Sud trafitto dai fratelli settentrionali

SUD, SCONFITTO DUE A ZERO DA UN NORD AVVERSO

di Marco Esposito e Francesco Paolo Tondo
Se fosse una partita di calcio, il risultato sarebbe 2-0 per la squadra con i colori del Nord. Ma non è un gioco, è il futuro dell’Italia delle Regioni in un sistema di autonomia differenziata e quindi di servizi per i cittadini che rischiano di differenziarsi più di quanto non siano già, servizi tra i quali spicca quello degli asili nido, citato nel discorso programmatico di Giuseppe Conte del 9 settembre 2019: «Il primo, immediato intervento sarà sugli asili nido. Non possiamo indugiare oltre. Questo Governo, quale prima misura di intervento a favore delle famiglie con redditi bassi e medi, si adopererà, con le Regioni, per azzerare totalmente le rette per la frequenza di asili-nido e micro-nidi a partire dall’anno scolastico 2020-21 e per ampliare, contestualmente, l’offerta dei posti disponibili, soprattutto nel Mezzogiorno». Belle parole, tradite dai fatti.

Ma andiamo per ordine, partendo dall’autonomia. Il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia è stato a lungo ascoltato con sufficienza dai protagonisti della spinta autonomista del Nord: il veneto Luca Zaia e il lombardo Attilio Fontana. Ieri però, dopo la presentazione della bozza di legge-quadro, è arrivato se non un applauso un sostanziale via libera. «C’è una condivisione di fondo», dice Fontana, che pure parla di «dettagli da migliorare». Mentre Zaia già sfoglia il calendario: «Se la legge quadro passa, come vogliamo noi, andrà in finanziaria dopodiché da quello che dice il ministro, saremo pronti per firmare per un’intesa a gennaio». Ai cronisti che gli chiedevano quali siano i punti ancora critici, Zaia ha risposto in veneto: «I schei».
Questione di soldi, certo. La legge quadro di Boccia consente la partenza dell’autonomia differenziata – con la consegna alle Regioni che lo richiedono di funzioni e risorse – anche prima che siano definiti i Livelli essenziali delle prestazioni. Inoltre la formula prevista per la legge quadro – informativa di Boccia in Consiglio dei ministri lunedì, poi confronto di maggioranza mercoledì, quindi cammino parallelo alla legge di bilancio – lascia pochi spazi agli interventi del Parlamento, tema sottolineato ieri sia dai Cinquestelle sia da Italia Viva.

AL SUD NEGATO IL 34%
Questione di schei, dice Zaia. E ha ragione. Perché ogni volta che c’è da discutere di soldi si crea un fronte trasversale dei territori ricchi cui si contrappone un Mezzogiorno incredibilmente fragile e quindi perdente. L’ultimo esempio riguarda proprio gli asili nido, sui quali lo stesso premier dovrebbe mantenere più attenzione. Nel 2020 ci saranno ben 520 milioni per garantire e anzi anticipare la prima parte dell’impegno di Conte: i nidi gratis. È ovvio e inevitabile che il bonus andrà dove c’è già il servizio e quindi il Sud si dovrà accontentare su quella voce di poco più di 90 milioni. Ma c’è anche l’altro impegno – ampliare l’offerta soprattutto nel Mezzogiorno – con 249 milioni a disposizione. Per cui il totale spendibile nel 2020 fa 769. Il Mattino il 15 novembre ha denunciato, sulla base della proposta del Miur, che di quei 249 milioni al Sud ne sarebbero andati appena 92 portando il totale per le otto regioni meridionali a 184 milioni cioè al 24%. Per il governo aveva risposto con un video su Facebook il viceministro dell’Economia Laura Castelli, accusando il giornale di aver scritto una fake news. Ebbene: oggi possiamo scrivere che la situazione è ancora peggiorata perché le Regioni, sotto la guida dell’assessore della Toscana Cristina Grieco, hanno tagliato al Sud altri 4 milioni, così che la quota è ormai del 23%, lontanissima dal 34% che spetterebbe in base alla popolazione (e ai bambini).
La Grieco sostiene che 209 di quei 249 milioni siano bloccati in base al riparto del 2017, il che è falso rispetto alla documentazione, visto che il decreto 1012/2017 (che favoriva chi aveva già i nidi) non solo era in contrasto rispetto alle finalità della legge ma aveva valore solo su quella annualità. Inoltre una parte dei 40 milioni aggiuntivi è tornata alle Regioni già dotate di servizi. La Grieco spiega che se si fossero uniti i due fondi (520 e 249 milioni) le cose sarebbero andate meglio. Ha ragione, ma nulla impediva di tenere conto lo stesso degli effetti cumulati.

Ma com’è possibile che il Sud abbia ceduto anche quest’anno? Per l’assoluta incapacità di fare squadra. La Campania, va detto, stavolta ha condotto fino in fondo la sua battaglia con l’assessore Lucia Fortini. Ma è rimasta isolata né ha saputo coinvolgere le altre Regioni. Nelle riunioni tecniche del 25 novembre, che si sono tenute alle ore 10 e alle 12 presso il ministero degli Affari regionali, in base a ricostruzioni attendibili la maggioranza delle Regioni meridionali era assente o silente. La Sicilia si è collegata solo in audio per un minuto con una dichiarazione di circostanza. La Puglia era contraria alla proposta della Toscana, che ha il ruolo di coordinamento in materia ma non ha detto nulla. La Campania ha chiesto di rivedere integralmente i criteri e si è trovata isolata. Le testimonianze raccolte confermano la difficoltà a coordinarsi. Persino a riconoscersi. «Ero d’accordo con il collega della Campania, di cui non so il nome, era uno giovane con gli occhiali – dice Cristina Summa, la funzionaria inviata dalla Puglia – ma non avevo il mandato politico per andare contro la posizione della Toscana». Il giovane con gli occhiali è Carmine De Blasio: «Non ho visto se c’era qualcuno della Puglia. Può darsi. Se c’era non ha detto nulla. Ero solo contro tutti».

Il risultato è che il Veneto, con 35mila bambini al di sotto dei 3 anni in meno rispetto alla Campania, l’anno prossimo tra bonus nidi e fondi per costruire altri asili riceverà 66 milioni contro 44 dei campani. Di schei. A meno che all’ultimo incontro utile, la Conferenza dei presidenti in calendario a metà dicembre, Vincenzo De Luca in nome di 154.566 bambini non riesca trovare alleati e ribaltare il tavolo, per far capire che i tempi del Sud silente o consenziente sono finiti. Ma la mancanza di quattrini da inviare celermente al meridione riguardo asili da pagare, edilizia scolastica, popolare, sostegno liquido ad imprese e liberi professionisti latinano per mancanza effettiva; alla stessa stregua di ingenti risorse per dare adito al Veneto ed alla Lombardia di rintuzzare gli attacchi forestieri tesi alla limitazione ed acquisizione dell’intero comparto industriale del Nord, unico argine al predominio crucco-francese. Pertanto si vocifera internamente la fondazione Burterfly di Guido Grossi, di introduzione di moneta parallela gia’ attuata con il Burter, teleologica allo sgravio debitorio verso la macchina statale. Binariamente sempre maggiori economisti atipici come il professor Malvezzi e Alberto Micalizzi caldeggiano per una internalizzazione di Banca d’Italia con una reimmissione di lira isovaloriale all’euro: in tal guisa unire in modo effettivo l’Italia, sottoforma di ausilio immediato al nord ed al sud con una dovizia di moneta liquida, sarebbe fattibile; offrendo titoli pubblici garantiti con buono interesse ai soli correntisti italiani-i piu’ pingui d’Europa-consentirebbe di pagare immantinente il debito pubblico ed avere mano libera negli investimenti e nel buon guadagno collettivo. Cio’ eliderebbe in prospettiva, la mafia, e la statalizzazione di Banca d’Italia, che puo’ cancellare ogni debito italiano ed emettere soldi illimitati, viene definita la peggior colpa di Craxi, propedeutica al suo esilio previa pubblica crocifissione.




Conte getta la maschera

ALLA FINE ANCHE GIUSEPPE CONTE SFODERA LA TEORIA DELLA LOCOMOTIVA DEL NORD ACCOLTELLANDO ALLE SPALLE IL FUTURO DEL SUD E DELL’ITALIA

di Massimo Mastruzzo*
Bankitalia nel suo ultimo rapporto conferma che l’Italia per crescere deve ridurre il divario tra nord e sud; Unione europea, Svimez, Eurispes, avevano già sottolineato l’imprescindibilità di dover ridurre la disomogeneità territoriale come prerogativa per la crescita nazionale.
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Giuseppe Conte, con buona pace, degli indicatori economici e soprattutto di quella percentuale di voti raccolti nel marzo 2018, grazie, a quanto pare, agli ingenui elettori meridionali, che ha permesso al M5S di diventare, inconcludentemente, la prima forza politica del paese, dichiara: “siamo stati schiacciati dall’immagine di una forza politica prevalentemente concentrata a recuperare il divario che il meridione soffre rispetto all’Italia. Se queste sono le letture predominanti vuol dire che il M5s ha commesso degli errori. Con il nuovo corso porremo rimedio”
E sti cazzi, sarebbe la spontanea risposta non politically correct più opportuna.

Il meccanismo descritto da Conte, che riprende l’abusato refrain della “locomotiva del Paese deve ripartire più forte di prima trainando così tutto il paese e rendendo possibile lo sviluppo del Sud” purtroppo non corrisponde affatto alla realtà, semplicemente perché se il Nord riparte (cosa che fortunatamente ha già fatto e rifatto) non traina, ed è evidente dallo stato dei fatti, tutto il Paese e ancor di più non determina certamente lo sviluppo del Sud. Tuttalpiù è molto probabile che la forbice della disomogeneità economia tra il nord e il sud si allarghi ulteriormente.

Il neo presidente del M5S ha dimenticato troppo in fretta che dei 210 Mld€ del Recovery Plan destinati all’Italia, 140 sono maturati proprio per quei criteri di ripartizione che hanno visto il sud Italia primeggiare tra gli altri stati membri per le condizioni di ritardo di sviluppo economico, con l’obiettivo dichiarato, proprio dai regolamenti UE, di ripianare il divario rilanciando l’economia del Sud.

Nel libro ” L’economia reale del Mezzogiorno ” gli economisti Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis, smontano l’idea autolesionista che l’Italia possa fare ancora a meno del sud. I due economisti sostengono incece che se l’Italia scommettesse sullo sviluppo industriale del sud nel giro di pochi anni diventerebbe economicamente più forte della Francia e della Germania, arrivando addirittura ad essere il primo in Europa con il sud sviluppato ai livelli di alcune aree del nord. Sostanzialmente far crescere il sud sarebbe un affare per l’Italia intera.

Che Milano e il Nord crescano è ovviamente auspicabile, ci mancherebbe. Ritenere però che la sua crescita sia in grado di trainare l’intero paese e ancor più di fare sviluppare il Sud, è di una banalità comunicativa sconcertante, primo perché questo concetto è già stato svenduto da tutte le realtà politiche fin dal dopoguerra, secondo perché un qualsiasi economista riesce facilmente a sostenere la banale tesi che è la crescita delle aree deboli la vera locomotiva in una economia integrata: l’economia tedesca va molto meglio se Italia e Spagna ripartono.

Il sud ha conferito al M5S il 33% delle preferenze, quel 33% di cittadini italiani si aspettavano invano che il beneficiario della loro fiducia, si spendesse quotidianamente per far rispettare quantomeno l’articolo 3 della Costituzione italiana, per tutta risposta, invece delle scuse per quanto ancora non fatto, devono assistere al mea culpa del M5S nei confronti dei loro connazionali “più fortunati”. Il futuro ci dirà se questa nuovo posizionamento nella strategia comunicativa del M5S sarà vincente, il presente ci sta già mostrando chi ha perso: il primo assegno europeo del Recovery, solo per fare un esempio, (missione 3, infrastrutture) vede assegnati 930 milioni per la tratta Liguria-Alpi; 493 per la Brescia-Verona-Padova; 110 milioni per la Napoli-Bari; 47 milioni per la Palermo-Catania; 20 per la Salerno-Reggio Calabria.

Come M24A-ET, Movimento per l’Equità Territoriale chiediamo :

• Avvio immediato delle opere pubbliche infrastrutturali necessarie ad iniziare il percorso di maggior coesione sociale già indicato UE dalla. Nulla di più, nulla di meno di quanto già previsto dall’articolo 3 della Costituzione;

• Visto che la disomogeneità territoriale presente in Italia è talmente ampia da non avere eguali nella UE, ed in virtù di questa la Commissione europea ha destinato proprio all’Italia la somma maggiore del Recovery Fund, l’avvio delle opere pubbliche, oltre agli investimenti ordinari, dovrà prevedere la definizione di un Fondo – Fondo per il Riequilibrio – destinato alla riduzione del GAP infrastrutturale fino al raggiungimento dell’equilibrio nazionale: Per ogni opera pubblica realizzata in Italia una quota pari ad una percentuale del suo costo di realizzazione e dei ricavi provenienti dal suo utilizzo deve essere destinata al Fondo per il Riequilibrio.

*Direttivo nazionale M24A-ET
Movimento per l’Equità Territoriale




Scandalo industriali-lavoratori

LA FARSA DEGLI IMPRENDITORI CHE “NON TROVANO LAVORATORI”: PAGATE E LI TROVERETE. Recita il Quotidiano del sud diretto da Pino Aprile.

Ormai è letteratura di genere: periodicamente, come d’incanto, giornali e tv tirano fuori interviste a imprenditori volenterosi che vorrebbero dare lavoro ma non trovano personale. Se poi si mescola “i giovani d’oggi” col reddito di cittadinanza c’è il delitto perfetto. Vincenzo De Luca ne è un esempio, tra i tanti: “Se mi dai 700 euro al mese (…) non ho interesse ad alzami alle sei e ad andare a lavorare”.

Dunque, da qualche settimana, assistiamo al solito allarme lanciato dagli imprenditori che si occupano di turismo, ai quali fa spesso da megafono la voce della politica: non ci sarebbero lavoratori stagionali da assumere.

Le associazioni datoriali lamentano con forza l’assenza di cuochi, camerieri, baristi e bagnini. Emblematici sono i casi della Toscana, del Trentino e della riviera romagnola, dove mancherebbero all’appello migliaia di lavoratori, dai 5000 ai 7000 addetti, e per questa ragione le strutture ricettive farebbero fatica a ripartire.

Il risultato di questo tam tam è che molti potrebbero cominciare a credere che il turismo, settore strategico del nostro paese, dopo la catastrofe economica delle chiusure stia provando a risollevarsi ma tutto sia bloccato dalla carenza di lavoratori.
Sembra paradossale, ma nonostante più di tre milioni di disoccupati, e nonostante le centinaia di migliaia di posti di lavoro persi lo scorso anno (specialmente nel comparto turistico), non ci sarebbero lavoratori.

Conclusione? I giovani non vogliono lavorare, colpa del reddito di cittadinanza, colpa dei lavoratori. Poveri imprenditori!

Smontiamo questa narrazione, senza farla nemmeno troppo complicata. Partiamo dalla semplicissima lettura dei numeri sul reddito di cittadinanza.

• I beneficiari sono 700.000 e tra questi gli under 25 beneficiari sono solo 26.000, mentre fra 45 e 66 c’è ne sono 516.000. 458mila percettori sul totale sono donne, che conferma la realtà da tutti conosciuta, cioè che due volte su tre la disoccupazione colpisce le donne. Il dato viene direttamente da quei bolscevichi de il Sole 24 ore cioè proprio il giornale di riferimento dell’imprenditoria.

• Passiamo a un altro giornale gestito da pasdaran del popolo, ovvero la nuova Repubblica in quota Gedi, che raccontando la carenza del personale nel settore turistico, finisce per intervistare il preside dell’Istituto Alberghiero Vespucci di Roma, che sintetizza perfettamente la questione: “Ci chiedono giovani formati, noi li segnaliamo e loro offrono 300€ al mese. I giovani se ne vanno all’estero e le imprese danno la colpa al reddito di cittadinanza.”

PERCHÉ GLI IMPRENDITORI NON SI RIVOLGONO AI CENTRI PER L’IMPIEGO?
Sembrerebbe una domanda retorica, eppure è la base dalla quale partire. Se un datore di lavoro cerca personale può recarsi a un centro per l’impiego e comunicare che ha bisogno di un certo numero persone, per svolgere alcune mansioni.

Gli operatori del centro per l’impiego (e i Navigator), successivamente alla richiesta, attraverso le liste di disoccupazione, che pare siano piuttosto corpose in Italia, e quelle dei percettori di RDC, in base alle competenze professionali richieste, stilano un elenco di candidati da indirizzare al richiedente.

Le obiezioni le conosciamo: il malfunzionamento dei centri per l’impiego, i tempi di risposta incerti, la possibilità che i candidati rifiutino la proposta di lavoro.

Anche qui entriamo in una dinamica di connessione tra le varie entità che dovrebbero collaborare, al netto delle efficienze o inefficienze, che sono comunque su base locale e non globale (ovvero ci sono centri che funzionano benissimo ed altri in cui non si muove una foglia). Se gli imprenditori non si rivolgono ai centri per l’impiego ma preferiscono le agenzie interinali o la ricerca diretta (e su questo ci torneremo a breve), i centri finiscono per essere semplicemente un anagrafe della disoccupazione, censiscono numeri.

D’altro canto, se l’eventuale candidato rifiuta il posto di lavoro proposto, oltre le modalità previste dalla legge, perde l’indennità di disoccupazione o l’RDC. E se il singolo centro per l’impiego non ha abbastanza disoccupati in lista nel suo territorio, può allargare la ricerca ad altri centri.

Torniamo quindi alla questione iniziale: perché gli imprenditori non si rivolgono ai centri per l’impiego? Perché se lo facessero regolarmente, dovrebbero dichiarare orari, CCNL di riferimento e caratteristiche del rapporto di lavoro.

Sapete cosa significa, no? Che l’imprenditore dovrebbe autodenunciarsi a proposito di quei ragazzi che vedete, per esempio, d’estate, lavorare come camerieri nelle buvette sulla spiaggia di qualche stabilimento, con quei nomi familiari tipo “Da Armandino”, “Da Peppino” “Lo scoglio” “Le ancore”, con turni che vanno praticamente dalle 10 del mattino a oltre la mezzanotte, con una breve pausa pomeridiana.

Dicono che è una questione di mercato il costo del lavoro. Se la logica è questa varrà anche per chi lavora la facoltà di accettare o meno impieghi da 4 euro l’ora, sei giorni a settimana, per 10 ore al giorno. O stiamo teorizzando lo schiavismo?

Dopo anni di austerità e disoccupazione, attacco ai sindacati e diffusione del precariato, con conseguenze evidenti e peggiorative sui salari, ora si scarica sui lavoratori la colpa di preferire le briciole del del reddito di cittadinanza ( parliamo di cifre ridicole ma importanti per chi le riceve), invece di accettare di essere sfruttati.

E invece siamo costretti ad assistere al pianto rituale, alimentato da media e politica, di chi non è disposto a pagare salari dignitosi, ma si lamenta dei lavoratori che vogliono invece tutelare la propria dignità.

LINK: …https://www.kulturjam.it/politica-e-attualita/imprenditori-non-trovano-lavoratori/




Infrastrutture e sviluppo italo-meridionali

Chiedo venia se da molto tempo mi incaponisco sul management all’interno dei miei canali social, tuttavia il management è troppo importante sopratutto ai fini del pensiero, oltre che dell’arte e del benessere: ovvero gli altri due cardini della mia linea editoriale. Ecco allora il motivo che mi spinge  a riflettere sul tema dello sviluppo meridionale, all’interno dell’Italia.

Tralasciando le zone franche, il reddito di cittadinanza e gli incentivi al lavoro per il bistrattato e sottosviluppato suditalia, vi è un potente aggregatore di professionalità e fucina di ricchezza, sovente accontonato a sfavore di tutto il meridione: esso consiste nelle infrastrutture, di cui il comparto territoriale da Roma in giù, è sfornito o mal fornito. Mancano strumenti di collegamento veloce ed efficace nelle città meridionali; la Tav Napoli-Bari forse è ancora un miraggio, e la ferrovia che porta a Matera cosi’ come gli aerei e i treni che collegano Calabria e Sicilia, sono utopie da manuali di saggistica anti merdidionale.

Io non intravedo alcuna utilità nei sostegni al reddito ed al lavoro che esulano dalle infrastrutture fondamentali come le ferrovie, gli aereoporti, i porti e le autostrade degne di tale apposizione.

Il ponte sullo stretto di Messina pare sia pratica archiviata e l’autostrada Salerno-Reggio Calabria risulta una strettoia adeguata al transito di go cart ed automobili a media e bassa velocità.

Quanto sono inderogabili degli asset infrastrutturali per l’Italia meridionale, che creino economia legale o paralegale, e’ risaputo solo a livello teoretico; ma nessun asset extrainfrastrutturale, di importanza discreta, si forma in assenza o in scarsità di infrastrutture tanto valide quanto sostenibili. Ed intanto il 70% del Recovery fund e’ stato stornato nuovamente al nord, ad onta dell’accordo europeo di stanziarlo al sud. E’ innegabile che anche l’Italia settentrionale, in queste contingenze, necessiti della liquidita’ assicurata dal Recovery fund, in misura del 70/80%, ma e’ scoptico farlo a detrimento del meridione che ne dovrebbe ricevere il 200% per riassastarsi come Costituzione prescrive: a tal punto l’Italia intera dovrebbe riprendersi un ente interno di illimitata e garantita erogazione monetaria, cosi’ farebbe gli interessi di nord e sud.

Il buon management che punta alla creazione di valore aggiunto non prescinde dai basilari e definitivi investimenti infrastrutturali, che sono volano di crescita economica.

Chiedo nuovamente venia per la lungaggine ma, senza aziende non vengono richiesti beni e prodotti; senza di essi avviene lo stesso per i servizi; di conseguenza il lavoro scarseggia. Va tuttavia affermato che senza infrastrutture adeguate, i costi di produzione e trasporto delle merci, continuerebbero ad essere insostenibili, per ogni imprenditore svincolato dalla politica, dalla delinquenza, o dalla mera ma encomiabile follia o alta finanza. Il fatto che la finanza crea annualmente dal nulla o con speculazioni, liquidi che sono circa dieci volte il pil mondiale, per poi richiedere gabelle e affermare scarsita’ monetaria, e’ la vera tara sistemica da rimediare. https://www.facebook.com/marketplace/item/1065032380635180/




Bambino trucidato a due anni


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FERMATEVI UN ATTIMO A GUARDARE QUESTA FOTO

Immaginatevi un bambino di due anni tra le braccia di suo padre. Si chiamava Nunzio ed era il figlio di Gennaro Pandolfi, ritenuto autista di Luigi Giuliano, boss di Forcella. Il piccolo Nunzio non conosceva ancora la differenza tra il bene e il male, in quell’uomo vedeva solo il suo “eroe”, un ragazzo di ventinove anni appena uscito dall’ospedale e accolto nella sua casa del Rione Sanità a Napoli con una festa a sorpresa organizzata dalla sua famiglia. Provate a immedesimarvi in quel bambino, che voleva solo stare in braccio al suo papà e invece venne ammazzato come un boss. Quella che doveva essere una bella giornata, infatti, si trasformò in una carneficina. Era il 18 maggio 1990 quando due killer col volto coperto fecero irruzione nella loro abitazione e cominciarono a sparare all’impazzata. In pochi secondi quell’appartamento si riempì di sangue e vittime innocenti. L’obiettivo dell’agguato era Gennaro: regolamento di conti tra clan rivali. Ma i due sicari non risparmiarono nessuno, nemmeno il piccolo Nunzio: sembra ancora di sentirlo il suo pianto disperato, interrotto da un proiettile finito dritto nel suo piccolo cuore. Il cuore di un bambino di due anni che non aveva fatto male a nessuno, che non poteva gridare nemmeno “aiuto” perché non sapeva ancora parlare. Un cuoricino che quel giorno batteva forte per il ritorno del papà, e che invece si è fermato per sempre per colpa di una maledetta guerra di mafia.
Nunzio non si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Era a casa sua. Lì c’erano i suoi giochi, i suoi affetti. Quelle erano le braccia di suo padre. Quelli erano i suoi spazi, invasi da due assassini che lo hanno trucidato senza pietà. E che a cose fatte sono scappati come dei vigliacchi. Perché così fanno i mafiosi, tutti: sparano, uccidono senza guardare in faccia nessuno e dopo se la danno a gambe levate per non farsi catturare dalle forze dell’ordine. Camorra, Cosa nostra, ‘ndrangheta e così via: una feccia, questo siete. Una montagna di merda.
Se siete arrivati a leggere fino a qui, condividete questo post. Non possiamo permetterci di dimenticare Nunzio e la sua storia che ormai nessuno racconta.
Di Pino Maniaci
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mafiamerda #AccaddeOggi #Telejatononsiferma #pernondimenticare #NunzioPandolfi




Pasticci antimeridionali


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Il fatto che i vertici delle istituzioni bancarie abbiano, in numerosi casi, le tessere dei partiti, è deittico dell’immobiliasmo produttivo che ha sballato, e dopo contraddistinto, l’Italia dell’ultimo trentennio.

Il numero uno di banca Intesa, all’epoca Profumo, indì un progetto per dare l’abbrivio imprenditorial-economico al meridione malandato e nullatenente di Italia. Un bando, questo, cofinanziato dall’Europa ed imperniato sulle startup a guida politica dell’allora reggente Partito democratico. Allorchè i vincitori dei bandi per le migliori idee innovative avrebbero visto l’appoggio economico del Ministero dello sviluppo. E’ qui che, tuttavia, dopo un inizio straordinario che ha conosciuto l’affermazione a Napoli del bike-sharing, oppure la “messa in rete” di siti culturali di cittadine pugliesi per massimizzare il turismo, che tutto si è bloccato, come i fondi ministeriali a favore di quelli regionali, con l’impedimento di pagare i fornitori e le professionalità impiegate.

Il che è avvenuto per un difetto di forma brocratico-amministrativo che ha falsato l’assegnazione dei progetti ai vincitori, ed ha fatto ricadere su di essi i costi restanti con dei fidi bancari pur di trarsi in salvo sul piano giuridico rispetto alle pretese dell’Europa.

Questo scempio manageriale è stato reo di deprivare perfino la proprietà intellettuale dei progetti, ai trentenni sotto contratto, che si sono visti vanificare ilsogno “chimerico” di produrre reddito per sè e le proprie terre di appartenenza. Oltre che aver assistito al prosieguo posteriore, dei propri lavori, affidati a personale diverso, pagato dallo stesso ministero dello sviluppo.

Napoli ed i centri urbani in qualche caso, hanno cercato di ovviare e perdite accollandosi le spese di gestione dei macchinari, proprio a causa del fatto che la sede centrale della politica e dell’economia, irrora quando vuole o depriva, nell’ambito delle risorse da trasferire alla cittadinanza. Ecco allora la beffa della ripresa meridionale e della ostentata capacità politico amministrativa dei soggetti che hanno comandato l’Italia.

Sul piano manageriale, dunque, le chiavi del successo meridionale ed italiano, stanno dentro un processo di sburocratizzazione e deregolamentazione che ruotino attorno alla capacità produttiva immediata ed in prospettiva, di progetti pensati per vincere sugli altri, in termini di soldi prima o a latere, e della sostenibilità ambientale. Premettere i soldi intesi come sviluppo reale, alla sostenibilità ambientale, è l’unico volano praticabile per lo sviluppo del Sud; giacchè con la liquidità diventa facile e consequenziale, attrezzare meccanismi di effettiva sostenibilità ambientale. Inoltre in casi di complicanze del genere, burocratiche e politiche, sarebbe un imperativo categorico chiamare in causa le assicurazioni che fagocitano mastodontici capitali agli automobilisti, ai pazienti sanitari, agli anziani, al fine di risarcire le persone frodate dallo stato e dai suoi aguzzini, senza oneri aggiuntivi per l’erario. Infine siccome l’Italia possiede liquidita’ in eccesso, suffragare il finanziamento indefinito e svincolato dai fondi europei, per infrastrutture al sud, lavoro, aumenti salariali, start up e filiere industriali, sarebbe un volano di crescita incommensurabile.

Le assicurazioni che sono in Italia private e reclamano da tempo il diritto ad investire in Italia e divenire banche d’affari, dichiarava il proprietario “Nando Amicarelli” della principale agenzia Sai Unipol del meridione, dovrebbero investire su progetti decisi politicamente in qualita’ di affiancamento statale ed elusione finanziaria europea. https://www.facebook.com/marketplace/item/1065032380635180/




Turismo e nuovi record buoni


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Sono almeno 39 milioni (+12% sul 2020) gli arrivi tra italiani e stranieri stimati per l’estate con 166 milioni di presenze (+16,2%). “Il turismo italiano è fortunatamente in fase di graduale ripresa. Le nostre stime – precisa il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio, che ha realizzato un’indagine in collaborazione con l’Università del Sannio che l’ANSA pubblica in anteprima – sono prudenziali, abbiamo ricevuto segnali che il comparto potrebbe registrare incrementi dei flussi ottimisticamente più rilevanti. Il piano vaccinazioni e il green pass rappresentano un indubbio incentivo nel processo di ripresa dei flussi turistici”.
Oltre la metà di italiani hanno scelto di andare in vacanza nei prossimi mesi: il 28,7% sta pensando di programmare una vacanza per i prossimi mesi, il 20,6% ha deciso di partire anche se manifesta ancora qualche indecisione mentre solo il 4,1% ha già prenotato la villeggiatura. Prevale la vacanza “nazionalista”: l’86,8% degli italiani pronti a “fare le valigie” per andare in vacanza, la trascorreranno nel Belpaese. Sul versante opposto, il 13,2% ha scelto di recarsi oltre confine: l’11,1%, in particolare, ha in programma una meta europea mentre il 2,1% opta per una destinazione internazionale. Da evidenziare, infine, che la propensione degli italiani per una vacanza all’estero ha registrato un incremento significativo rispetto allo scorso anno, quando, in particolare, questo orientamento era stato indicato appena dal 7,8% del campione intervistato.
Saranno principalmente cinque le destinazioni regionali a trainare quest’estate la ripresa del settore turistico italiano e che, pertanto, hanno ottenuto il maggior livello di interesse nelle scelte dei turisti. In cima alle mete turistiche più ricercate dagli italiani per i prossimi mesi si posizionano, infatti, Puglia con 1,9 milioni di arrivi (+13,6%) e 10,6 milioni di presenze (33,9%), Toscana con 4,1 milioni di arrivi (+13,4%) e 19,1 milioni di presenze (23,3%), Sicilia con 1,7 milioni di arrivi (+13,2%) e 6,5 milioni di presenze (23,6%). E, ancora, Emilia-Romagna con 4,5 milioni di arrivi (+12,9%) e 23,1 milioni di presenze (26,3%), Sardegna con 1,5 milioni di arrivi (+12,8%) e 8,2 milioni di presenze (20,0%). La Campania nel 2021 ha finalmente superato la Toscana nella graduatoria relativa la balneabilita’ e la qualita’ del mare.https://www.facebook.com/marketplace/item/352129442824283/




In Germania Applicazioni genetiche virtuose


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Non solo potrebbe rilevare le mutazioni dei tumori, ma anche quelle dei virus come il SarsCov2, o le spie della resistenza agli antibiotici: sono tante le possibili applicazoni della nuova tecnica di diagnosi basata sulla Crispr, premiata nel 2020 con il Nobel per la Medicina. Descritta sulla rivista Science, la tecnica è stata messa a punto in Germania, dal gruppo del Centro Helmholtz per la ricerca sulle infezioni guidato da Chunlei Jiao, e si basa sulla scoperta di un nuovo messaggero genetico, una sorta di ‘Rna-madre’. 

Come un arciere capace di scoccare piu’ frecce contemporaneamente dal suo arco, il test per la disgnosi chiamato Leonard (Leveraging Engineered tracrRNAs and On-target DNAs for PArallel RNA Detection) è in grado di rilevare in una sola analisi più biomarcatori di una malattia. “Quando si fa l’analisi dei geni o delle varianti, normalmente si procede con un gene o una mutazione alla volta, ma in questo caso è stato messo a punto un metodo più generale, che consente di fare un’analisi simultanea di più mutazioni, geni, virus insieme”, spiega all’ANSA il genetista Giuseppe Novelli, dell’Università di Roma Tor Vergata. 

“Finora si pensava che ci fossero degli Rna specifici per una determinata sequenza, ma con questo studio si è scoperto che tutti hanno origine da una sequenza di Rna-madre, che riconosce contemporaneamente piu’ punti”. 
Con Leopard, precisa Chase Beisel, uno degli autori della ricerca, “siamo riusciti a rilevare frammenti di Rna da nove virus e a differenziare il SarsCov2 e una delle sue varianti nel campione di un paziente”. 

Secondo Olive Kurzai, che ha fornito i campioni del paziente nello studio, “questa tecnologia in futuro potrebbe rivoluzionare la diagnosi medica non solo per le malattie infettive e l’antibiotico-residenza, ma anche per il cancro e le malattie genetiche rare”. 

Il prossimo passo, secondo Novelli, sarà costruire in laboratorio questi Rna-madre “in modo da riprogrammarli e indirizzarli contemporaneamente in piu’ punti di attacco. A differenza della Crispr, questa tecnica non permette però, o almeno non si sa ancora, di correggere il Dna ed essere usata per la terapia genica, ma in futuro potrebbe essere utilizzata per fare analisi multipla di mutazioni nel cancro, oppure nelle infezioni virali dove ci sono molte mutazioni o infezioni multiple da piu’ agenti”. Si auspica a tal punto, che le terapie geniche avveniristiche non enfatizzino il concetto di artificialita’ organica propedeutico a cambiamenti sesquipedali di dna in ottica ipertransumanista. Binariamente si esorta lo stato italiano a finanziare e diffondere infrastrutture mediche pubbliche e privati al fine di massimizzare lo sviluppo di questo settore. https://www.facebook.com/marketplace/item/210286617009465/




Terziario: valore crisi e ripresa


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Per la prima volta dopo 25 anni di crescita ininterrotta, il Covid riduce la quota di valore aggiunto del terziario di quasi il 10% nel 2020 (-9,6% rispetto al 2019). Gli effetti della pandemia hanno impattato in maniera consistente anche sui consumi con quasi 130 miliardi di spesa persa, di cui l’83%, pari a circa 107 miliardi, in soli quattro settori: abbigliamento e calzature, trasporti, ricreazione, spettacoli e cultura e alberghi e pubblici esercizi.

Con forti conseguenze sull’occupazione: i servizi di mercato registrano la perdita di 1,5 milioni di unità. Questo il quadro che emerge dal rapporto dell’Ufficio studi Confcommercio “La prima grande crisi del terziario di mercato”.
All’interno del -9,6% per il valore aggiunto prodotto, i settori del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti arrivano a perdere complessivamente il 13,2%; i maggiori cali nella filiera turistica (-40,1% per i servizi di alloggio e ristorazione), seguita dal settore delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (-27%) e dai trasporti (-17,1%).
“Per la prima volta nella storia economica del nostro Paese il terziario di mercato subisce una flessione drammaticamente pesante. Occorre, quindi, che il Piano nazionale di ripresa e resilienza dedichi maggiore attenzione e maggiori risorse a sostegno del terziario perché senza queste imprese non c’è ricostruzione, non c’è rilancio”, commenta il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. E l’unico modo per attuare una reale ripresa sarebbe quello che elidere i debiti verso le attivita’ tutte dell’Italia, ricostituire le antiquate filiere industriali, innestare un social media solo statale, finanziare a pioggia, esentandoli dai debiti, tutti i settori produttivi italiani ed ampliando le infrastrutture su ogni fetta di suolo del mezzogiorno.https://www.facebook.com/marketplace/item/1065032380635180/




Nuove confische alla ‘ndrangheta’


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Beni mobili e immobili per oltre 20 milioni di euro sono stati confiscati all’imprenditore reggino Emilio Angelo Frascati ritenuto in rapporti di stretta vicinanza con la ‘ndrangheta dalla Dda guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri. La Direzione investigativa antimafia ha eseguito il provvedimento di confisca di beni emesso dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti dell’imprenditore sessantaquattrenne molto noto nel settore della grande distribuzione alimentare e del commercio di autovetture.

I beni erano stati sequestrati nel febbraio 2019. Oggi il Tribunale ha riconosciuto nei confronti di Frascati una pericolosità sociale fondata principalmente sulle risultanze dell’operazione “Fata Morgana”, poi confluita nel processo “Gotha”. L’inchiesta, coordinata dal pm Stefano Musolino, aveva portato nel 2016 all’arresto dell’imprenditore accusato di avere fatto parte della cosca Libri ponendosi, all’esito della guerra di mafia, quale espressione della ‘ndrangheta nel settore della grande distribuzione alimentare e, più in generale, dell’imprenditoria di settore.
Frascati è stato condannato, in primo grado a 13 anni e 4 mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso e turbata libertà degli incanti, aggravata dal metodo mafioso. In appello, nel gennaio scorso, la condanna è stata ridotta a 8 anni di carcere.
Numerosi collaboratori di giustizia lo hanno indicato quale imprenditore espressione della ‘ndrangheta reggina, nella sua componente più alta e rappresentativa, costituita dalla famiglia De Stefano oltre che di quella dei Libri.
Tra i beni confiscati ci sono 8 aziende nei settori della grande distribuzione alimentare, del commercio automezzi, delle costruzioni ed immobiliare. Per quattro imprese è stata disposta la confisca dell’intero capitale sociale e del patrimonio aziendale, per le altre quattro la confisca delle quote riconducibili al Frascati. Sono stati confiscati anche 20 immobili e rapporti finanziari. Il tribunale ha disposto nei confronti di Frascati la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di 3 anni e 6 mesi.

In questo momento va rammentato quanto il finanziamento mafioso sia piu’ accessibile ed immediato di quello bancario, e che le borse finanziarie di Londra e Wall Street debordano di capitali raggranellati con i metodi mafiosi, in quanto le maglie del controllo di provenienza, sono allascate rispetto all’Italia.https://www.facebook.com/marketplace/item/210340406717147/