Meridionali: piano di assunzioni al Nord

Rossella Solombrino allude ad un piano di spopolamento certificato in atto. La Sicilia infatti,  è la seconda regione d’Italia, dopo la Campania, per perdita di popolazione. È uno dei dati emersi dal report 2022 dell’Istat sulle migrazioni. Un trend, quello dello spopolamento progressivo dell’Isola (e di tutto il Sud) che non si è mai fermato, nemmeno con la pandemia. Tra il 2011 e il 2020 le uscite dei giovani del Mezzogiorno verso l’Estero e verso le altre regioni d’Italia hanno determinato una perdita complessiva di oltre 150mila giovani residenti laureati. «Cedendo risorse qualificate – dice l’Istat – senza riceverne altrettante, il Mezzogiorno vede compromesse le proprie possibilità di sviluppo». In questo tragico contesto, non solo nessun governo si è mai occupato di ridurre il fenomeno, ma la la spinta all’emigrazione dei meridionali ha bisogno di un nuovo slancio e si agisce così per amplificarla. Si evita ad esempio di utilizzare lo Smart working in modo da arginare il problema e come in questa notizia, addirittura cominciano piani di sviluppo per la deportazione meridionale di massa. Ecco dunque il progetto di intesa tra federterziario e Hgv, associazione di aziende e realtà che operano nel turismo in Trentino Alto Adige: obiettivo e’ portare 100 ragazzi dalla Sicilia al Trentino Alto Adige per lavorare nei ristoranti e negli hotel del Sudtirol dove mancano cuochi, camerieri e baristi. Un’alleanza che ha permesso di avviare in questi giorni i primi colloqui di selezione… Ciò che rende tutto più tragico, a dimostrazione di un problema che non si ha interesse nemmeno a evidenziare, il progetto viene fatto passare come idea di sviluppo, una grande opportunità concessa.

Tutto quello che sembra svolgersi in questa contingenza, e’ affinché il meridionale emigrante, anche in un settore come quello del turismo, che dovrebbe trainare il paese intero PARTENDO DA SUD , possa essere sfruttato e deportato ma nello stesso tempo non si dimentichi di ringraziare il padrone del Nord per l’opportunità …

Brunetta afferma che Elon Musk vuole sgretolare il lavoro a distanza come lui.

Come sempre, viene descritto sui gruppi di difesa meridionale annessi al giornalista e scrittore Pino Aprile, il Ministro Brunetta, per evitare che i soldi dei meridionali smettano di andare nelle grasse tasche dei settentrionali attraverso affitti e indotto, le tenta tutte. Questa volta a sostegno di una tesi assurda, si rifà al giochino “mamma lo ha detto anche lui ..” , chiamando in causa Elon Musk e l’avversione allo Smart working per i suoi dirigenti. Avversione che sta pagando a caro prezzo con maxi ricorsi e profili qualificati che scappano dalla concorrenza. Ci sarebbero tanti esempi di aziende illuminate come Apple, Google, JPMorgan, Capital One, Microsoft, Zillow, Shopify, Coinbase, Upwork, Lambda Schools, PayPal, Salesforce, Box e tante altre ma il nostro caro Brunetta decide di paragonare il suo grande fiuto a quello di Elon Musk, nell’ambito peggiore dal quale potesse prendere spunto, pur di trovare “pezze a colori” per il suo intento nordista : i meridionali pagassero caro la “concessione” del lavoro al Nord!

1 assistente sociale ogni 5000 abitanti non è un consiglio: è un LEP, livello essenziale di prestazione. È il minimo diritto previsto nel paese. È uno di quei paletti recentemente fissati che dovrebbe garantire che qualcosina sia uguale da una parte all’altra dello stivale. Lo decide e lo deve garantire lo Stato, che affida agli enti locali l’onere delle assunzioni; e dovrebbe intervenire laddove non si rispetti garantendo la prestazione.

Qualche giorno fa erano riportate le parole del capo della Procura dei minori che raccontava come, nell’area metropolitana di Napoli, si arrivi a un assistente ogni 30000 abitanti.

La media campana, riporta Marco Esposito su Il Mattino, è di 1 su 11000.
Come interviene lo Stato per sopperire al gap? Lo fa finanziando le nuove assunzioni con 40000 euro ad unità. Ma lo fa solo se c’è già un rapporto almeno di 1 a 6500. Se stai messo peggio, secondo l’unico principio non scritto ma da sempre rispettato, devi stare ancora peggio.
Però se stai meglio, se il tuo servizio è già maggiore di 1 a 5000, il bonus te lo prendi lo stesso, anche senza assumere.

Se a un bambino fai scrivere una legge del genere ti dirà che i contributi devono andare dove servono e basta, e devono essere maggiori dove il servizio è carente, dove c’è più bisogno. Ma, purtroppo, al Governo non ci sono i bambini.




Costruttori italiani: una napoletana al vertice

BENEVENTO AVELLINO CASERTA NAPOLI SALERNO e la Campania in generale, plaudono, con il giornale Anteprima24 di Benevento, al nuovo presidente nazionale Ance.  Napoletana (e amica di Manfredi) la prima donna a capo dei costruttori italiani ha una preparazione ingente in discipline umanistiche. Ed a Napoli infatti la prima donna a capo dei costruttori italiani riuniti nell’associazione Ance vicina al sindaco Gaetano Manfredi, e’ molto attiva nel settore dell’ospitalita’ ed intrattenimento di lusso. Nel recente saggio a cura di Attilio Belli “Napoli 1990-2050, dalla deindustrializzazione alla transizione ecologica”, si è detta convinta di almeno un paio di cose. La prima: che le città che hanno un futuro sono quelle che ne hanno scelto già uno. La seconda: che “Per una stagione di sviluppo duraturo e stabile, gli elementi su cui far leva saranno creatività, apertura e concretezza. Occorrerà far sistema e recuperare una nuova speranza collettiva”.

In queste parole non è difficile scorgere Federica Brancaccio. Oggi, tra l’altro, ad enfatizzare la cultura industriale di Napoli che, con il resto del sud si conferma principale mercato di sbocco per le aziende settentrionali, la prima presidente dell’Ance ad essere nata a sud di Roma allude alle potenzialita’ della connettivita’ urbana di Internet ed all’ecologia come volano di crescita e spartiacque tra perdenti e vincenti. In seguito al solco operato da Antonio d’Amato eletto nel ‘2000 presidente di Confindustria alla luce della perizia con cui ha reso Seda la principale multinazionale europea nel settore degli imballaggi, la classe infustriale di Napoli si riaffaccia in un consesso nazionale per far incidere l’Italia. Seda presente in Inghilterra, Germania e Spagna, oltre all’Italia, con il centro operativo in quel di Napoli, precisamente ad Arzano e presso via Salvatore d’Amato, corrobora il prestigio industriale del sud: arteria cittadina in onore del padre visionario che ha istallato Napoli tra le sedi di una azienda egamonica figura via Salvatore d’Amato disseminata di imprese; Seda ha consentito al figlio del fondatore, Antonio d’Amato, di rendersi apprezzato da Berlusconi, che ne ha caldeggiato la presidenza in Condindustria nazionale. Strada che non e’ stata seguita da Lettieri che invece non e’ ancora approdato ad un palcoscenico istituzionale italiano come rappresentante, ma la linea dirigenziale campana ha consentito ad Atitech, la appendice di Alitalia affidata a Gianni Lettieri, di corroborarsi ammortando i debiti e piazzandosi nel gruppo di principali realta’ manutentive europee, prettamente italiane.

L’imprenditrice Federica Brancaccio in ogni caso, arriva da lontano: fino allo scorso marzo è stata al vertice dell’Associazione Costruttori Edili di Napoli. Prima ancora, ne ha ricoperto l’incarico di vicepresidente della Commissione Relazioni Industriali e Affari Sociali ed è stata componente del Consiglio Generale.

Manfredi, come dicevamo, la conosce bene. Fino a poco tempo fa, si è lamentato di vedere in giro per Napoli poche gru, molti ponteggi, e ancor meno cantieri in attività. Oggi, ha salutato la sua elezione con queste parole: “Le faccio le mie congratulazioni: è una imprenditrice di valore e visione. Darà un impulso fondamentale al mondo delle costruzioni in questo momento di grandi trasformazioni. Tutti abbiamo dinanzi la grande sfida del Pnrr: lei saprà collaborare nel migliore dei modi con tutte le istituzioni nazionali e locali”.

Per la Brancaccio si apre un nuovo capitolo della mentalita’ produttiva napoletana incentrata sull’intermodalita’, come predisposto anche da Grimaldi a capo della multinazionale navale con sede a Napoli, al fine di ovviare alle carenze infrastrutturali croniche del meridione.

Su ecologia e connettivita’ di Brancaccio tuttavia, emerge la chiosa indiretta di un altro componente di spicco della industria campana, ossia Paolo Scudieri presidente di Adler, principale costruttore di componenti automobilistiche nonche’ presidente della categoria nazionale, che esecra la scelta europea di bandire i motori termici, additando le lobby che suffragano tale scelta, come esiziali, faziose e focalizzate sulla demolizione dell’Italia apriori, in seguito dell’Europa.

Il coautore di Eccellenze Campane ed attuatore, assieme a d’Amato, di un mastodontico progetto di riqualificazione dell’area est di Napoli in cui sorge il capannone di Eccellenze Campane Scudieri, rimarca l’incapacita’ dell’Europa nella filiera estrattiva e trasformativa, sul ramo elettrico, con la conseguente erosione di settantamila posti di lavoro; con sole seimila assunzioni per l’elettrico.




Lavoro ai giovani meridionali assorbito al Nord con piu’ posti pubblici

IL LAVORO? MISSIONE IMPOSSIBILE PER I GIOVANI DEL SUD. Il fatto è che la vita costa troppo per 1.500 euro in una città del Nord. Altra convinzione più radicata di un ulivo millenario. Se ti limiti a un chilo di pane, giusto. Ma se ti allarghi a bus, sanità, asili…diviene problematico se non utopistico.

Lino Patruno su la Gazzetta del Mezzogiorno azzarda:” E tu, cosa vuoi fare da grande? Il posto fisso. Sembrano passati secoli dal Quo vado? di Checco Zalone e Gennaro Nunziante. Essendo invece durata non meno a lungo la convinzione che il posto fisso fosse prerogativa ed eterno sogno del Sud. Ed invece i dipendenti pubblici erano (e sono) molto di più al Nord. Ma non sembrano passati secoli dal tempo in cui i giovani erano tacciati di essere «bamboccioni», «choosy» (schizzinosi), «sfigati». E ora rischiano di beccarsi uno «sfaticati» punto e basta. In testa alla benpensante riprovazione sociale quelli del Sud, più scontato di un cucù che sbuca dall’orologio. Perché ora qual è lo scandalo peggio di una regina Elisabetta che si dimetta? Che rifiutano il posto fisso. Anzi molti che ce l’hanno, lo lasciano. Anzi, ancora, ora fanno come la prima legge di Murphy: se una cosa può andar male, lo farà. Quelli del Sud addirittura dicono: lo accetto solo se è al Sud. Eresia. Sto a casa.

Il solito familismo amorale che era amorale solo nella testa vuota di chi ne parlò? Il fatto è che la vita costa troppo per 1.500 euro in una città del Nord. Se ti allarghi a bus, sanità, asili nido pubblici che non ci sono, addirittura alle assicurazioni auto, vedi come questo minor costo al Sud sia un inganno. E se la sopradetta famiglia mi deve dare una mano quando sto al Nord, ebbene me la dia al Sud. Così smettiamo di regalare ancora ai ricchi, di accentuare il divario. Insomma smettiamo di assisterli, anche se si dice il contrario.

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Aggiungici che soprattutto al Sud, ma non solo, non si trova un cuoco, o un bagnino, o un cameriere neanche a pagarlo come il calciatore francese Mbappè. Benché quasi sempre non gli diano più di una mancia. Allora capisci che, come si diceva un tempo, non si capisce più niente. Nella moda tossica di sparare sui giovani prima di capire, ecco l’accusa: chiedono subito se devono lavorare a fine settimana e se avranno gli straordinari. Insomma se potranno spassarsela. Quando ai nostri tempi eccetera eccetera. Ma intanto nessuno fa caso alla repubblica dei Gianluca Vacchi, il misterioso stramilionario accusato del più bieco sfruttamento da una sua dipendente. O a quella della stilista Tiziana Fausti, la quale avverte che da lei non c’è posto per chi vuole fare figli. Mentre i concessionari di spiagge pagano una insalata annua facendo profitti da caviale. E un gioielliere (si spera non tutti) dichiara al fisco meno del suo commesso. E l’intramoenia dei medici allunga le liste di attesa per gli esami. E mentre l’ineffabile presidente di Confindustria non fa altro che chiedere incentivi invece di annunciare investimenti. E nessuno fa caso che gli stipendi italiani da trent’anni sono i più bassi d’Europa. Ma i giovani no, di gavetta non ne vogliono sapere. Dove andremo a finire? Ma sai, lo sappiamo perché. Questi preferiscono prendere il reddito di cittadinanza più che lavorare. Poi fanno qualcosa in nero e sono a posto. Un reddito di cittadinanza dalla cattiva fama per gli abusi tanto consentiti quanto poco combattuti. Ma ben al disotto tanto di analoghi sussidi sociali in Europa, quanto della povertà che il Covid ha accentuato non solo al Sud. E se uno lo preferisce al lavoro, non sarà mica perché col lavoro sarebbe pagato ancora meno dei 450-700 euro al mese, e zero contributi? Anche se, a dirla tutta, i concorsi nella pubblica amministrazione non decollano neanche al Sud. Quelli che dovrebbero sfornare tecnici capaci di fare i progetti per i fondi del Pnrr. Ma con contratti di soli tre anni.

Come se il Covid non ci fosse stato. E col Covid arricchimenti e impoverimenti, diseguaglianze che gridano vendetta al cielo. Cui ci aggiunge di suo una inflazione (figlia della guerra di Putin, non di quella di Zelensky) che notoriamente colpisce i più poveri. Ma il Covid ha determinato anche il Long Covid, una rivoluzione epocale. Anzitutto la «Great Resignation», le grandi dimissioni, decine di migliaia di persone che in tutto il mondo hanno lasciato il proprio lavoro per fare altro, si presume più gradito. Poi la ricerca di una vita non ostaggio altrui, ci riappropriamo del nostro tempo. Nuovi modelli di esistenza, si dice, e di relazioni. Ci volevate flessibili? E lo siamo per conto nostro. In Puglia 95 mila rinunce al contratto, terza in Italia. Sarà faticoso, ma cerchiamo il meglio. Ovvia la domanda: come è possibile, e con tanta disoccupazione cominciando dal Sud? E con tanti Neet (non lavoro, non studio, non formazione), 3 milioni in Italia, la metà donne, in Puglia due ogni tre occupati? La risposta più facile è sparare come sempre sui giovani e non sul mondo che gli abbiamo fatto trovare. Virus a parte.




Sud: rieducazione letale

IL SUD VA “EDUCATO” A FAR A MENO DI QUELLO CHE HANNO TOLTO. Questa la concezione politico-economica del lodato editorialista, presidente del Movimento Equita’ territoriale ed autore del best-seller Terroni, Pino Aprile, che scrive:
‘E se, come già successo nella storia d’Italia, rispolverando il metodo fondante della unificazione a mano armata del nostro Paese, con i soldi del Pnrr finanziassimo campi di rieducazione dei terroni? Per migliorarli, ovvio, tanto da renderli simili ai campioni padani, da Matteo Salvini (una condanna definitiva per razzismo), a Roberto Calderoli (idem) a… (dai, vi risparmio l’elenco); a Peppe Sala, sindaco di Milano, Pd (se il Sud non riesce a fare i progetti per vincere i bandi truccati del Pnrr, truccati perché si mettono in gara strutture iper-finanziate e potenti con enti meridionali derubati dallo Stato delle loro risorse: più di 60 miliardi all’anno sottratti al Sud e girati al Nord, i soldi della perequazione orizzontale tolti “con destrezza” e conti falsi ai Comuni poveri, dalla Commissione parlamentare per il federalismo, allora presieduta da Giancarlo Giorgetti, leghista doc, pur senza condanna per razzismo, d’accordo con Pd e Pun, partito unico del Nord…; ecco, se il Sud non riesce, per questioni obiettive, a intercettare i fondi-Pnrr, quei soldi dateli a noi, che siamo più bravi, chiede Sala-lo-svelto-e-senza-vergogna, perché non capisce, o capisce, ma prevalgono avidità e presunzione. Non: aiutiamo chi non può permettersi centri di progettazione e spesa adeguati, ma togliamogli il pane dicendo che è colpa loro, incapaci. È la logica, in “Pinocchio”, della ciotola irraggiungibile per il cane, perché posta troppo lontana dalla cuccia: il padrone non avvicina la ciotola, né allunga la catena; la colpa è del cane).
Ora prendete questa po’-po’ di parentesi e ponetela anche accanto ai nomi di Stefano Bonaccini, il Pd che ha umiliato la Lega nella gara a chi è più leghista, e Luca Zaia, uno presidente dell’Emilia Romagna, l’altro del Veneto che, folgorati dal ragionamento di Sala (sintesi: Il mondo è dei furbi), hanno copiato la proposta.
Ma, tornando ai campi di rieducazione per i terroni: perché?

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Perché, nell’ormai famoso dossier commissionato dalla (purtroppo per il Sud) ministra per il Sud, Mara Carfagna, alla padana House Ambrosetti, per l’inutile chiacchierificio “Verso il Sud”, tenuto a Sorrento, si legge che servirebbe “educare la popolazione, e soprattutto i ragazzi, fin dai primi anni di scuola, a una corretta comunicazione, in grado di far nascere il senso di orgoglio e appartenenza all’essere italiano e del Sud Italia”.
Educare Giorgetti, Sala, Bonaccini, Zaia eccetera a non fregare i soldi destinati al Mezzogiorno, no, eh? Ma ne parliamo dopo. Ora conta capire cosa c’è nella mente di chi scrive questa frase. Come li “educhiamo” questi ragazzi? La scuola. Ah, quella cosa che, per norme dettate dall’allora ministra all’Istruzione (purtroppo per l’istruzione e gli istruendi), “la leghista di Forza Italia” Maria Stella Gelmini, prevede che ci sia tempo pieno dove se lo possono permettere e si attacchino al tram quelli che non possono, il che comporta, nei cinque anni delle superiori, un anno effettivo di scuola in meno al Sud, poi passa l’Invalsi e “scientificamente” certifica che gli studenti terroni sono scarsi? Quella scuola che nei libri di testo spesso gronda di concetti e “narrazioni” razziste sui terroni poveri, arretrati e oppressi, liberati dagli invasori sabaudi, senza dichiarare manco guerra, al modico prezzo di qualche centinaia di migliaia di morti e di fabbriche chiuse e svendute come ferro vecchio (da Mongiana, Calabria, siderurgia, a Pietrarsa, meccanica, Napoli, più la strage civilizzatrice di maestranze che si opponevano)? Tanto che negli ultimi anni, ci sono gruppi di docenti meridionali che segnalano alle case editrici scolastiche verità e documenti per correggere la “narrazione ufficiale” e, per fortuna, tante lo fanno. Maria Grazia Carrozza, Pd, fu la firmataria del decreto per premiare le università “migliori”. E quali sono? Quelle che sorgono nelle regioni più ricche, che fanno pagare tasse più alte agli studenti, o ricevono più contributi dalle aziende del territorio (quindi, se Einstein insegna all’università a Enna e non ha una Fiat nei dintorni, è un cretino e l’università fa schifo). Così sono stati dati e si danno sempre più soldi alle università più ricche e sempre meno alle più povere, i cui studenti sono costretti a trasferirsi nelle più ricche).

O si può provvedere con la “comunicazione”, comunica Ambrosetti. Ottima idea, considerando che la più grande azienda culturale italiana è di Stato, la Rai. Ovvero, quella che (“La parte cattiva dell’Italia”, studio dei sociologi Valentina Cremonesini e Stefano Cristante su 30 anni di telegiornali e trasmissioni di approfondimento della Rai) dedica al Mezzogiorno (41 per cento del territorio e 34 per cento della popolazione), appena il 9 per cento del tempo e quel 9, quasi soltanto criminalità e malasanità (a proposito dell’orgoglio di essere del Sud). Come si vede, enunciare i mali e persino le possibili soluzioni, ha pochissimo senso, se non ne vengono denunciate ed eliminate le cause. E, comunque, sia da seguire il suggerimento della House Ambrosetti sull’educazione.
Quando si educa, c’è qualcuno che educa e qualcuno che viene educato. E cosa vuol suggerire la ministra del Sud, escludendo il Sud e i suoi rappresentanti dall’orgia di chiacchiere di Sorrento, e affidandone la lettura a Forum Ambrosetti, per farne “la Cernobbio del Sud” (una sorta di pensatoio ad alto livello)? Che se vuoi migliorare il Sud, devi farlo somigliare al Nord. Tipico di chi aderisce all’idea coloniale di sé, dettata dal colonizzatore, secondo i propri interessi. Sfugge la possibile volontà del presunto educando di non voler somigliare ad altri per essere “migliore”, ma di voler crescere in proprio, magari facendo qualcosa di originale, nella sostanza o nel metodo.
In questa idea di chi va educato e chi deve educare (“il fardello dell’uomo bianco”), c’è tutta la ragione dell’esistenza e della natura della Questione meridionale, così intesa, sorvolandone le cause, come colpa del Sud (secondo i peggiori) o missione di qualcuno a beneficio di un altro (secondo i presunti migliori). Ecco perché parlavo di campi di rieducazione.
Nel 1861, le truppe sabaude invasero il Regno delle Due Sicilie, per “liberarlo” (da chi, se nessuno occupava quel Regno, a differenza del Triveneto?). Decine di migliaia di soldati borbonici vennero fatti prigionieri e chiusi in campi di concentramento (qualcuno li presenta come club Mediterranée e nega la strage che se ne fece, che io quantifico, con documenti, in “Carnefici”, in 15mila vittime; e il professor Giuseppe Gangemi, in “In punta di baionetta”, con altri documenti tratti dall’Archivio storico di Torino, certifica in un minimo compreso fra 12.500 e 16mila). La torinese «Gazzetta del popolo» di quel tempo spiegò, in un accorato editoriale rivolto ai soldati napoletani deportati nel campo di concentramento di San Maurizio Canavese, che era per il loro bene (cadavere più, cadavere meno): erano lì,i terroni, per essere “rieducati”: «Imparate ad amare questi vostri fratelli», ovvero i militari piemontesi che li avevano invasi, aggrediti e fatti prigionieri, «e ad imitarli» (quindi: invadere il Piemonte?); perché «ogni decorazione della loro divisa fu conseguita per la libertà d’Italia» (detto a migliaia di internati). «Imitate questi generosi» (e forse un po’ di sano egoismo sarebbe stato più gradito), perché «non aspirano ad altro che ad educarvi e farvi simili a loro».
Questa idea del più che si piega al meno, per migliorarlo, rendendolo diverso da quello che è, è l’anima del colonialismo che si auto-assolve (abbiamo portato la civiltà in India, dicevano gli inglesi; abbiamo fatto le strade e le ferrovie in Africa, dicevano gli italiani: un contadino calabrese chiedeva “chi ci ha conquistato, se non ci hanno fatto strade e ferrovie?).
La pedagogia degli oppressi spiega che non sono gli oppressori che possono liberare gli oppressi, perché estranei a quella condizione. E nemmeno gli oppressi possono liberare se stessi, sovrastando gli oppressori e prendendone il posto, perché si avrebbe esattamente lo schema ingiusto di prima, pur se a ruoli invertiti. Gli oppressi, per liberare se stessi, una volta divenuti consapevoli, devono prima “educare” gli oppressori, rendendoli ugualmente consapevoli. In un sistema di più-e-meno, la soluzione è solo in una linea di equità che non coincide con il più e, peggio mi sento, con il meno.
Nel mio “Tu non sai quanto è ingiusto questo Paese”, riporto dati Istat, istituto nazionale di statistica: per esempio, per assistere due gemelli nati con la stessa disabilità, uno che vive a Trento, l’altro a Cosenza, lo Stato spende 15.141 euro all’anno per il primo (più di 1.200 euro al mese) e 368 all’anno per il secondo (30 euro al mese); la donna più discriminata dell’intero mondo occidentale è europea, italiana, meridionale, madre, single, disoccupata e si spera non anche disabile. La velocità media dei treni al Sud è oggi inferiore a quella dei primi anni del Novecento; su tratte importanti, è solo di qualche chilometro superiore a quella delle carrozze a cavalli (35 km/h); e in vaste zone del Sud, il treno non c’è proprio. Ma con i soldi del Pnrr, Milano vuole i treni hyperloop, a 1.200 chilometri all’ora, per andare prima al mare in Liguria nel fine settimana (ecco cosa accade quando i diritti sono negati come fossero privilegi; e i privilegi riconosciuti come diritti).
Però, la ministra si preoccupa di farci educare all’orgoglio. Da chi, dalla Gelmini che cancellò dai programmi di Letteratura del Novecento per i licei, tutti gli scrittori meridionali, anche premi Nobel? Da Giorgetti che faceva “sedute segrete” per sottrarre i fondi al Sud? Da Brunetta che ritiene gli italiani fra Napoli e Caserta, “cancro”? (Mara Carfagna è di Salerno, quindi …).
Cari aspiranti rieducatori, lasciateci maleducati, dateci i treni che ci avete negato; gli ospedali che ci avete fatto chiudere; le strade mai costruite; restituiteci i soldi degli asili, delle scuole, delle università che ci avete rubato. Siate fieri, pur se veneti o lombardi, del Ponte sullo Stretto che (non) si vuol realizzare.
E per l’orgoglio di essere terrone, beh, risparmiatevi la fatica educativa: sono cazzi nostri”.




Fca rilancia il lavoro al sud

Presso lo stabilimento Stellantis di Pratola Serra si produrrà, a partire dal 2024, anche per Toyota. L’asse industriale con la Sevel di Val di Sangro ad Atessa permetterà di rafforzare e consolidare la capacità produttiva dell’impianto irpino. In futuro verrà adibito alla realizzazione di propulsori per veicoli commerciali, a seguito del recente accordo sottoscritto dal gruppo italo francese, nato dalla fusione tra FCA e PSA, e Toyota Motor Europe.

https://youtube.com/channel/UCtKCSLGwZTiOjtfMmo68xBw

Nella struttura avellinese ha avuto luogo una riunione ai massimi livelli per mettere nero su bianco a un Contratto di solidarietà difensivo dal 4 luglio al 31 dicembre 2022. Lo strumento di integrazione salariale permette la salvaguardia dell’occupazione, tramite una riduzione dell’orario di lavoro, senza la perdita totale della retribuzione del prestatore d’opera.

Il summit ha dato la possibilità di fare il punto della situazione sulle prospettive nel medio e lungo periodo. Il confronto è servito ad accertare le reali volontà di messa in atto del programma industriale che condurrà nel 2024 all’introduzione del nuovo motore 2.2 euro 7, unico nel panorama internazionale per i veicoli commerciali. Ciò – ha spiegato Giuseppe Zaolino, segretario della Fismic – consentirà ai circa 1.700 dipendenti del conglomerato di Pratola Serra di guardare all’avvenire con maggiori certezze.

Nella fattispecie, all’esclusiva fabbricazione per i veicoli commerciali ad Atessa in Val di Sangro, oltre 300 mila, si aggiungeranno quelli per la nipponica Toyota. Le rappresentanze territoriali di Fismic, Fim, Uilm, Uglm e Acqf per la provincia di Avellino hanno giudicato la firma come il via una nuova fase. Di sicuro, è una notizia positiva, capace di trasmettere fiducia e di creare le condizioni per una ripartenza produttiva e occupazionale. Intanto in Italia le immatricolazioni per il fuoristrada veloce Stelvio sono ultimamente aumentate del 30% e la media Tonale approdera’ nelle concessionarie tra circa una settimana seppure gia’ si vede in strada per qualche cliente. Inoltre Tonale e’ stato possibile vederla apriori per mezzo della possibilita’ di ordinarla prima della sua comparsa ufficiale. Sara’ possibile accaparrarsi l’ultimo modello del Biscione in guisa di affitto a lungo termine con manutenzione, assicurazione totale comprese, con 500€ mensili ed un anticipo di 2.500€; oppure nella stessa modalita’ ma senza anticipo e con un aggravio di spesa di circa duecento euro mensili diventa possibile assicurarsi l’Alfa Romeo della rinascita. Ovviamente con una motorizzazione medio bassa di 1,5 litri diesel ed una velocita’ massima di 210 km/h.

Una casa meccanica emiliana invece, in associazione con periti tedeschi, ha modificato la vetusta ma leggendaria Giulia degli anni sessanta secondo i canoni contemporanei, con l’erogazione di circa seicento cavalli, pneumatici da competizione, fari plasmati in guisa avveniristica, ampliamento di peso e carene per supportare la velocita’. Cio’ senza snaturare in minima parte la Giulia antica che ha recuperato il 500% del prezzo. Solo che tale modello rigenerato e’ offerto alla “modica” cifra di 400000€.

La Ferrari Purosangue e’ in procinto di predisporre la rincorsa a Lamborghini e Porsche nel settore Suv e la Panda si predispone, con il modello venture, ad una palingenesi che la rendera’ irriconoscibile ma innovativa ed accattivante, sull’abbrivio delle nuove vetture asiatiche che esprimono un connubio di antichita’ e futurismo, con un buon riscontro di pubblico.




Conduttrice offensiva: scattano rabbia ed azioni

Maurizio Zaccone e’ un fiume in piena in difesa dei diritti e l’onorabilita’ dei propri compaesani La vergognosa frase della conduttrice Sara Pinna aTva Vicenza, balzata agli onori della cronaca nazionale con colpevole ritardo (ma meglio tardi che mai), ha dato comunque la stura a quelle legioni dal pensiero semplice che in fondo non ci trovano nulla di male in quella esternazione, perché “è vero che le regioni del Sud sono mantenute da quelle del Nord”, perché loro “hanno il Pil maggiore, perché “trainano” e via dicendo.Di questo, purtroppo, sono convinti anche tanti meridionali. E’ forse il caso di ricordarci alcune cose. Tra lo sconforto e lo sgomento della dovizia di associazioni e comitati di recente costituzione, che si scagliano contro media e politica nazionale rei di danneggiare e bistrattare il meridione.

Le popolazioni del Sud sarebbero “mantenute” da quelle delle regioni Nord. Solo che questo mantenimento non si riesce a capire in cosa si traduce considerando che la Campania è l’area economicamente più depressa d’Europa. Che tutte le regioni del Sud sono più povere di quelle del Nord. Che al Sud mancano infrastrutture e servizi minimi. Che si è costretti ad emigrare per lavorare, per curarsi e a volte anche per studiare.

I “mantenuti” di solito stanno meglio degli altri, non peggio.

Questo “mantenimento” è giustificato da un concetto: il “residuo fiscale” delle Regioni. Ovvero la differenza tra quanto le regioni pagano di tasse e quanto gli ritorna in termini di servizi. E le tasse “devono rimanere sul territorio” urlano in molti.

Un principio un po’ surreale perché, come spiegò molto bene Francesco Pallante, Professore di Diritto Costituzionale all’Università di Torino: “E’ un discorso privo totalmente di consistenza, dal punto di vista logico ancor prima che giuridico. Le Regioni, i territori, NON pagano le tasse. Sono le persone che pagano le tasse; sulla base del loro reddito. Per esempio, nel Comune di Arcore c’è un contribuente particolarmente facoltoso: ha senso dire che il comune di Arcore mantiene il Comune di Monza perché paga più tasse di altri? Così come non ha senso questo discorso, non ha senso dire che la Lombardia, il Veneto e le altre Regioni mantengono la Sicilia, la Campania e la Calabria. Se io sostituisco questo livello con tanti livelli regionali poi perché non lo faccio a livello provinciale, a livello comunale? ma lo posso fare a livello di quartiere, di via, posso arrivare ai pianerottoli delle case: “Io mantengo il mio vicino perché pago più tasse di lui” – è un discorso sensato questo?”

No, non è sensato. Perché le Regioni NON pagano le tasse.
Le tasse le pagano i cittadini, ovunque residenti. E le pagano allo Stato centrale il quale dovrebbe ripartirle equamente su tutto il territorio nazionale in forma di servizi.
“Dovrebbe” perché, in sostanza, non accade da mai. I territori del Sud italia ricevono costantemente mano di quanto spetterebbe loro in base alla popolazione e agli altri criteri necessari per stilare i fabbisogni. Su questo primo “scandalo” vige da sempre un imbarazzante silenzio. Il fatto che un bambino che nasce al Sud non abbia gli stessi diritti di un bambino nato al Nord non scandalizza nessuno.
Parliamo di diritto ad un asilo nido, ad un’istruzione adeguata, a servizi primari.
Le Regioni ed i Comuni, infatti, erogano i loro servizi prevalentemente con i fondi ricevuti dallo Stato (le tasse locali coprono una minima parte delle spese).
E lo Stato da dove prende i soldi? dalle tasse.
E chi le paga queste tasse? Non le “Regioni”, ma le persone, in base al loro guadagno. Ovvio che se le persone e le aziende più ricche risiedono in una specifica area geografica, da quell’area proverranno maggiori contributi.
Non pagano “più tasse” in quell’area, pagano le stesse tasse di tutto il paese. Le medesime gabelle. Semplicemente chi guadagna di più si troverà, per un banale principio matematico, a versare di più.

Ma anche se per assurdo questo principio rivendicato fosse sensato (e non lo è) domandiamoci alcune cose. Queste regioni che “trainano”, ma che in realtà sono semplicemente più ricche (anche perché le infrastrutture, costruite con i soldi dello STATO, sono state fatte tutte al Nord), dove vendono principalmente i loro beni e servizi? Al Sud Italia, principale bacino commerciale.

Se accendi la televisione e guardi un qualsiasi canale nazionale, contribuisci al Pil di una Regione del Nord, visto che i principali editori televisivi nazionali (Mediaset, Discovery, Sky, La7) hanno sede a Milano.

I principali editori italiani, che controllano quotidiani, riviste, libri ecc. sono tutti da Roma in su, principalmente a Milano. Ha sede a Milano la Mondadori, che ha nel suo gruppo marchi come Rizzoli,Einaudi, Sperling&Kupfer, Fabbri ecc. Ma vendono i loro prodotti in tutta Italia.

Ogni volta che parliamo al telefono, secondo questo principio, stiamo contribuendo al Pil di una Regione del Nord. Windtre e TIM hanno infatti sede legale a Milano, in Lombardia. Vodafone in provincia di Torino, Piemonte.
Per non parlare dei nostri conti correnti bancari, che generano profitti a banche perlopiù settentrionali, visto che il sistema bancario meridionale è stato progressivamente smantellato.

Persino la tanto vituperata immondizia del Sud contribuisce al Pil delle regioni e dei comuni del Nord (come scritto nel dettaglio in “Sputtanapoli” da Zaccone).
Lo smaltimento dei rifiuti, sia quelli “tal quale” che quelli differenziati, è un business che coinvolge solo aziende del Nord, spesso compartecipate dai Comuni stessi
https://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2017/05/22/news/i_miliardi_nel_cassonetto_chi_vince_e_chi_perde_nel_grande_business_dei_rifiuti-166161439/?fbclid=IwAR329YUupynQaWAUwckogukMaYfEBfdYdtbLZkjk1AqKEoXEZSI3ZWHhj7Y O vogliamo parlare dei siti archeologici, come Pompei (il più visitato dopo il Colosseo con incassi annui di circa 24 milioni di euro), Ercolano, Cuma e tanti altri. A gestire questi siti (biglietterie online, servizi aggiuntivi, prevendita, ristorazione, ecc.) c’è però COOP CULTURE con sede a Venezia Mestre, tra l’altro con “vecchi bandi scaduti da tempo e mai rinnovati”
https://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2016/02/03/news/la_grande_rapina_ai_musei-131170754/?fbclid=IwAR3eUesTHSbstVDGIRD0gtsLTT_0G4cvfSBJ-kK2PeMxkrsrpm3dAnBLpkw

E la Sanità? Il fatto che lo Stato destini a un cittadino meridionale meno di quanto riceva un cittadino del Nord come lo vogliamo definire? E quando si è costretti a fare la valigia per andare in un ospedale al Nord per curarsi, il cosiddetto “turismo sanitario”, è chiaro a tutti che la Sanità regionale poi presenta il conto a quella di provenienza? Che non c’e’ carita’? L’anno scorso la deputata leghista Silvana Andreina Comaroli provò a infilare un piccolo emendamento nel testo di conversione del cosiddetto “Milleproroghe” molto semplice: e cioè che i soldi per il 2021 per la Sanità fossero ripartiti secondo i ricoveri del 2019 (e non del 2020, come da LEGGE).
E perché? Perché prendere a riferimento i ricoveri di 2 anni prima?
Triste a dirlo, perché con i vari lockdown l’anno prima nessuno si era spostato fuori Regione, e i conti delle Asl lombarde, emiliane e venete erano parecchio in rosso rispetto al passato, per via dei malati curati in meno.
Ma con questo piccolo emendamento si sarebbe risolto il problema e dal Sud sarebbero arrivati circa 700 milioni per malati mai curati. L’emendamento non passò, fortunatamente, ma questa notizia apparve solo su un blog del Fatto. Non la riportò nessuno, ma ci aiuta a capire tante cose.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/26/listantanea-il-nord-e-quei-malati-immaginari/6114818/

E principalmente che l’idea di essere migliori per luogo di nascita è una bolla di pensiero confortante ma fasulla. Che conforta nel breve termine ma è illusoria. E che, come già redatto qualche giorno fa, se c’è una parte più ricca di un’altra, con più diritti e servizi, nello stesso paese, non è perché si è più bravi a far funzionare le cose, ma è proprio perché qualcosa non funziona nel paese. Da troppo.




Camorra terzo socio

Giunge da un giornalista napoletano che reclama l’anonimato, G.F., un connubio tra grido d’allarme ed ottimistica assuefazione ai nuovi piani della camorra improntati sullo sviluppo economico, la sicurezza cittadina teleologica a massimizzare la dovizia di turisti che assaltano l’ex capitale del sud, e la liquidita’ societaria. Vi e’ a tal proposito il quartiere di Fuorigrotta, in cui e’ situato lo stadio Maradona, retto dal boss Cavalcanti e non di lusso ne’ di bassa lega, che non ha mai o quasi mai ospitato situazioni di rapina, risse, scippi e disordini urbani. Cavalcanti e’ un camorrista con un’istruzione classicheggiante che ha introdotto un metodo quasi utile alla cittadinanza, adottato in seguito dalle altre frange malavitose che si spartiscono il capoluogo campano: ossia “Il terzo socio”. In pratica il capitale camorristico suffraga le molteplici attivita’ minute o grandi che si attivano in questa congiuntura, tra Napoli e provincia, in cambio di un terzo del fatturato mensile sottoforma di racket, con come contropartitavuna sorta di servizio teso ad allontanare la concorrenza, la delinquenza, i controlli pubblici ed a garantire prestiti agevolati nei periodi di stallo economico. Cosi’ tra Scampia ed il centro la Camorra sta dando adito ad una pletora di attivita’, specialmente in ambito della ristorazione, plasmando il racket sui reali introiti dell’imprenditore, senza pretendere la quota fissa di denaro proveniente da periodi lucrosi, garantendo continuita’ d’impresa, salari e agevolazioni burocratiche. Il Cavalcanti e seguaci, sull’abbrivio di questo camorrista con un debole per la musica e la pittura derivante dalla propria frequentazione del liceo artistico, hanno introdotto ed oggi ampliato, la politica del terzo incomodo che si tramuta in terzo azionista, ma che a differenza del proprietario fautore dell’attivita’, dello stato che per mezzo del fisco diventa coproprietario dell’azienda fornendo poco o nulla in cambio. Ebbene la Camorra contemporanea come terzo socio di un’attivita’ si dichiara fornitrice di servizi utili, effettivi, concreti che non agevola invecevl’erario medesimo cui spetterebbe farlo. Ed in tempi di stagnazione, pandemia, la camorra sta allascando le richieste di racket dando la possibilita’ di pagare cio’ che si ha, procrastinando altri prelievi economici in tempi piu’ proficui per l’attivita’, ed elargendo prestiti piu’ favorevoli e celeri delle banche, con tuttavia l’obbligo di penetrazione nel capitale aziendale e l’azionariato medesimo. Da Napoli e dintorni non sono amareggiati per questo peculiare ausilio della malavita organizzata, che tende a non inficiare il territorio gia’ martorizzato dalla penuria di banche pubbliche e private locali, che ne fanno un’unicita’, con il corollario del resto del meridione, in Italia ed Europa.

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Nei giorni scorsi a Napoli si sono verificati episodi di somma violenza giovanile ed hanno ripreso alcune rapine tuttavia si vedono incoraggianti segnali di rilancio delle imprese famigliari sopratutto nel settore gastronomico, mentre in relazione al racket, ne sono esenti solo le realta’ industriali piu’ consolidate come Pharma Morra, egemone nel mercato della logistica farmaceutica per l’Italia, con numerose filiali in giro sulla penisola, che in seguito all’incendio reiterato al proprio cuore direzionale in provincia di Napoli, ha optato per il trasferimento di gran parte dell’azienda, nelle regioni settentrionali. Ad ogni modo la sicurezza nelle strade di Napoli, si conferma elemento costante e mirabile, con i centri storici mantenuti in uno stato di nitore mai visto prima e, le arterie stradali un tempo esiziali per assalti criminali, risultano oggi luoghi ingentiliti e folkloristici oberati di attivita’ legate all’accoglienza di ogni sorta.

Il gruppo Marriot, molto apprezzato nell’ambito degli alberghi extralusso, ha inglobato Napoli assieme a Firenze, accostandole a Milano e Roma in cui gia’ risiede, come sedi per l’edificazione di nuove strutture di livello verticistico per l’attivita’ di ricezione. Napoli implementa cosi’, il proprio prestigio confermandosi la realta’ turistica maggiormente in ascesa nell’ambito italiano, ad onta della presenza stazionaria ed ormai discreta, della camorra che tuttavia continua ad investire nel nord Italia e nelle maggiori piazze finanziarie dell’Europa. Nella Campania invece, la camorra e’ stata indicata investire attualmente nella creazione di nuovi e sempre piu’ numerosi, saloni di auto seminuove o usate di alto calibro. Mentre in realta’ urbane ristrette come quelle di Benevento, Avellino e zone limitrofe, non riscontrano presenza camorristica e quella di fenomeni illegali di tal guisa, risulta impercettibile seppur presente in isolati casi.




Niente treni al sud: scelta ostacolata

NIENTE TRENI AL SUD, UNA SCELTA IDEOLOGICA NON ECONOMICA.

Lino Patruno, a proposito della annosa questione, tra l’altro spinosa, di mancanza di collegamenti ferroviari celeri ed efficaci da Napoli in giu’, si esprime in questi termini:” Vedete, questa questione dei binari al Sud sarebbe ridicola se non fosse tragica. A cominciare da un vecchio amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, col quale si aveva un dibattito del genere seguente. Perché non mette anche al Sud treni veloci come nel resto del Paese? Perché non ci sono passeggeri. Ma se non mette i treni, come può avere passeggeri? Così il Sud non ha avuto a lungo né treni né passeggeri.

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Ma chi mastica un po’ di economia sa che è il servizio a creare il mercato, non viceversa. E che se vuoi far sviluppare un territorio la parola è una sola: treno. Così l’America dei pionieri è diventata America. Così fece da noi lo Stato unitario, dimenticando però il Sud come se già da allora fosse un’altra Italia. Anzi quando si è fatta l’Autostrada del Sole per ricucire il Paese spaccato dalla guerra, la ricucitura è arrivata fino a Napoli, punto. ‘O sole mio, trascurando il resto del sole.

Quindi l’Italia attuale è un’Italia recidiva, così, per coerenza. Di recente confermato, del resto, dalla sottosegretaria Bellanova: investire 45 miliardi per risparmiare 20 minuti fra Lecce e Bologna «rischia di essere uno sperpero di risorse». E magari non lo è per far andare in un’ora da Genova a Milano, come stanno facendo ora. Come se solo per il Sud la possibilità dei cittadini di muoversi potesse essere decisa da un amministratore delegato, non fosse un diritto sancito dalla Costituzione. Un diritto pubblico essenziale come, ad esempio, la sanità e la scuola. Doveva essere lo Stato a imporsi, non i conti di un’azienda che, fra l’altro, era e resta statale, altro che chiacchiere. Ma allora perché i governi non l’hanno fatto?

Sembra la domanda tipicamente retorica che inficia l’Italia: La “diversamente Italia” non poteva essere trattata come il resto d’Italia, nel caso il resto d’Italia se la fosse presa. Puntare sempre su una, e l’altra avrebbe avuto un po’ di molliche per starsi zitta. Mai sia treni come altrove, si fosse messo in testa il Sud di diventare una forza a sé. Si fosse messo in testa di agevolare i suoi viaggiatori, imprenditori, studenti, turisti. Si fosse messo in testa il Sud di non dipendere più dall’altra Italia. Nord ricco in proporzione diretta al Sud meno ricco. Come se dare a uno significasse sempre sottrarre all’altro, non addizionare per tutti. «No treni» come scelta ideologica spacciata per scelta economica. Per restare in tema, la solita locomotiva del Nord che avrebbe tirato i vagoni del Sud.

Ma ora, udite udite, c’è «Verso Sud». Scrive un collega: ma scusa, le cose che ora hanno detto a Sorrento, non le dici tu (con pochi altri) da sempre? Sud essenziale per far crescere l’intero Paese? Ma ora serve il Sud alla canna del gas, come ha scritto il sulfureo Marcello Veneziani. Serve perché l’energia che mancherà potrà arrivare solo dal Sud, fra pale eoliche sul posto e tubi che lo buchereranno per far arrivare il gas da ogni dove. Quanto ai treni, la «Gazzetta» in questi giorni ha già fatto capire l’aria: Bari-Napoli diretta nel 2027, se va tutto bene; Taranto-Potenza-Battipaglia allo stato di fattibilità; raddoppio Termoli-Lesina appena cominciato dopo anni di stop.
Ma nulla che non sia roba da anni ‘70.

Nulla che riguardi il Pnrr, anche se lo si spaccia. Nulla che faccia dire: si è capita la rendita di posizione del Sud nel Mediterraneo, mettiamola a frutto per il Sud e per l’intero Paese. Nulla che faccia pensare a una visione per il Sud: cosa diventare da grande, non come ci serve ora. Ma non giudichiamo troppo in fretta questo ennesimo «rilancio del Sud», mai nessuno tanto rilanciato da andare solo a sbattere. Non dimenticando mai la «trappola del sottosviluppo».

È il moltiplicatore per cui, se un ragazzo del Sud è costretto ad andare a studiare fuori (perché le università del Sud sono sottofinanziate rispetto alle altre, incredibile), non solo toglie al Sud ma aggiunge al Nord: scappato per un divario che egli contribuisce ad aumentare scappando. E così un malato che va a curarsi fuori (perché anche gli ospedali sono sottofinanziati): più vanno, di meno posti letto avrebbe bisogno il Sud, che così vengono eliminati costringendo altri malati ad andare fuori. Sembra una barzelletta. Un meccanismo automatico che si interrompe cambiando le regole. Cominciando a dare treni, e ospedali, e università che blocchino il meccanismo. Quello che fa mancare al Sud tre milioni di posti di lavoro e il 50 per cento del reddito che ha il Centro Nord.
Questo Sud che vuole essere assistito, ammesso che così fosse. Quando invece, come visto, assiste il Nord. La Gazzetta del Mezzogiorno diventa caustica con tale editoriale e si aggroppa le problematiche di un sud gia’ mezzo orbato dal reddito di cittadinanza che Renzi si appresta di abolire. Mentre i lavori per l’edificazione di asili nido a Catania, Palermo, Napoli, e poi un possibile, avveniristica versione mediterranea di tunnel della Manica che colleghi Libia e Lampedusa. Ma cio’ sarebbe posteriore al completamento del Ponte sullo Stretto che troncherebbe l’isolamento della Sicilia, piccolo stato piu’ che mera regione.




Salone del Libro elude il Sud

IL MEZZOGIORNO DIMENTICATO DAL SALONE DEL LIBRO DI TORINO

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Massimo Novelli e’ perentorio nel rimarcare il boicottaggio editoriale del sud nell’ambito della principale manifestazione libraria italiana finanziata anche con soldi pubblici:«Il Sud in questo Salone del Libro? Non esiste proprio. Non ne parla nessuno. Non ci sono dibattiti, incontri di rilievo». A dirlo seccamente e’ Paolo Miggiano, pugliese di Minervino di Lecce trapiantato a Caserta. Ex funzionario della polizia di Stato, laureato in Scienze dell’Investigazione. giornalista e scrittore, è tra i fondatori della casa editrice Terra Somnia, nata sull’asse Salento, Caserta e Napoli. Una casa editrice innovativa e coraggiosa. Terra Somnia, che nella collana diretta da Monica Ruocco, docente di Lingua e letteratura araba all’Orientale, ha appena pubblicato due libri di autori siriani: La strada di Mariam di Mahmoud Hasan Al Jasim e Libertà: casa, prigione, esilio, il mondo di Yassin al-Haj Saleh, la «coscienza della Siria», un dissidente rimasto in carcere per 16 anni.

Eppure Terra Somnia, nella kermesse del Lingotto, pur diretta dal barese Nicola Lagioia, non ha neppure un suo stand ed è ospitata dalla torinese Hopefulmonster. C’è davvero poco Sud, alla trentaquattresima edizione di Librolandia, sebbene il presidente del Consiglio Mario Draghi, di recente, abbia assicurato che «dalla formazione di questo governo, il Sud è al centro dell’azione dell’esecutivo, delle nostre politiche di rilancio del Paese. “Vogliamo che il Mezzogiorno torni ad avere la centralità che merita. In Italia e in Europa”. AI Salone torinese la «centralità» non si vede, non se ne parla in nessuno dei circa 1500 appuntamenti. Tutt’al più, peraltro in un’area esterna del terzo padiglione, l’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha potuto conversare intorno a «un racconto fotografico della sua città», così come il presidente del consiglio comunale di Napoli Enza Amato è stato invitata a dialogare con alcuni colleghi su «Democrazia, rappresentanza e partecipazione». Eventi episodici, perduti nell’oceano del Salone, come la conversazione di Maurizio De Giovanni sulla Napoli di Eduardo De Filippo e Matilde Serao, o gli appuntamenti negli spazi delle regioni del Mezzogiorno. C’è chi si accontenta di fungere da ufficio del turismo, semmai. Come la Regione Calabria, «E da Torino stessa», si legge in un articolo di un quotidiano calabrese online di giovedì, «che parla il vicepresidente della giunta regionale, Giusi Princi, che ha inaugurato lo stand della Regione Calabria… Stand tra i più grandi di tutta la fiera, e per volume occupato e per impatto visivo, sviluppato su 150 metri quadri, con un concept stilistico che lascia predominare il blu (colore istituzionale dell’Ente) alternato ad altre tinte intense che rappresentano la terra in questione: non dimenticando l’evidente richiamo ai Bronzi di Riace, il cui 50° anniversario della scoperta quest’anno sarà celebrato in grande stile. Un notevole incentivo ai tanti curiosi attirati dalle nostre bellezze culturali».

Sarebbe questa la «centralità» del Sud? Ci si chiede, oppure quella di certe ricorrenze che «vengono ricordate solo per fare spettacolo. O perché non possono fare a meno di celebrare, senza però dire niente di importante»? Lo rimarca l’architetto Brizio Montinaro, fratello di Antonio, uno degli agenti della scorta di Giovanni Falcone massacrati con il magistrato e Francesca Morvillo trent’anni fa, a Capaci. Montinaro, qualche giorno fa, ha voluto rammentare lo stato dell’auto, quel 23 maggio del 1992, in cui morirono Il fratello Antonio e gli altri agenti, oggi ridotta a «cubo compattato». Era «un ammasso di rottami», dice. E ha aggiunto in un post su Facebook: «Il suo nome in codice, Quarto Savona 15, rimase per mesi nella caserma Lungaro a disposizione degli inquirenti, poi la decisione di rottamarla. Un mezzo la compattò e la stava portando presso un demolitore. I colleghi di Antonio, Vito e Rocco, si ribellarono ed evitarono la rimozione totale seppur di un oggetto che avrebbe avuto nel tempo valore simbolico come l’auto in cui perse la vita Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Qualche familiare che si è attivato, a che in modo itinerante assurga a valore simbolico, non dovrebbe scandalizzarsi e agire in modo impropriato rispetto a chi avendola vista di persona poco dopo la strage, ne ricordi la conformazione diversa da cubo compattato attuale. La sua forma attuale nulla toglie al suo valore intrinseco e simbolico, la forma e la sostanza dei comportamenti invece ci disturbano in quanto falsano la verità». Per non falsare la verità, conclude l’ex poliziotto Miggiano, «per parlare di Falcone e Borsellino, al Salone, invece di presentare libri scritti da noti autori che con Falcone non c’entrano nulla, sarebbe stato meglio dare spazio a un volume come L’antimafia tradita di Franco La Torre, il figlio di Pio La Torre, in cui descrive una realtà ben identificabile, ben precisa, con nomi e cognomi dei buoni e dei buoni che sembrano solo buoni e che in realtà non lo sono affatto».
Ma questo Sud, al Salone del Libro, è un Sud bonificato in spettacolo, qualche volta, e spesso ridotto a cartolina.




Problema aereoporti: Basilicata abbattuta, parola di Francis Ford Coppola

SENZA AEROPORTO LA BASILICATA NON DECOLLA.
Massimo Brancati in relazione alla situazione che limita la Basilicata, recente icona per la cultura europea con Matera adottata come capitale per un anno, si esprime cosi’:”Chissà, magari ha intenzione di scrivere un film sul mito di Icaro. «Volare», racconta chi lo ha incontrato nelle sue incursioni lucane, è il verbo italiano che ha imparato da subito a pronunciare. Sarà anche per «quel blu dipinto di blu» che riecheggia ancora oggi in America come nel resto del mondo, ma Francis Ford Coppola, premio Oscar originario di Bernalda (Matera), ha proprio il «pallino» del volo. Soprattutto quando parla della «sua» Basilicata, così bella, affascinante, misteriosa e difficile da raggiungere.

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Lo sa bene. Lui che per tornare nel paese di nonno Agostino fa scalo con il suo jet privato a Grottaglie per poi inerpicarsi sulle strade tormentate e tortuose della terra di Sinisgalli e Scotellaro fino a raggiungere il Resort di famiglia aperto a Palazzo Margherita, antica dimora di Bernalda, suo «buen retiro» a cinque stelle. Il regista de «Il Padrino» ha colto subito l’occasione per rispolverare la questione della mancanza di un aeroporto in Basilicata, rispondendo alla lettera che il governatore Vito Bardi gli ha inviato annunciandogli l’intenzione di voler allestire nel castello di Bernalda una mostra in occasione dei 50 anni dall’uscita del suo film più famoso, vincitore di tre premi Oscar.

Il presidente lucano lo ritiene «il primo tassello di uno spazio dedicato all’avventura umana e artistica dei Coppola». Un museo, in altre parole, della famiglia che ha dato i natali non solo a Francis ma anche ad Anton, famoso direttore d’orchestra scomparso a marzo 2020 all’età di 102 anni. Il regista si è detto entusiasta dell’idea, ma ha posto l’accento sul completamento dell’aviosuperficie di Pisticci, la pista «Mattei», opera che ritiene prioritaria per garantire un flusso di visitatori al museo che si intende allestire.
Della serie: va bene portare qui, in terra lucana, i cimeli e i ricordi della famiglia, ma chi oggi verrebbe da oltre Oceano per vederli sapendo di doversi sobbarcare un viaggio interminabile? L’aereo accorcia le distanze, semplifica la vita. Ed è un alleato del business, convinzione granitica in Coppola, geniale tanto nella regia quanto negli affari.

Al suo Resort di Bernalda hanno messo piede tanti amici Vip, dalla figlia di Mick Jagger, Jade, a Justin Timberlake, ma il flusso sarebbe certamente maggiore se ci fosse uno scalo aeroportuale dove far atterrare i jet super comfort di attori, registi e artisti da Los Angeles e dintorni.
Coppola non torna a Bernalda da ormai tre anni. Ha sempre sperato che Pisticci potesse essere la soluzione, ma – è proprio il caso di dirlo – l’impianto non è mai decollato. Anzi, oggi è imbrigliato nelle pratiche del consorzio industriale di Matera senza avere un orizzonte ben preciso. Resta nel limbo in attesa dell’eterna promessa di un ampliamento e di un progetto di connessione con l’embrione di pista esistente a Grumento Nova e all’aviosuperficie privata, intitolata a Falcone, di Gaudiano di Lavello.

L’idea – appena sussurrata dalla Regione Basilicata – è quella di creare un triangolo «volante» tra Metapontino, Vulture e Val d’Agri, smarcandosi dall’investimento milionario e infruttuoso che la stessa Regione, negli anni scorsi, ha destinato all’aeroporto di Pontecagnano (Salerno).
Coppola riaccende il dibattito sulla voglia di volare dei lucani. E rinvigorisce il dilemma primordiale: nell’era della globalizzazione si può stare sui mercati e giocarsi la partita per lo sviluppo economico e turistico di un territorio prescindendo dai collegamenti aerei? Le soluzioni che dividono idealmente la Basilicata in due (l’aeroporto di Bari al servizio degli abitanti di Matera e dintorni, quello di Napoli punto di riferimento di Potenza) non possono ritenersi esaustive.

Un aeroporto porta con sé un marchio e «vende» un territorio. Gli aeroporti pugliesi hanno molto sostenuto la crescita della loro realtà regionale, così come quelli campani hanno potenziato, ad esempio, il turismo sulla costiera amalfitana, nel Cilento, spingendosi fin verso Maratea e lambendo qualche altro territorio del Potentino.

Ma in questo discorso resta tagliata fuori l’area a Sud di Matera, con tutto il Metapontino e il litorale jonico, cuore del turismo balneare lucano.

Esclusa dai voli come Bernalda, con buona pace di Coppola, regista e businessman.