Non solo politici: al sud classe dirigente apparentemente inferiore

Lino Patruno sulla Gazzetta del Mezzogiorno esecra la societa’ civile meridionale, in relazione a cui la politica non puo’ divergere, con questo redazionale al fulmicotone:” Ah, le classi dirigenti meridionali. Se qualcuno le difendesse, sarebbe più impopolare di un aumento delle tasse. E se qualcuno le attacca, parte una standing ovation ché neanche per un gol della Nazionale di calcio. Non c’è commentatore delle cose del Sud a non essere convinto che la colpa maggiore di tutto ciò che non va sia loro. E se si chiedesse come risollevare il Sud, la risposta sarebbe più unanime di un plebiscito per l’aumento di stipendio a tutti. Cambiare le classi dirigenti, detto con la stessa facilità e convinzione con cui si dice che Putin è un folle pericoloso.

Anzitutto: cosa si intende per classi dirigenti. Ma i politici, è la risposta automatica. Meno automatico, ma più equo, è dire che classi dirigenti sono anche gli imprenditori, i sindacalisti, i banchieri, i responsabili di aziende pubbliche, i docenti universitari, i giornalisti (credevate/mo di svignare?). Ciascuno per la sua parte e le sue responsabilità, anche se i politici hanno obblighi maggiori rappresentando tutti. Avrebbero l’obbligo di essere, se non migliori, perlomeno non peggiori. Spesso sono peggiori, come se anche le migliori intenzioni naufragassero entrando in un mondo marchiato come casta. La dice lunga il rendimento non lusinghiero di tanta società cosiddetta civile dirottata in politica.

Ma la domanda è: l’acclarato basso livello delle classi dirigenti, è una causa o un effetto dei mali del Sud? Al Sud, come sappiamo, è più basso tutto. Dal reddito ai livelli dell’occupazione, dai servizi pubblici alle infrastrutture. Sono i Conti pubblici territoriali a testimoniare che in gran parte questo dipende dalla minore spesa dello Stato in investimenti al Sud, anche se dirlo attizza sempre i Savonarola pronti ad accusare il Sud di voler sempre essere assistito. Ma i Conti pubblici territoriali non li fanno i meridionali né (vade retro) i meridionalisti, bensì il ministero dell’Economia. E si trovano su Internet, mica sono più difesi e inaccessibili dei lingotti della Banca d’Italia.

Poi. Al Sud è più basso anche il livello culturale, benché né Sciascia né Franco Cassano fossero valtellinesi. Se non ci sono tanti asili nido pubblici come nel resto d’Italia, se non ci sono le biblioteche scolastiche, se ci sono le classi-pollaio, se il numero di insegnanti per alunno è più basso che altrove, neanche un padre Pio in gran forma sarebbe capace di cambiare la situazione. E’ il motivo per cui si è calcolato che, a parità di scuola frequentata, è come se i ragazzi del Sud avessero avuto un anno in meno di insegnamento rispetto a quelli del Nord. Per meno mezzi avuti a disposizione, non per meno neuroni. E al Sud c’è anche meno tempo prolungato (sempre per il minore apporto dello Stato che se ne occupa, non per le classi dirigenti locali). Quando Provenzano era ministro per il Mezzogiorno, disse che la prima cosa che avrebbe voluto fare a sostegno del Sud, era dare il tempo prolungato a tutti. E fu subito d’accordo il cremonese Cottarelli, uno che verso la spesa pubblica è più guardingo di un domatore di leoni.

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Stesso discorso per le università del Sud, penalizzate da un fondo nazionale che premia quelle con più mezzi a disposizione (non il contrario), cioè quelle con tasse di iscrizione più alte, cioè quelle delle regioni più ricche. E se tu mi scoraggi dall’istruirmi perché nonostante la mia formazione e il mio merito c’è meno lavoro per tutti. E se l’esodo di giovani, e di quelli con più studi, priva il Sud di ingegneri, architetti, informatici, economisti, matematici, quali potranno essere queste nuove classi dirigenti che servono al Sud? Vanno ad arricchire altri, il contrario di quanto servirebbe. E uno non emigra se sta troppo bene per farlo.

È stato il premio Nobel indiano Amartya Sen a dire che per giudicare un uomo bisogna capire il contesto in cui è. Sen le chiama capabilities to function (capacità di funzionare), l’effettiva possibilità e opportunità di fare ed essere ciò che voglio. Fattori sociali e politici, non solo personali. E lo spiega ampiamente la sociologia comportamentale: la povertà alimenta altra povertà. Anche di valori. E Roberto Saviano aggiunge che l’impoverimento normalmente genera circoli viziosi. Però se al Sud è tutto meno, la pretesa è che le classi dirigenti (politiche in testa) debbano essere più. Bisognerebbe spiegare perché tanti meridionali siano meridionali di successo dove le condizioni sono diverse. E chiedersi se il tiro alla classe dirigente non sia il mezzo rapido per dare alibi ad altre inadempienze verso il Sud”.

Più che cambiare le classi dirigenti, occorre cambiare le condizioni che le producono. Altrimenti si riproducono. «Non si può togliere l’acqua ai pesci e poi stupirsi se boccheggiano o muoiono».

A cio’ bisogna tuttavia aggiungere la nuova fisionomia di meridione affibbiata all’Italia settentrionale che si trova a rintuzzare aggravi di spesa per imprese, contribuenti e salariati, che contrassegnano problemi di liquidita’ per l’erario, il che e’ propedeutico di svendite dei beni pubblici, aziende italiane e sopratutto multinazionali di stato, ad enti finanziari che finanziano il debito pubblico nostrano ed in cambio richiedono cesure di spesa, partecipazioni societarie, aumenti fiscali e gestione dei beni demaniali come interessi sugli acquisti.




Sud: Recovery Plan inutile: Movimenti del sud all’attacco e innovazione energetica

Mimmo Della Corte asserisce che la ripresa del sud esula il Pnnr. Ed e’ in procinto di concretizzarsi un ulteriore smacco per il territorio piu’ indigente d’Europa: ovvero le lande a sud di Roma che comprendono anche l’Abruzzo.
Più che numeri per lo sviluppo, sembrano numeri per il bancolotto, rincara. Capire quanta parte dei 209 miliardi di risorse ‘Recovery’, toccherà – e, soprattutto, sarà realmente spesa – al Sud, è davvero un enigma. Dall’Europa era arrivato l’input ad attribuirgliene a sufficienza per consentirgli di recuperare i divari infrastrutturali che ne frenano la crescita. Da qui, l’intricato e complicato garbuglio.

Dal ministro per le infrastrutture Giovannini che sostiene saranno il 56%, al decreto legge per la sua attuazione che gli assegna il 40% e al forzista Pella relatore del dl alla Camera, che suggerisce di non considerare quel 40%, per singolo bando, ma per progetti complessivi ed eventuali compensazioni tra le aree territoriali, l’economista Gianfranco Viesti che parla di «ambiguità» e «scarsa trasparenza» sui bandi per il Mezzogiorno relativi all’Università.

In realtà, proprio la vicenda dei bandi Miur per l’attribuzione dei primi 741,8 milioni dei «Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale» (dotazione complessiva 1,8 miliardi), che spinge il professore dell’Università di Bari, a tale affermazione è – la dimostrazione più lampante che si sta mettendo a punto l’ennesima «fregatura» per l’Italia del tacco, cui non arriverà né il 56 e nemmeno il 40%, ma molto meno-.

Si evince cosi’ una cesura delle risorse verso il Sud, deittica dell’attuazione avvenuta del Fiscal Compact nei confronti di Napoli, con un vincolo di 21 anni.
Il 25 gennaio il sito del Ministero dell’Università e Ricerca, pubblica il decreto direttoriale n. 99, che all’art. 4.1.B prevede una linea «Sud» di 296,7 milioni ovvero il 39,99% (in linea con l’intenzione originaria) dei 741,8 milioni da assegnare ai progetti di ricerca fra ricercatori operanti nel Mezzogiorno, ma il 2 febbraio tale provvedimento scompare. Ne prende il posto il n. 102, che cancella la linea «Sud» e taglia le risorse destinate al Sud di 80 milioni, riducendole a 218 milioni, il 29,4% del totale ovvero il 10,6% in meno. Perché, secondo il Mur il 40% andrebbe «calcolato sul complesso degli stanziamenti del Pnrr e non sul singolo bando Prin 2022».

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Eppure la legge 108/2021 per l’attuazione del Pnrr prevede che «Almeno il 40% delle risorse allocabili territorialmente, anche attraverso bandi, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, sia destinato alle Regioni del Mezzogiorno». Ma come noto le leggi per gli amici s’interpretano, per i nemici si applicano. E si sa, il Mezzogiorno, nei palazzi «laddove tutto si puote» non ha mai avuto troppi amici, afferma il giornalista. Dall’Abruzzo in questo pantano infuriano movimenti civici cooperanti con omologhi del Molise a reclamare una riunificazione al Lazio teleologica alla ripresa del commercio, degli investimenti infrastrutturali ed al fermo all’emigrazione giovanile.

Stando al ministro dello sviluppo economico, Franco, «Il Sud sarà destinatario del 45% delle risorse Pnrr» e «spenderle per il riequilibrio territoriale per far ripartire il Paese, è una priorità del governo». Sarà anche vero, ma tanta confusione, non fa che avvalorare i dubbi sulle effettive potenzialità di crescita offerte al Mezzogiorno da Recovery fund e Pnrr, tante volte espressi dai giornalisti attive sulle piattaforme social meridionaliste.

E quello che più lascia perplessi è la constatazione che l’unica questione di cui dai centri politici apicali dell’Italia – nonostante l’Ue abbia detto che bisogna aiutare il Sud a recuperare i ritardi infrastrutturali – continuino a porsi è quella relativa alla quantità (la più alta possibile, ovviamente) di risorse cui «pretendono» di aver più diritto del Mezzogiorno.

Per l’ennesima volta eludendo il fatto che perché questo Paese davvero cresca, è indispensabile che il Sud effettivamente recuperi i suoi ritardi con l’Italia e s’avvicini all’Europa. E come è notorio, da decenni, il principale ritardo del Mezzogiorno è rappresentato proprio dall’insufficienza e dall’obsolescenza della infrastrutturazione. Da qui si impernia anche la recente dichiarazione del volto noto di Report Milena Gabanelli: essa ha rimarcato quanto questa Italia duale approfitti dello stato infrastrutturale mediocre e fioco del mezzogiorno per ricavarvi clienti e pazienti, dal punto di vista ospedaliero e commerciale. Ecco dunque enunciata la cagione statistica che vede la sanita’ meridionale inefficiente, inefficace, lottizzata ed in fase di stallo inveterato.

La rielaborazione dei dati contenuti dall’«occasional Papers» n. 635 di Banca D’Italia, sui «divari infrastrutturali in Italia» rileva che: fatto 100 il livello del sistema infrastrutturale complessivo italiano (strade, ferrovie, aeroporti, telecomunicazioni, ospedali, rifiuti, ecc.) Nord e Centro toccano rispettivamente quota 102,9 e 102,6%, mentre il Sud si ferma al 69. Un ritardo, insomma, di quasi il 34% che è impossibile recuperare con le briciole che Draghi ed accoliti vorrebbero lasciarvi. Anche se sono briciole di ‘Recovery’.

Intanto con la benzina che sfora i due euro al litro e l’elettricita’ maggiorata nei costi del 40% nasce al sud il primo consorzio italiano di imprese attive nel settore dell’agrofotovoltaico.

Da FreshPlaza.it si apprende di Le Greenhouse, primo Consorzio di aziende agricole, specializzate nella coltivazione in ambiente agrofotovoltaico. Le prime realtà sono nate nel 2011 in Calabria e, con la coltivazione all’ombra di moduli fotovoltaici, hanno raggiunto risultati idonei a stabilire innovativi protocolli di coltivazione replicabili.

Tra i traguardi ottenuti dal Consorzio, traspare l’efficientamento nell’utilizzo della risorsa idrica, con un risparmio del 70% di acqua rispetto alla stessa coltura in pieno campo; il duplice utilizzo del suolo agricolo, con una gestione condivisa del fondo tra parte agricola e produzione di energia; la protezione delle colture da eventi atmosferici, che garantiscono al coltivatore anche di ridurre i costi assicurativi. E ancora: un impulso al settore agricolo e la creazione di lavoro specializzato e non, in luoghi con una forte tendenza all’emigrazione giovanile; il miglioramento dell’efficienza dei moduli fotovoltaici, grazie alla mitigazione dovuta al microclima in ambiente agrofotovoltaico; l’elevata qualità anche estetica dei prodotti agricoli.

Oltre a questi risultati il Consorzio Le Greenhouse, come operatore storico del settore, ha recentemente collaborato fra gli altri, con l’Università della Tuscia, l’Enea, EF Solare Italia e Confagricoltura, alla stesura delle linee guida del nuovo agrofotovoltaico, al fine di fornire un quadro di riferimento agli operatori del settore.
Ad ottobre dello scorso anno, una delle società del Consorzio Le Greenhouse, ha vinto l’Oscar Green Coldiretti Calabria nella categoria “Transizione energetica e Sostenibilità” ed è stata selezionata a partecipare alla finale nazionale.

La Greenhouse, operativa nella produzione agricola ecosostenibile ha inoltre collaborato alla realizzazione del prototipo di agrofotovoltaico di proprietà di EF Solare Italia, presentato presso le serre fotovoltaiche di Scalea, in provincia di Cosenza, in occasione del convegno annuale organizzato da EF Solare Italia, tenutosi il 25 novembre 2021.

Ilsud24.it ha immortalato la presentazione del nuovo prototipo che ha permesso ai partecipanti di verificare in maniera tangibile i risultati raggiunti e le nuove tecnologie per la realizzazione dei moderni impianti agrofotovoltaici.




Napoli reclama Whirpool

Alessio Liberini riporta dalle colonne del celeberrimo “Il Mattino” che Napoli non molla», stesso motto infatti e’ il grido che hanno portato in piazza del Plebiscito gli operai, ormai ex Whirlpool, per “celebrare” il loro millesimo giorno di una vertenza infinita, partita nel lontano maggio del 2019. Con l’attuale ministro degli esteri di Maio ad aver al principio garantito quasi la confisca dell’impianto in caso di esternalizzazione oppure l’obbligo di pagamento sanzionatorio monstre per la multinazionale dai conti in estremo attivo.
Dopo mille giorni di lotta, e tante promesse fin ora rivelatesi vane, i lavoratori e le lavoratrici di via Argine proseguono con mobilitazioni e raggruppamenti costanti, la loro battaglia che reclama “Un Nuovo Sud”. Un nuovo sud” e’ il titolo del brano dell’artista napoletana, Monica Sarnelli, che ha cantato in piazza addirittura con le tute blu per rivendicare quella voglia di speranza, ma soprattutto di riscatto, che da oltre tre anni accompagna la lotta dei lavoratori di Ponticelli senza risultati fattivi.
Le speranze per il futuro restano legate al Consorzio, proposto la scorsa estate dal Governo, che dovrebbe riassorbire i 317 lavoratori – licenziati dalla multinazionale della impiantistica e oggi in Naspi – in un ambizioso piano di reindustrializzazione del sito di Napoli Est, dove si dovrebbe realizzare un Hub della mobilità sostenibile. A tal proposito il primo marzo i sindacati di Fim, Fiom e Uilm sono tornati a Roma per un nuovo tavolo al ministero dello Sviluppo Economico.
Intorno alle 10 della mattina la centralissima piazza del Plebiscito è stata pertanto decorata con un grande numero mille, realizzato tramite un’installazione con dei palloncini colorati e deittico anche di significati storici che progressivamente vengono enfatizzati da fette maggiori di popolazione non solo partenopea, ma anche del resto del meridione. Sullo sfondo dello striscione un gruppo di lavoratrici ha inscenato un flash mob con una coreografia sulle note della canzone di Monica Sarnelli. «Oggi – racconta l’operaia Carmen Nappo – sono mille giorni di lotta per noi. Venendo qui ho sentito che è iniziata anche la guerra (in Ucraina ndr), la situazione è tragica. Si pensa a fare la guerra e non si pensa a far del bene anche dando del lavoro. Sono mille giorni che noi siamo qua, il primo marzo dal tavolo di Roma, noi reclamiamo veramente che ci siano degli avanzamenti rispetto al consorzio: noi non ci fermeremo, siamo determinati».
«Noi dobbiamo lavorare» ha precisato la lavoratrice prima di far partire il sit-in che si è svolto sulle note del brano “Un Nuovo Sud”. Un testo, quello della Sarnelli che oggi ha cantato in piazza con le operaie, che parla proprio della storica e triste tematica che riguarda i tanti meridionali, giovani e non, costretti a dover lasciare il proprio territorio per cercare lavoro in nord Italia o addirittura all’estero.
«Sono mille giorni che ci credono – racconta Monica Sarnelli – portando avanti questa battaglia per una cosa semplicissima: il loro lavoro. Io credo che il lavoro sia quella cosa che rende civile un uomo perché non si può vivere senza il lavoro. Vogliono che la fabbrica riapra. Sono mille giorni che combattono per questo loro diritto».
Per l’artista, che ha dedicato anche un chiaro richiamo alla loro vertenza nel brano, gli operai di Ponticelli rappresentano «la Napoli che non molla, che non vuole emigrare. Perché dobbiamo vedere i nostri figli, come sono quelli di tante mie amiche, che devono andare al Nord per trovare fortuna. Speriamo che anche al Sud ci possano essere imprenditori che vengono finalmente ad investire in questa città e non a chiudere le fabbriche com’è successo agli operai della Whirlpool».
Concetto che è stato ribadito, inoltre, anche dai tanti cittadini che oggi erano in piazza, fisicamente o anche solo da remoto, per sostenere i lavoratori. «Sto seguendo con il Governo e le istituzioni locali il tema perché noi dobbiamo dare un futuro al sito Whirlpool» ha raccontato alla stampa il primo cittadino di Napoli, Gaetano Manfredi, a termine della visita all’istituto “Russo-Solimena” del quartiere Barra, nella periferia orientale della città, la stessa che ospita l’ormai ex stabilimento di lavatrici.
Tra i presenti in piazza del Plebiscito, invece, vi è stata la visita dell’ex sindaco, oggi consigliere tre le file dell’opposizione di Palazzo San Giacomo, Antonio Bassolino. «La politica – ha tuonato Bassolino in un video messaggio pubblicato sui social dalla pagina “Whirlpool Napoli non molla” – non è stata all’altezza del suo compito e della vostra battaglia. Ora bisogna andare avanti e seguire con attenzione le vicende del consorzio e la città e le Istituzioni, tutti hanno e abbiamo il dovere di stare accanto a voi».
Sulla stessa scia dell’ex sindaco e governatore di Regione anche le parti sociali – che lottano da mille giorni insieme agli operai – hanno ribadito la necessità di ricevere aggiornamenti dal piano di reindustrializzazione dello stabile di via Argine. «Sono mille giorni di lotta, aspettiamo ancora risposte – racconta il segretario della Fiom di Napoli, Rosario Rappa – ma la determinazione per far riaprire i cancelli di via Argine non è affatto sopita»
«Adesso però – precisa Rappa – bisogna dare corso all’Hub della mobilità sostenibile a livello nazionale. Solo ieri sono stati stornati 53 miliardi dal Pnrr che verranno distribuiti alle regioni, compresa la Campania, il primo marzo avremo l’incontro al ministero dello Sviluppo Economico. Ci aspettiamo che gli impegni assunti, dai vari dicasteri e dalla Regione (la partenza dei corsi di formazione professionale programmati da Palazzo Santa Lucia, l’accelerazione sul processo di vendita del sito di Napoli e la discussione, con le singole aziende, sui piani industriali che il Mise si era impegnato a fare ndr). Vorremmo che ci sia un avanzamento sostanziale per queste questioni».
«Mille giorni di vertenza, ma anche mille giorni di speranza e di lotta, mille giorni, con tre governi, due sindaci, un governatore con due mandati, per dimostrare la pochezza della politica non solo in questa vertenza, ma in generale. Non si è stati in grado di creare una risposta per 317 famiglie» attacca, invece, il segretario della Fim di Napoli, Biagio Trapani. «Ci aspettiamo – continua Trapani – che finalmente si inizi a mettere corpo a quel percorso di Hub tanto decantato a luglio dello scorso anno ma che ora i ministri stessi sembrano essersi allontanati. Non sono più presenti ai tavoli, che continuano ad essere tecnici, ma senza riposte. Se veramente vogliamo essere da esempio per le generazioni che verranno, iniziamo a creare lavoro qua al Meridione, proprio a Napoli che è una città con tante difficoltà ma anche con tante risorse».
«C’è tanta forza, tanta determinazione, e in tanti sono vicini a questi lavoratori – chiarisce Antonello Accurso, segretario aggiunto della Uilm Campania -. L’attestato di stima e di vicinanza di tante personalità dimostra che i lavoratori della Whirlpool hanno detto una cosa alla politica: “noi ci siamo, non ci arrendiamo, devi battere un colpo”. Non possiamo fermarci ai proclami, ci avevano detto che tutto era pronto quando noi insistevamo per far rimanere Whirlpool, l’azienda è andata via e siamo ancora ad aspettare i progetti. Non possiamo far passare altri mille giorni. Vogliamo che questa ricorrenza sia ricordata come quella data che dà l’inizio al passaggio di questi lavoratori in attività produttive di prospettiva con gruppi seri a via Argine».
Nel mentre, in contemporanea, sui social è stato lanciato – dagli stessi lavoratori- un‘hashtag per l’occasione (#1000giorni). Dove, in tanti, hanno voluto condividere un momento di solidarietà per i lavoratori della Whirlpool. «Quando si lotta per la giustizia e per la dignità delle persone e delle famiglie, della vita, la chiesa non può non schierarsi», ha spiegato nel suo messaggio di vicinanza l’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia.
«Anche io sono vicino ai lavoratori della Whirlpool di Napoli – ha detto l’artista Nino D’Angelo – perché il lavoro non è un regalo è un diritto e il diritto viene prima del dovere».«Mai avevo visto una battaglia lunga mille giorni – racconta, invece, Pier Luigi Bersani – credo che dobbiamo ringraziare, davvero, i lavoratori della Whirlpool e le loro famiglie per questo incredibile impegno».
Questi sono solo alcuni dei tantissimi messaggi arrivati nelle scorse ore ai lavoratori. Una vicinanza, quella della società civile, che spazia da Nord a Sud dello stivale che oggi abbraccia, virtualmente, i lavoratori di Napoli.




Patto per Napoli: unanimita’ sulla concorrenza

Il 22 di febbraio il Consiglio Comunale si è nuovamente riunito per ascoltare la relazione dell’amministrazione sul celebre #PattoperNapoli, che verrà firmato a breve dal sindaco Manfredi e dal presidente Draghi.

“Sui dati formali del patto la nostra posizione è nota”, asserisce l’assessore comunale Alessandra Clemente candidata sindaco di de Magistris e riconfermata al ruolo che deteneva con la giunta comunale uscente, anche nella gestione di Manfredi: dopo anni di impoverimento dovuto ai tagli che lo Stato ha perpetrato nei confronti degli comuni, oggi arriva un commissariamento da parte dello Stato stesso in cambio di un minuscolo risarcimento, secondo la figlia di una vittima erronea della camorra, alla luce di ventiquattromila fan della sua pagina Facebook.

Gli 1,2 miliardi di euro che arriveranno in 21 anni sono briciole, 60 milioni all’anno circa, quando solo di interessi paghiamo 230 milioni di euro ogni 12 mesi. Soldi che il Ministero dell’Economia ci concede con una mano per poi riprenderseli con l’altra tramite Cassa depositi e prestiti, un’azienda pubblica che applica tassi di interesse sul debito tra il 4 e il 5%, cifra assolutamente fuori mercato che continuerà a rendere impossibile risollevare il destino della città. E’ questo il processo allarmante e clamoroso estrinsecato da Alessandra Clemente.

Professionista a capo di un’ambiziosa associazione denominata “Fare Napoli”, la Clementev lo ripete in coro con i giovani innesti del suo partito: ovvero i fondi che arriveranno sono insufficienti e inadeguati rispetto ai miliardi tagliati ai comuni negli ultimi anni. Deve essere chiaro per l’assessore molto apprezzata dalla platea di Luigi de Magistris che a Napoli in questi anni è stato tolto ciò che avrebbe dovuto avere in termini di beni e servizi. I fondi, pochi che arriveranno, sono una piccola riparazione e potrebbero avere un costo altissimo qualora non riuscissimo a centrare i gli obiettivi stringenti che ci impone lo Stato. Insomma il capoluogo campano e’ orbata del campionario di assunti ed investimenti deittico del periodo aureo che ha contrassegnato la presidenza del famigerato Bassolino. E l’onta per i disservizi cittadini, i licenziamenti e le cesure verso la spesa urbana sono stati attribuiti ai sindaci che si sono avvicendati in seguito Bassolino.

Infatti, dalla relazione apprendiamo che ci impegneremo nei prossimi anni a garantire due aumenti dell’Irpef – in deroga essendo l’imposta già ai massimi previsti per legge -, una nuova tassa sul trasporto aeroportuale e il possibile aumento dei canoni di concessione e locazione.

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E’ stata inoltre focalizzata una enorme stortura procedurale: l’accordo che verrà firmato tra Sindaco e Governo estromette completamente il Consiglio comunale da ogni forma di decisione in merito a una disposizione che interesserà in maniera molto stringente la città per i prossimi 21 anni.

Il Consiglio di fatto è stato soltanto informato di quello che è stato deciso altrove. I politici napoletani vengono cosi’ plasmati sul ruolo di passacarte. Durante le due sedute monotematiche sul Patto per Napoli l’amministrazione si è limitata a informarci circa il destino a cui andrà incontro la città nei prossimi 21 anni.

Tuttavia quella del Consiglio comunale dovrebbe essere l’Aula delle decisioni, non certo l’Aula delle audizioni. In cio’ si deduce un parallelismo con il governo nazionale che vidima decisioni eterodirette, almeno in apparenza.

Abbiamo potuto ascoltare la relazione dell’assessore al Bilancio ma non abbiamo potuto nemmeno visionare il testo dell’accordo che il sindaco firmerà col presidente del Consiglio. Al momento il Patto per Napoli rimane ancora un mistero.

Il Consiglio non ha espresso nemmeno un giudizio formale sul testo che dovrà decretare il destino della città di Napoli per i prossimi anni.

Clemente tuttavia e’ riuscita a far approvare all’unanimita’ un emendamento proveniente dalla propria compagine politica:dopo settimane, grazie a un importante lavoro promosso assieme alle forze di coalizione, sono riusciti a portare e fare approvare dall’Aula del Consiglio comunale l’ordine del giorno che impegna l’amministrazione a richiedere formalmente lo stralcio dell’articolo 6 del Ddl Concorrenza. Un atto importante, un primo passo che va nella direzione di ribadire la volontà della politicaa cittadina di mantenere i servizi pubblici essenziali fuori dalle dinamiche del profitto a tutti i costi.

“Il pubblico deve garantire servizi efficienti, politiche aziendali sostenibili dal punto di vista economico e ambientale: è questa la battaglia che la politica locale deve intestarsi, senza abdicare a un’amministrazione virtuosa dei propri asset”. Intanto gia’ il servizio di multe a Napoli ha visto un subappalto verso un’ente privato esogeno che rende impossibile la contestazione ergo obbligo di pagamento. In una realta’ che vede il pagamento delle contravvenzioni a Napoli e della tassa sui rifiuti solo per il 30% della comunita’ cio’ si traduce in un aggravio di spesa sulla classe media.

Foto Velia Cammarano




Chitarrista milanese offende i napoletani: Pino Aprile gli scrive

RADIUS, CHITARRISTA MILANESE: ”I NAPOLETANI SONO LADRI”. E “I MILANESI RAZZISTI”?

di Pino Aprile
«Mio padre era un truffatore come me…Ci sappiamo arrangiare. Non alla napoletana, alla milanese. Quelli rubano, noi abbiamo soltanto voglia di fare. Io ce l’ho ancora».

Parole (a coda di gatto: se non è chiaro, basta cambiare animale e organo) di un tale, Alberto Radius chitarrista sconosciuto ai più, che per strappare un pizzico di luce (livida), ricorre al trucchetto da avvinazzati del bar Sport di Ponte di Legno (esiste?) o del circolo delle boccette della Lega: schizzi razzisti sui napoletani. Per capirci: se “i napoletani sono ladri”, “i milanesi sono razzisti”? Anche il papà di Radius lo era, vista la presentazione del figlio, che si vanta della (dis)educazione ricevuta? Quindi, secondo il Radius-pensiero (si fa per dire…):

Pino Daniele era (è) napoletano: un ladro?

Eduardo e tutti i De Filippo erano (sono) napoletani: ladri?

Il principe de Curtis, in arte Totò, era (è) napoletano: ladro?

I fratelli Bennato sono napoletani: ladri?

Devo continuare un elenco che sarebbe inutilmente lungo e che, se Radius non ha capito finora, non servirebbe a niente, mancandogli l’essenziale per una tale impresa?

Radius vanta di aver prodotto 350 dischi e di aver suonato con i più grandi del rock italiano. Un musicista che parla così dei napoletani non è un musicista, ma un juke-box, suona senza connettere anima e cervello: la musica è napoletana, non basta essere tecnicamente capaci di suonarla. «Se ci fosse una siringa intramuscolo con tutto il napoletano e costasse 200mila euro, me la farei per pensare e parlare come i napoletani», diceva Lucio Dalla (autore di “Caruso”, altro napoletano, radiusamente ladro?).

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Basterebbe questo per comprendere perché un Radius non potrà mai essere un angolo dell’ombra di una scarpa di un Dalla. In “Elogio dell’imbecille”, spiego perché tutti noi abbiamo un lato stupido e perché ognuno è un po’ coglione a modo suo. Ma qualcuno esagera!

Però, detto questo, mentre stai per affondare la lama, ti dici: a che serve farlo nel nulla? Tutto sommato, Radius ha avuto un battesimo ottuso che gli ha impedito di aprire la mente per dare spessore alle idee (è un modo di dire, non va preso alla lettera) e respiro all’anima. Questo gli avrebbe aperto gli occhi, per esempio sul fatto che, nonostante lui e purtroppo parecchi altri, i lombardi non sono razzisti e nemmeno ladri, pur se la Lombardia è la regione più corrotta del Paese occidentale più corrotto, il nostro, nelle classifiche di Transparency international (gli basterebbe contare quanti presidenti di Regione, assessori, sindaci, manager lombardi e campani sono finiti in galera; gli basterebbe andare su internet a vedere che gli scandali della Sanità della Lombardia sono i più numerosi e peggiori e di sempre, eccetera).

LINK: https://pinoaprile.me/radius-chitarrista-milanese-i-napoletani-sono-ladri-e-i-milanesi-razzisti/




Milano: chiude ospedale Fiera

Milano Fiera assiste ad una prima sconfitta economica e funzionale, con lo spreco di quella che si credeva fosse un’infrastruttura emblematica di prestigio, solerzia e servizi maggiori: Milano Fiera infatti ufficializza il fallimento dell’ospedale anti-Covid.

L’ospedale della Fiera in Milano presenta un costo calcolato per difetto, visto che ai 20,95 milioni spesi per le strutture (cifra ancora non definitiva), vanno sommati gli stipendi pagati a medici e infermieri (più alti del normale, considerati gli incentivi concessi per convincerli a lavorare lì) e i costi di farmaci e forniture. Calcoli che il presidente Attilio Fontana ha enfatizzato anche ieri – giorno di definitiva chiusura della struttura – dichiarando: “Realizzare questo ospedale è stata una scelta giusta, presa in un momento di grande difficoltà”. Questo in questione e’ di fatto un (non) ospedale, dalla funzione promozionale dal punto di vista politico e pubblicitaria sul piano internazionale. Infatti il presidente della regione Lombardia lo annunciò come la “risposta italiana a Wuhan”, la dimostrazione dell’efficienza lombarda ai cinesi che ci avevano portato il virus (quelli ai quali il Pirellone voleva fare causa).

I 650 letti erano infatti diventati 221, ma mai nelle varie ondate sono stati attivati tutti. La propaganda tuttaviq non si fermò: si lanciò la raccolta fondi che arrivò a oltre 40 milioni. Soldi in parte usati, in parte restituiti, in parte tutt’ora fermi sul conto del Pirellone. Più di un donatore si lamentò e chiese lumi sul loro utilizzo, a partire dall’avvocato Giuseppe la Scala. Furono accontentati solo in parte. Tutto ciò accadeva nonostante i medici e le associazioni di medicina di rianimazione dicessero che costruire una struttura di terapia intensiva senza un ospedale alle spalle, fosse una follia, sfidando il divieto di parlare imposto dall’allora assessore Gallera. Milano andò avanti comunque, prima invitando, poi precettando, infine blandendo con lauti guadagni i sanitari che avrebbero dovuto lavorare lì. Perché non ci voleva andare nessuno. I sanitari sapevano che sarebbe stato meglio rimanere nei loro ospedali per ammortizzare il gigantesco carico di lavoro dovuto al Covid, piuttosto che sguarnirli per andare in Fiera. Alla fine furono costretti a cedere. Anche quelli della sanità privata, “invitata” a partecipare all’operazione. Nella prima ondata l’astronave non servì, perché arrivò tardi. Nella seconda e terza aprì e succhiò personale da 17 strutture ospedaliere diverse. Pur di farla aprire, si chiusero gli ospedali piccoli, i medici furono mandati negli ospedali più grandi, che, a loro volta, dovettero dare personale alla Fiera: migliaia di persone si riversarono negli ospedali più grandi (lontani da casa, perché i loro ospedali erano stati chiusi), che collassarono. Molti pazienti vennero ricoverati a centinaia di chilometri di distanza e morirono da soli.

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Uno scandalo imputabile a quella sedicente laboriosita’ ed efficienza settentrionale che si inserisce nello scenario di chiusura di ultimi importanti ospedali al sud. E senza contare il fatto che su Napoli, sede del sontuoso Ospedale del Mare, il lavoro di sgravamento del famigerato Cardarelli principale nosocomio meridionale, non e’ in dirittura di arrivo. Perche’ personale e struttura della mastodontica nuova sede sanitaria in uno dei tratti piu’ popolosi d’Europa non sono ancora andate a regime; per cui liste di attesa e rallentamenti con corsie intasate in certe fasi, impazzano nel sud Italia.

L’operazione di Fontana per l’ospedale in fiera tuttavia, potrebbe annoverarsi in un ritorno in Italia della politica fattiva, se non fosse stata la chiusura preventiva di altri ospedali e quella ultima dello stesso stabile in Fiera ad aver concretizzato un’opera monca da una parte, ed un ospedale in meno dall’altra.




Recovery Fund: problema trasparenza

Gianfranco Viesti denuncia, dalle colonne del principale giornale del sud, il problema illeciti relativo il Recovery Fund con questo allarmante redazionale:
“I provvedimenti attuativi del Pnrr, per la loro dimensione economica e per la loro rilevanza strategica, dovrebbero essere emanati dopo profonda riflessione e se possibile dopo un confronto pubblico; e comunque nelle modalità più trasparenti. Questo vale per tutti i casi, ancor più per i finanziamenti per le attività di ricerca che, stando a quanto dichiarato recentemente dal Presidente Draghi a L’Aquila, saranno al centro della crescita in Italia.

Non sembra però quello che sta accadendo al ministero dell’Università e della Ricerca (Mur).

Sabato scorso la Senatrice a vita Elena Cattaneo paventava, con parole gravi, il rischio di una opaca spartizione di risorse in relazione al bando in arrivo relativo ai Partenariati estesi: una misura da 1,6 miliardi di euro. Stando alla Senatrice, profonda conoscitrice del sistema della ricerca e dell’università italiana, i suoi futuri contenuti sono già informalmente noti ai bene informati, e si sta sviluppando con un metodo semi-segreto una sistema di confronti e contatti fra i possibili beneficiari in base al quale si stanno formando le cordate candidate ad ottenere gli stanziamenti. Staremo a vedere cosa accadrà.

È stato invece pubblicato il bando relativo ai Progetti di Ricerca di Interesse nazionale (Prin): per 741.8 milioni, su una complessiva dotazione di 1,8 miliardi. Le vicende di questo bando destano simili, se non maggiori, preoccupazioni. Seguiamole con un po’ di attenzione ai dettagli, come nella trama di un film poliziesco.

Il Mur ha pubblicato il 25 gennaio un primo decreto direttoriale (n. 74) con le procedure per l’assegnazione delle risorse. Tuttavia il 31 gennaio tale decreto è stato eliminato dal sito del Mur e sostituito con il decreto n. 99; è naturalmente possibile che in questi documenti possa essere rivisto qualcosa, dato anche l’impegno a cui sono chiamati i Ministeri: spiace però che il Mur non abbia in alcun modo motivato ai cittadini utenti del sito (che sono quelli che poi ripagheranno con le proprie tasse i prestiti ricevuti dalla Ue per il Piano di Rilancio) il cambiamento delle proprie scelte. Il nuovo decreto direttoriale 99 prevedeva, fra l’altro, al suo articolo 4.1.B che il 40% delle risorse (296,7 milioni) fosse destinato ad una Linea di intervento Sud per progetti di ricerca fra ricercatori che operano nel Mezzogiorno, coerentemente con il generale indirizzo di allocare nel Mezzogiorno il 40% delle risorse dei bandi del Pnrr. Ma il 2 febbraio anche questo decreto è sparito dal sito, ed è stato sostituito dal n. 102: anche in questo caso senza alcuna spiegazione. Ritocchi marginali? Nient’affatto: il decreto 102 cambia radicalmente impostazione: sparisce la Linea di intervento Sud e le risorse destinate ai ricercatori del Mezzogiorno che, a totale inalterato, sono ridefinite in 218.1 milioni. Beffardamente il sito del Mur mette in evidenza proprio questo aspetto (218 milioni al Sud! come fosse una concessione), ma l’ignaro utente non può sapere che si tratta in realtà di un taglio di quasi 80 milioni. La Ministra Messa ha poi chiarito in Parlamento che ciò è dovuto al fatto che si e’ appurato (evidentemente solo al terzo decreto) che il 40% si applicherebbe solo a parte del totale: ma la sua spiegazione lascia molti dubbi in quanto poi tutte le risorse disponibili saranno rendicontate sul Pnrr. Cosa ancora più importante. nel decreto non sono specificati in alcun modo i criteri in base ai quali saranno assegnate queste risorse territorialmente indirizzate.

In mattinata di qualche giorno fa ennesimo colpo di scena: nel corso di un evento ufficiale di presentazione del bando alla comunita’ scientifica il Mur ha chiarito a scanso di equivoci con una presentazione scritta – che tale 40% rappresenta un target da raggiungere nel complesso degli stanziamenti del Pnrr e non rispetto al solo bando Prin 2022: in pratica, che non vi è alcun vincolo a destinare effettivamente quei 218 milioni ai ricercatori del Mezzogiorno. Una interpretazione che sembra in netto contrasto non solo con il testo del bando (se ne farà una quarta versione?). ma anche con quanto chiaramente stabilito dall’art. 2.6 bis della legge 108/2021 che così recita: in sede di definizione delle procedure di attuazione degli interventi del Pnrr, almeno il 40 per cento delle risorse allocabili territorialmente, anche attraverso bandi, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, sia destinato alle regioni del Mezzogiorno. Certamente materia da Tar.

Fin qui i fatti. Da cui scaturiscono tante perplessità e preoccupazioni. Si tratta di stanziamenti colossali, che plasmeranno a lungo università e ricerca nel nostro paese e nelle sue diverse aree. Possibile che decisioni così rilevanti siano prese con queste modalità, e che la Presidenza del Consiglio e la Cabina di Regia cui spettano compiti di generale supervisione non intervengano?




Dispetti ai rugbisti e Pino Aprile infiamma Taranto

GLI BRUCIANO LA SEDE, MA NON SI ARRENDONO: IL GUARDIAN ELOGIA I RUGBISTI DI LIBRINO.

(da siciliafan.it)
Il Guardian fa tappa in Sicilia per raccontare la storia del team di rugby dei Briganti: i giocatori dilettanti di Librino, quartiere di Catania, non si sono piegati alle intimidazioni.

«I giocatori dilettanti di Librino devono sorvegliare ogni notte il loro nuovo campo e le loro strutture, ma vale la pena tenere i bambini fuori dalle grinfie di Cosa Nostra». Esordisce così l’articolo della celebre testata britannica, che fa tappa a Catania, in uno dei suoi quartieri più storici.

Da quando la criminalità organizzata ha dato fuoco al circolo sportivo e all’autobus dei Briganti Librino RUFC, il capitano Gloria Mertoli e gli altri membri del team si alternano per rimanere dopo gli allenamenti serali e sorvegliare l’aria durante la notte.

“Da quando il circolo ha iniziato a lavorare per portare i bambini – facili bersagli del reclutamento mafioso – fuori dalle strade di Librino, i clan hanno cercato di metterlo fuori mercato”. – spiega il Guardian. La storia dei Briganti di Catania ha fatto notizia in tutto il mondo, ricevendo tantissima solidarietà, anche dall’allenatore della nazionale inglese di rugby, Eddie Jones, e dall’ex capitano dell’Inghilterra Bill Beaumont.

L’anno scorso, la squadra amatoriale di rugby di Bolton, con un patrimonio di 150 anni, ha stretto una partnership con la squadra siciliana. Il presidente del Bolton, Mark Brockelhurst, ha detto: «Per la gente di Librino, il rugby offre un’alternativa a una potenziale vita criminale per le strade».

La Briganti è composta da diverse squadre giovanili e senior, oltre a squadre femminili di più fasce d’età: è stata fondata a Librino nel 2006, con l’obiettivo di fare di più che semplicemente giocare a rugby. «Abbiamo costruito un circolo sportivo con una piccola biblioteca, una caffetteria e una cucina», dice Piero Mancuso.

Alla mezzanotte dell’11 gennaio 2018, però, è scoppiato un incendio nella club house dei Briganti. Libri, palloni, caffè, computer, maglie e trofei: tutto è andato perduto. «Almeno 10 anni di ricordi sono andati in fumo», dice Mancuso. «È stato devastante».

La club house è stata ricostruita in pochi mesi, grazie a donazioni private. Purtroppo ci sono stati furti dell’attrezzatura e incursioni. Nel marzo del 2021 l’autobus della squadra è stato dato alle fiamme.

«Per tutta la vita ho sentito persone parlare di mafia, ma quando ce l’hai in faccia è tutta un’altra storia», racconta Mertoli, 22 anni, capitano della squadra di rugby femminile. «Quando hanno dato alle fiamme il nostro autobus, è stato come se avessero dato fuoco a casa mia. Ti trovi in ​​una situazione difficile perché non sai come gestirla». Da quel giorno ci si alterna di notte per vegliare sugli spogliatoi, sul nuovo circolo sportivo e sulla biblioteca.

«Siamo lì tutta la notte», aggiunge Mertoli. «Ordiniamo da mangiare e passiamo il tempo giocando a Risiko o Monopoly. Se sentiamo un rumore, prendiamo le nostre mazze».

La vita, come il rugby, è un gioco di resilienza, e tutto può cambiare l’esito della partita, fino all’ultimo. Grazie al sostegno e alle donazioni internazionali, i Briganti sono riusciti a battezzare il loro nuovo campo da rugby, inaugurato ufficialmente venerdì scorso, racconta il Guardian. «Siamo risorti dalle ceneri del fuoco che queste persone hanno appiccato», conclude Mancuso.

COME SI UCCIDE UNA CITTÀ, TARANTO: “IL CIELO OLTRE LE POLVERI”, e’ un manoscritto di Valentina Petrini che infiamma Pino Aprile autore del testo sottostante:

“Il cielo oltre le polveri”, di Valentina Petrini è un gran libro, scritto con competenza e passione civile: ricchissimo di dati, di citazioni e analisi di documenti che hanno richiesto ricerca e studio (per nulla facile, quasi sempre, essendo necessarie conoscenze non superficiali, dalla chimica alla medicina, alla giudiziaria, per non incorrere in errori di valutazione), come capita ai giornalisti che devono occuparsi di argomenti ostici.
Ma Valentina Petrini, che ha lavorato per trasmissioni televisive d’inchiesta, come Piazzapulita, ha condotto Nemo – Nessuno escluso, ideato e condotto Fake – La fabbrica delle notizie, si occupa di Taranto e della strage di tarantini per l’inquinamento industriale da parte dello stabilimento siderurgico (il più vasto d’Europa, grande due volte la città), perché lei è di Taranto, del rione Tamburi poi trasferita al quartiere Paolo VI: i due centri, con la frazione di Statte, più colpiti dai veleni dell’acciaieria: sui tarantini e nelle loro carni si è versato quasi il dieci per cento della diossina dell’intero continente europeo, sino a oltre il 90 per cento della diossina emessa da tutte le industrie italiane messe insieme. Valentina narra la strage a norma di legge (cangiante di volta in volta, per aggirarle le leggi, se i magistrati le fanno rispettare) dando voce ai parenti delle vittime (alcuni non avevano mai voluto rispondere ai giornalisti), dai genitori del piccolo Lorenzo Zaratta, a cui, a soli tre mesi di vita, viene diagnosticato un terribile tumore al cervello (una serie infinita di interventi chirurgici, sino alla morte), alla vedova di Alessandro Morricella, l’operaio “colatore” che viene investito da una bocca d’ispezione dell’altoforno (che doveva essere spento, per sentenza del giudice, ma tenuto in attività, con un ricorso alla Corte Costituzionale), da un getto rovente di ghisa e gas a 1.600 gradi: l’elmo protettore gli si fonderà sulla testa, del corpo non si salverà nulla, meno del 10 per cento non sarà ustionato, sino alle ossa, in alcune parti.

Eppure, il giovane Alessandro, padre di due bimbe, sportivo, aspirante allenatore di calcetto a cinque, ci mise giorni a morire. Una perizia calcolerà in almeno 386 i morti da inquinamento; mentre il numero degli operai “vittime del lavoro”, non si saprà mai, perché per troppi anni non furono nemmeno contati,
Chiunque abbia un minimo di coscienza non può leggere senza che il sangue acceleri nelle vene, questo libro sul martirio di una città e una popolazione, costretta a scegliere fra la vita e il lavoro, o addirittura a decidere di rinunciare alla prima per il secondo; e apprendere che a Taranto, pure quando la proprietà dello stabilimento era statale (e figurarsi quando è stata di privati, la famiglia Riva e ArcelorMittal), si è risparmiato a spese della vita dei tarantini. I numeri sono impressionanti, da far invocare una sorta di Norimberga jonica, che pure, nella riduzione giudiziaria ai minimi termini di immani tragedie, si è messa in piedi, grazie al coraggio di magistrati di grande statura morale e coraggio, quale Patrizia Todisco (nel libro, brava Valentina!, c’è la sua unica intervista in tutti questi anni). Perché dico “riduzione giudiziaria ai minimi termini”? Perché nei tribunali si entra per cercare la giustizia e si trova solo la legge, che è sempre quella del più forte. E quando dei magistrati, pur con quelle leggi, alzano il tiro, il potere politico ed economico interviene per disinnescare sentenze, cambiare le norme, aggirare condanne, appellarsi al cavillo che toglie ogni speranza di giustizia.
Così, sotto accusa vedi il capoturno, il responsabile del reparto, il manager…, al punto che quasi ti sembra ingiusto che tragedie di tale portata debbano esaurirsi nella responsabilità di esecutori che fanno da scudo ad altri che non vedremo mai sul banco degli imputati (non può certo ridursi, la giustizia, alla condanna dei Riva, che hanno anche perso l’azienda).
Eppure, Valentina lo racconta, Taranto ha lottato: le maggiori manifestazioni popolari di sempre (20 mila persone in corteo) sono state fatte per chiedere giustizia. La città si è divisa, fra chi, per paura di perdere il lavoro, ha accettato di poter perdere la vita e chi non ha accettato di scegliere fra l’uno e l’altra. Questo, in una città che dipende dallo stabilimento, ha diviso le famiglie. E Valentina Petrini riferisce della sua, della differente lettura del padre, militante della sinistra storica, il fratello operaio, lei giornalista d’inchiesta; con il ripudio, da parte di tanti operai, dei sindacati che sono stati complici, troppo spesso, di quei poteri che ai diritti costituzionali dei tarantini, hanno anteposto gli interessi della produzione.
Il libro “non finisce”, nel senso che le vicende sono ancora in corso, ma nessuno potrà dire che non sapeva cosa si è fatto a Taranto, contro Taranto, contro i tarantini (per tutelare la salute e la vita dei genovesi, si sopprime il reparto di lavorazione a caldo dell’acciaio, perché altamente inquinante, e la si aggiunge a quello di Taranto, dove vivono italiani per i quali non è prevista pari tutela). È un atto di accusa e di dolore, quello di Valentina Petrini. E par di capire che gli assassini resteranno impuniti, in questo strano giallo in cui i nomi dei colpevoli sono noti dall’inizio, mentre vengono condannati i maggiordomi e l’unica sentenza a cui i veri responsabili non sfuggiranno sarà quella della storia: postuma, alla memoria, inutile, per morte del reo.

LINK: https://www.siciliafan.it/guardian-elogia-squadra-siciliana-di-rugby-briganti-librino/?refresh_ce




Ndrangheta: imputato fa tremare tutti

UN IMPUTATO PER CONCORSO ESTERNO CON LA ‘NDRAGHETA SMUOVE LE ELITE PIU’ CHE QUALUNQUE ALTRA BATTAGLIA DI CIVILTA’

E’ molto curioso notare che a fronte di mille battaglie di civiltà che si potrebbero portare avanti in Italia come quelle sulle disuguaglianze Nord/Sud – tanto per fare un esempio – un gran numero di politici, giornalisti, avvocati ed ex ministri si siano tutti convintamente uniti in queste settimane per sottoscrivere l’appello per la scarcerazione dell’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli, imputato per concorso esterno con la ‘ndrangheta nel maxi processo “Rinascita-Scott”, istruito dal procuratore Nicola Gratteri e dal pool della Dda di Catanzaro.

Addirittura esiste anche un comitato promotore presieduto dall’ex penalista Enrico Seta, che è riuscito a raccogliere già 1500 firme a difesa dell’ex senatore calabrese accusato di avere rapporti con la cosca Mancuso. Ottenuti i domiciliari, Pittelli è tornato in carcere a dicembre perché, per il Tribunale di Vibo Valentia, ha violato le prescrizioni imposte inviando una lettera a Mara Carfagna per chiederle aiuto.

Tra i firmatari ci sono tanti nomi noti come il giornalista Piero Sansonetti e Vittorio Sgarbi, il condannato Totò Cuffaro a Francesco Storace passando per gli ex ministri Maurizio Lupi (Noi con l’Italia) e Valeria Fedeli (Pd). E poi molti parlamentari in carica, praticamente di ogni partito.

Per tutti la carcerazione di Pittelli, oggi in sciopero della fame, “appare ingiustificabile e soprattutto non coerente con alcuni dei principi cardine dello Stato di diritto e della Costituzione”.

Non entriamo nel merito dell’accusa per cui è stato condannato Pittelli. Per questo ci sono le aule dei tribunali. Ma vorremmo rilevare come politici e intellettuali – di ogni partito e di ogni corrente – siano così uniti e determinati nel chiedere la scarcerazione di un imputato di ‘pregio’ per concorso esterno in associazione mafiosa, e del tutto assenti invece nell’iniziativa di ben altre battaglie di civiltà di cui questo Paese avrebbe un gran bisogno.

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A prescindere dalle responsabilita’ individuali o collettive, la realta’ della malavita organizzata e’ insita in Italia, America, Cina, Russia e Giappone da renderla fenomeno endemico ed irreversibile. Giacche’ inoltre la criminalita’ organizzata figura un indispensabile vettore economico per l’Italia, smantellarla piu’ che impossibile nemmeno conviene. Infatti gia’ oggi la criminalita’ organizzata indirizza cospicui investimenti nelle principali borse finanziarie europee, garantisce una certa sicurezza, l’approvviggionamento degli psicotropi, la presenza della prostituzione e la manodopera a basso costo; inoltre la criminalita’ organizzata e’ artefice per l’investimento nell’economia reale da anni a corto di capitali liquidi per cui estrometterla appare oggi utopistico. Detto cio’ e’ d’uopo combattere e debellare la criminalita’ organizzata tuttavia bisogna tener presente, come afferma un noto distributore partenopeo nel settore tessile, che con gli investimenti mafiosi si sono costruite aziende del calibro di Versace, Dolce & Gabbana, pare anche in parte Mediaset per cui smantellare l’apparato altocriminale per vederne dirottati gli investimenti all’estero, e’ controproducente, esiziale, per l’intero sistema economico italiano. Forse attuando pedissequamente i principi costituzionali che richiedono il giusto salario per scongiurare la ricattabilita’, il sussidio pubblico per le imprese a lavorare nelle migliori condizioni; infine concretizzando il mantra costituzionale che inibisce la speculazione finanziaria, potrebbe attuarsi lo sgretolamento ineluttabile della criminalita’ organizzata.




Salerno e Napoli: arrestati giudice, avvocato ed imprenditori

Da Napoli sono partite le indagini culminate in una cinquina di arresti ma con obbligo di residenza, che hanno coinvolto tre imprenditori, un pubblico ministero e la fidanzata avvocato, tra Napoli e Salerno, con l’accusa di corruzione e rivelazioni di segreto d’ufficio. Nella fattispecie stazionava un consorzio di imprenditori che operava in accordo con il giudice e l’avvocato in questione, per eludere i provvedimenti del Ros nell’ambito dei propri investimenti. Cosi’ in questo traffico di informazioni, incarichi promessi e prebende, si stava creando un vero sodalizio tra un gruppo di imprenditori campani, dipendenti delle procure di Salerno e Napoli, teleologico alla concretizzazione di lavori ben remunerati e la conoscenza anticipata delle mosse dei carabinieri nei loro confronti.

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In questo periodo in cui al meridione latitano i soldi pubblici per infrastrutture e lavori, sempre piu’ imprenditori assoggettati dalla crisi incipiente devono declinarsi in consorzi e far perno su una rete piu’ estesa possibile di clienti e conoscenze anche grame, che diano loro adito di vincere commesse ed assicurarsi lavori ed emolumenti. Vista la situazione giuridica in grado di bloccare e far fallire sempre piu’ imprese a causa di denunce incrociate anche da parte di concorrenti scalzati nelle gare di appalto, per gli imprenditori locali diventa sempre piu’ difficile operare in tranquillita’. Gli stanziamenti nazionali ed europei per i lavori effettuati o da eseguire sono dilazionati al massimo e risulta illegale scambiarsi i crediti fiscali per cui il panorama degli imprenditori e’ sempre piu’ a corto di capitali e di tempo. Infatti i procedimenti burocratici ineludibili da compilare per ogni gara, fondo, lavoro e pagamento, rappresentano una perdita di tempo immane per le imprese, che sottrae mera produttivita’. Inoltre i costi per lavorare a norma sono elevatissimi tra tasse, assicurazioni ed apparecchi per la sicurezza, che molti imprenditori stazionano in una permanente precarieta’.

Cio’ non vuol dire che tutti gli imprenditori siano onesti ed esenti da colpe ma gia’ la presenza ramificata della criminalita’ organizzata negli appalti come antagonisti o solo nel richiedere il pizzo, rende molto infausta la realta’ lavorativa delle imprese. Infine le procedure arcane e sibilline per l’affidamento dei lavori sovente dipendono da preferenze politiche e questioni di amicizia per cui e’ molto difficoltoso sceverare responsabilita’ soggettive ed oggettive nel mondo italiano degli affari.