’ perentorio nel suo editoriale sull’argomento:”Credimi quando ti dico che non volevo scrivere un altro articolo sui pedofili dopo l’ultimo , ma ci siamo. È un argomento vile di cui leggere e scrivere, la tana del coniglio va più in profondità di quanto nessuno di noi voglia mai pensare, e quando dico noi intendo davvero me . Questo sarà l’ultimo articolo che scriverò sul tema della pedofilia e della pornografia infantile, e mi sento contaminato per averlo toccato.

Poco dopo che Elon Musk ha rilevato Twitter, alcune delle persone più influenti nell’infosec hanno iniziato a twittare che stavano lasciando Twitter. Sembra importante dare un’occhiata più da vicino alla piattaforma di social media su cui stanno incoraggiando disperatamente i loro follower a iscriversi in modo che possano avere un pubblico.

Nella loro fretta di fuggire da Twitter, questi influencer hanno creato account su una piattaforma di social media chiamata Mastodon senza sapere molto del luogo in cui stavano migrando o nulla sul tipo di comunità che chiamano Mastodon la loro casa. Ad essere onesti, Mastodon rende quasi impossibile la ricerca di comunità e contenuti nel fediverso in base alla progettazione , quindi molti dei nuovi arrivati non hanno assolutamente idea di chi viva su Mastodon perché non possono vederli .

Il fondatore di Mastodon, Eugen Rochko, non ha inventato il concetto di social network decentralizzato, ha solo costruito la propria piattaforma di implementazione di  OStatus , uno standard aperto per il microblogging federato. OStatus è stato creato per fornire un’alternativa a Twitter, ma è stato controllato attraverso una federazione di utenti ed apparati privati totalmente.

Il Fediverso che gli utenti in diretta di Mastodon usano, e’ stato argutamente creato da  un americano chiamato Evan Prodromou; esso e’ stato il primo a concretizzare una piattaforma social (Identi.ca) seguita dal primo protocollo social disseminato federato ( Pump.io), che nel tempo, ed attraverso varie interazioni, e’ evoluto in un hub, per confluire in un social network protocollato e sviluppato da WWWC.

Prima di Mastodon si usava GNU social. Vecchi clienti Twitter rammenteranno GnuSocial come strumento di interazione per contenuti sgraditi da Twitter.

Ad Aprile 2017, Mastodon acconsenti’ un profluvio di immagini pedopornografiche schermate dietro i propri nodi decentralizzati e descritti dagli utenti trasecolati come “un organizzata invasione di pedofili”. I centosessantamila membri di Mastodon originari, nel giro di poco ne hanno visti aggiunti altri centoquarantamila.

Non e’ possibile vedere ed interagire attualmente con pedofili su Mastodon in quanto esiste un meccanismo di totale offuscamento da superare per mezzo di una propria iscrizione al fediverso in cui e’ richiesta apriori la consapevolezza totale su dove siano e chi siano i personaggi pedofili del circuito. In Giappone Mastodon e’ declinato in altro sistema e fruisce di gran successo, anche a causa della messa al bando della pedofilia attuata solo nel 2014. Il Giappone risulta nazione egemone in termini di pedofilia ed apprezzamento di Mastodon, in seguito al cambio di azione di Twitter, da sempre in Giappone piu’ usato di Facebook nonche’ social per eccellenza. In Giappone esistono numerosi server Mastodon e la pedofilia non e’ vietata se i soggetti minorenni abusati o scambiati, risultano cartoni o prodotti di realta’ virtuale.

Vocabolario

*Egemone: vincitore.

*Declinato: adoperato in modo diverso.

*Perentorio: forte, determinato.




Russia vince a Kiev: critiche Nato

L’ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti John Bolton ha scritto un feroce editoriale criticando diversi membri della NATO per la loro presunta riluttanza a sostenere l’Ucraina, individuando Germania, Francia e Turchia tra i principali, mentre sollecitava “l’unità occidentale” contro la Russia. Russia Today riporta questa situazione con dovizia di particolari.

Scrivendo lunedì sul quotidiano britannico Telegraph, Bolton ha avvertito che la “debolezza” all’interno del blocco NATO potrebbe consentire alle forze russe di prevalere nel conflitto che ancora infuria in Ucraina, sostenendo che il 2023 sarebbe un anno “decisivo” per l’Occidente per dimostrare “la forza della sua determinazione”.

“Il vero problema è l’unità e la determinazione dell’Occidente. Nessuno dei due è garantito”, ha continuato, indicando quelle che ha definito fratture all’interno del blocco NATO, a cominciare dalla Turchia. Se il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dovesse essere rieletto entro la fine dell’anno – cosa che secondo Bolton avverrebbe probabilmente “attraverso la frode” – l’adesione del paese alla NATO dovrebbe essere “in discussione”, ha detto, lamentando il fatto che “i partner commerciali e militari della Russia non l’ hanno ancora abbandonata nel momento del bisogno, compresa purtroppo la Turchia.

Da quando le truppe russe sono state inviate in Ucraina lo scorso febbraio, Ankara ha rifiutato di accettare una campagna di sanzioni di ritorsione guidata dagli Stati Uniti. Nonostante vanti il secondo più grande esercito della NATO, la Turchia ha anche in qualche modo limitato i suoi aiuti militari a Kiev, rispetto ai circa 100 miliardi di dollari di spedizioni di armi occidentali. Invece, i funzionari turchi sono rimasti in gran parte neutrali e hanno cercato di mediare una fine diplomatica del conflitto, dopo aver ospitato una serie di negoziati ad alto livello lo scorso anno.

Bolton ha anche criticato la Germania, il cui cancelliere, Olaf Scholz, ha promesso un “cambiamento epocale” nella politica estera di Berlino dopo essere entrato in carica nel 2022, compreso un aumento delle spese militari per soddisfare i requisiti della NATO.  “Tuttavia, in realtà è successo poco e gli impegni sono in dubbio”, ha affermato Bolton, osservando che il budget per la difesa della Germania nel 2023 scenderà al di sotto di quello dell’anno precedente. 

Mentre Berlino ha affermato che dedicherà 100 miliardi di euro per procurarsi nuove armi e sostituire la sua flotta di vecchi aerei da combattimento con F-35 fabbricati negli Stati Uniti, Bolton ha affermato che nessuno di quei soldi era ancora stato contratto e che l’accordo sull’F-35 “appare bloccato da lotte intestine burocratiche”.

L’ex consigliere per la sicurezza nazionale ha elogiato Tokyo in confronto, salutando la sua recente decisione di raddoppiare la spesa militare nei prossimi cinque anni, suggerendo anche che la mossa potrebbe essere un primo passo per “rendere la NATO globale”, comprendendo in essa nazioni come Giappone, Australia, Singapore e Israele.

La Francia non ha ricevuto parole gentili da Bolton, che ha criticato il presidente Emmanuel Macron per aver preso in considerazione misure diplomatiche per porre fine ai combattimenti in Ucraina. Ha accusato il leader di aver fatto eco a un “punto di discussione del Cremlino” riconoscendo le preoccupazioni di Mosca sull’espansione verso est della NATO, insistendo sul fatto che il blocco militare è sempre stato una “alleanza difensiva” nonostante le sue campagne di bombardamento nei Balcani, in Afghanistan e in Libia.

Noto per le sue dichiarazioni di politica estera da falco – inclusa la richiesta di un “cambio di regime” in Russia e in molti altri “avversari” degli Stati Uniti – Bolton è stato consigliere per la sicurezza nazionale sotto il presidente Donald Trump tra il 2018 e il 2019. Prima di allora, ha lavorato in una varietà di diversi ruoli per i presidenti Ronald Reagan, George HW Bush e George W Bush, incluso quello di inviato degli Stati Uniti alle Nazioni Unite e sottosegretario di stato per il controllo degli armamenti. Più recentemente, ha accennato a una possibile corsa alla Casa Bianca nel 2024, sostenendo che potrebbe essere l’unica persona in grado di sconfiggere Trump all’interno del partito repubblicano.




Taranto in soccorso delle Ong

Secondo soccorso di Msf in poche ore, ok per il porto di Taranto.
Il salvataggio ancora su richiesta delle autorità italiane.

Dopo il salvataggio della scorsa notte, in cui sono stati soccorsi 41 migranti, il team di Medici Senza Frontiere a bordo della Geo Barents ha effettuato un trasbordo da una nave mercantile di 44 persone, anche in questo caso su richiesta delle autorità italiane, che hanno poi assegnato il porto di Taranto, dove la nave Geo Barents si sta dirigendo.

Al porto sbarcheranno quindi le 85 persone a bordo e l’arrivo a Taranto è previsto in due giorni.

Lo riferisce la stessa Ong.

Nella notte su richiesta del Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo italiano, la squadra di Medici Senza Frontiere a bordo della Geo Barents aveva soccorso le 41 persone in difficoltà in acque internazionali al largo della Libia: si è trattato del primo salvataggio dopo l’approvazione del decreto sulle Ong. A quanto si apprende da Msf, la barca dei migranti si era capovolta e i 41 sopravvissuti, tra cui due donne, sono ora a bordo della Geo Barents e assistiti dai Msf.

Il decreto approvato dal Consiglio del ministri stabilisce, fra le altre cose, delle nuove norme relative alle operazioni di salvataggio in mare. Dura a tal proposito, la reazione delle Ong e anche del mondo cattolico, come riporta Famiglia cristiana.

La tragedia dei naufragi e delle morti nel Mediterraneo continua senza sosta. Quattro giorni fa la nave Ocean Viking ha salvato 113 migranti che viaggiavano nel buio completo su un gommone sovraccarico. Tra loro – come ha riferito la Ong Sos Méditerranée – c’erano anche donne incinte, una trentina di minori non accompagnati e tre neonati, dei quali uno di appena tre settimane. Intanto, il 28 dicembre il Consiglio dei ministri italiano ha approvato il nuovo decreto-legge che, fra le altre cose, regola l’operato delle navi delle Ong per il soccorso in mare, introducendo norme più severe e stringenti, con lo scopo di gestire i flussi migratori.

Il testo approvato dal Governo introduce un codice di condotta per le navi: queste ultime potranno intervenire nelle acque territoriali italiane solo per le effettive operazioni di soccorso. Una volta terminato il salvataggio, dovranno dare immediata comunicazione dell’operazione svolta alle autorità dello Stato di bandiera della nave e al centro di coordinamento competente spiegando l’operazione svolta e chiedendo che venga loro assegnato un porto dove effettuare lo sbarco. Secondo le nuove disposizioni, il porto assegnato deve essere raggiunto nel minore tempo possibile, pertanto eventuali operazioni di soccorso successive alla prima non dovranno compromettere il raggiungimento del porto in tempi brevi. Questo significa in pratica che le navi potranno effettuare un’operazione di soccorso per volta. Il porto inoltre non dovrà essere necessariamente quello più vicino al luogo del soccorso: nel caso del salvataggio effettuato il 27 dicembre dalla Ocean Viking, è stato assegnato il porto di Ravenna, distante circa quattro giorni di navigazione dal luogo del soccorso.Il comandante della nave dovrà avviare «iniziative volte ad acquisire le intenzioni di richiedere la protezione internazionale» da parte dei migranti soccorsi. Per chi non rispetta le nuove norme sono previste multe e confische.

“Il Decreto Sicurezza votato dal Consiglio dei ministri riduce drasticamente le possibilità di salvare vite in mare, limitando l’operatività delle navi umanitarie e moltiplicando i costi dei soccorsi per tutte le ONG in mare”, è il commento della Ong Emergency contenuto in un comunicato. “Il 2022 si chiude con delle cifre drammatiche: quasi 1.400 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale solo quest’anno”, si legge ancora nel comunicato. “Di fronte a questi numeri terribili, le disposizioni contenute nel Decreto sono inaccettabili perché – imponendo alle navi umanitarie di portare immediatamente a terra i naufraghi – di fatto riduce le possibilità di fare ulteriori salvataggi dopo il primo soccorso”. Secondo Emergency, “i provvedimenti previsti dal Decreto, inoltre, determineranno una potenziale violazione dell’obbligo di intervenire in caso di segnalazioni di altre imbarcazioni in pericolo in mare; prescritto dal diritto internazionale e tutte le navi, anche quelle umanitarie, sono tenute a rispettarlo. Infine, lo staff della nave dovrebbe raccogliere l’eventuale interesse dei superstiti di chiedere asilo, affinché sia il Paese bandiera della nave a farsi carico delle richieste di protezione internazionale. Le linee guida dell’Organizzazione Internazionale Marittima sono chiare: qualsiasi attività al di fuori della ricerca e salvataggio deve essere gestita sulla terra ferma dalle autorità competenti e non dallo staff delle navi umanitarie”.

Dura reazione anche da parte della Ong Medici senza frontiere, che afferma: “Salvare vite in mare diventerà molto difficile”. E’ importante che venga assegnato un porto sicuro per lo sbarco, dice la Ong. Tuttavia, “per arrivare in un porto siciliano bastano spesso 24 ore di navigazione, per raggiungere Ravenna almeno 4 giorni. Poi ci sono i tempi per le operazioni di sbarco e il viaggio di ritorno: in questo modo una nave rischia di restare esclusa dai soccorsi per 10 giorni”. Secondo Msf la conseguenza sarà l’aumento della mortalità in mare. “I comandanti e gli equipaggi delle navi si troveranno di fronte a un dilemma etico, tra il dovere di prestare soccorso secondo il diritto del mare, e quello di rispettare le regole dirigendosi verso il porto dopo aver effettuato il primo salvataggio”.

La condanna delle nuove norme arriva anche da monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, che a VaticanNews ha dichiarato: «E’ paradossale che uno strumento che in questi anni è stato di sicurezza per almeno il 10% delle persone che sono sbarcate nel nostro Paese e in Europa sia considerato uno strumento di insicurezza. Da questo punto di vista credo che questo decreto cadrà presto, nel senso che è costruito sul nulla, costruito soprattutto su un segnale di insicurezza che è in realtà è fasullo».

Sono inmumerevoli le critiche del suo elettorato, a Meloni, per aver totalmente ceduto ai dogmi di Bruxelles sulla gestione dei migranti, in antitesi a cio’ che era stato promesso durante le elezioni.