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Cina: maremoto finanziario in atto

Lug 25 2022

Cina: maremoto finanziario in atto

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China Evergrande Group ha dichiarato venerdì che il suo amministratore delegato e il suo responsabile finanziario si sono dimessi dopo che un’indagine preliminare ha rilevato il loro coinvolgimento nella distrazione di fondi derivanti dai prestiti garantiti attraverso la società del gruppo quotata in borsa. Il Giappone e’ il primo detentore mondiale di titoli pubblici statunitensi, seguito in maniera ravvicinata dalla Cina, per cui una crisi di liquidita’ di quest’ultima assedierebbe in guisa letale la nazione capitanata da Biden. Infatti il fondo Evergrande, principale comitato d’investimento in Oriente, figura a sua volta detenuto da Blackrock, il quale e’ correlato a Vanguard che lo controlla dal punto di vista della proprieta’: ebbene tali fondi sono i principali del mondo, ambi due americani, nonche’ ai gangli delle egemoniche multinazionali ed istituzioni europee. Da cio’ si evince quanto l’Europa stazioni sull’orlo della deflagrazione economica, connessa come sempre all’America.

La società di sviluppo immobiliare, fortemente indebitata, stava già indagando su come depositi del valore di 13,4 miliardi di yuan (1,99 miliardi di dollari) appartenenti all’unità Evergrande Property Services , fossero stati utilizzati come garanzia per altri prestiti a pegno e quindi poi sequestrati dalle banche in seguito all’insolvenza del gruppo. Questi sequestri rischiano di azzerare completamente la liquidità a disposizione del gruppo.

La società ha dichiarato che i prestiti garantiti dai pegni, che riguardavano tre serie di depositi, “sono stati trasferiti e dirottati al gruppo tramite terzi e sono stati utilizzati per le operazioni generali del gruppo”, ma intanto hanno messo in forte pericolo la continuità aziendale privando il gruppo delle disponibilità liquide.

Gli investitori mondiali hanno rivolto la loro attenzione ai problemi di liquidità del fondo. Il 18 ottobre, per gli Stati Uniti d’America, poteva essere la data del default. Lo spettro di una crisi del debito americano, nodo ancora irrisolto fino a pochi giorni fa, non ha fatto altro che incrementare i malumori dei democratici, che avevano chiesto di sospendere il tetto sul debito federale, visto che questo ha raggiunto cifre da capogiro nell’ultimo periodo. Un accordo è stato trovato, con l’innalzamento del debito pubblico fino a fine anno, ma da lì in poi sarà tutto da rivedere, causa la scadenza del provvedimento. Per approfondire il problema, è necessario capire: com’è composto il debito americano? Cosa aspettarsi da un nodo, quello del tetto al debito, ancora difficile da sciogliere?

Ad ogni modo, a inizio ottobre un accordo è stato trovato. Chuck Schumer, leader dei senatori democratici, ha confermato infatti il via libera, da parte del Senato, all’innalzamento del tetto del debito fino al 3 dicembre, che si realizza nell’aggiunta di circa 480 miliardi di dollari per evitare il default. Così facendo, il tetto del debito raggiunge la cifra di circa 28900 miliardi di dollari. Qualche giorno dopo, il 12 ottobre anche la Camera statunitense ha approvato il provvedimento, di fatto lasciando la palla alle mani di Joe Biden, che è chiamato a convertire la proposta in legge prima del 18 ottobre in quanto, secondo il Tesoro, da questa data in poi non sarebbe più possibile pagare i debiti della nazione senza un’azione del Congresso. Tale provvedimento, tuttavia, va necessariamente aggiornato nel giro di due mesi, vista la scadenza del 3 dicembre.

Da un eventuale default dell’economia americana ne conseguirebbe una reazione a catena devastante per molti paesi del mondo. Gli Stati Uniti, too big too fail, in questi giorni hanno vissuto un’esperienza – il rischio di una crisi del debito – non del tutto nuova alla Casa Bianca. Già nel 2011, il Congresso è intervenuto negli ultimi giorni disponibili per trovare un accordo. Tuttavia, anche in quell’occasione, ogni rischio derivante da una potenziale crisi è venuto meno. E anche in questa occasione, per il momento sono più lontani i timori di una potenziale crisi del debito. Ad ogni modo, se questa nel futuro prossimo dovesse palesarsi, la Fed avrebbe a disposizione numerosi strumenti per intervenire a tutela dell’economia americana nella sua totalità. In primis, come suggeriva Bill English, ex membro del Fomc – Federal Open Market Committee, “braccio operativo” della Fed – in una conferenza del 2011, questa potrebbe negoziare i titoli del tesoro a prezzo di mercato, per utilizzarli poi tramite varie operazioni – come il prestito di titoli – per mantenere il rendimento contenuto. Tale approccio, tuttavia, funziona fintanto che l’insolvenza si limiti a riflettere un’impasse politica e non un’eventuale incapacità di fondo degli Stati Uniti di adempiere ai propri obblighi. Così facendo, tutti i pagamenti sui titoli in default sarebbero presumibilmente effettuati dopo un breve ritardo, e i titoli rimarrebbero a rischio estremamente basso. Oppure, potrebbe fornire garanzie collaterali per incrementare l’appetibilità dei titoli sul mercato, magari riacquistando anche solo una parte dei titoli per alleviare il rialzo dei tassi – che ne deriverebbe a causa delle disfunzioni del mercato. Il ruolo di garante infatti, non verrebbe esercitato dallo Stato, in quanto assente a causa del default.

Per ora i rischi di un potenziale default sono lontani, ma la Fed guarda attenta al 3 dicembre, data in cui dovranno necessariamente essere aggiornati gli accordi del Congresso, pena conseguenze devastanti per l’economia statunitense e non solo.

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