Gli scheletri nell’armadio di Conte


01 Ott Trump/Pompeo contro Cina/Vaticano.I rapporti di Conte con la Santa Sede dietro il suo tradimento all’alleanza atlantica.

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Donald Trump non aveva dubbi: Conte dirà di NO al 5G cinese in nome dell’alleanza atlantica. Ed è per questo, che dopo averlo convocato in America per avere rassicurazioni in merito, il presidente americano ha twittato a favore del ConteBis, affibbiando ufficialmente il soprannome di “Giuseppi” al nostro camaleontico presidente del Consiglio. Un segnale chiaro: mi hai promesso di fare quello che ti ho chiesto ed io ti ricompenso. Ma non chiedermi di ricordare anche il tuo nome, perché la cosa è irrilevante.

In effetti Conte si è affrettato, come primissimo atto del suo nuovo Governo, a riprendere il decreto del Golden Power, fortemente voluto dagli americani in funzione anti-Huawei.

Nessuno si è chiesto come mai il governo Conte2, formato con gli stessi grillini, che nel governo Conte 1 avevano minacciato di far decadere il decreto sul Golden Power – facendo perdere la faccia agli alleati leghisti con gli americani – siano gli stessi che corrono a riprendere quel decreto, come primo atto di una nuova maggioranza, dove gli unici che mancano, sono anche gli unici che volevano fortemente quel decreto. Cosa avrà detto The Donald a Conte per fulminare la sua maggioranza sulla via di Damasco e di Washington?

Qualsiasi cosa gli abbia detto. E’ stato convincente.

Le cose, però, sono presto cambiate e Conte ha deciso di tornare nuovamente sui suoi passi. Non apertamente. Non mostrando gli attributi. Non per dimostrare che non si lascia bullizzare da nessuno. Ma solo perché qualcuno deve avergli promesso di difenderlo dal bullo.

Ma come ? Eppure Mike Pompeo è stato chiaro. Chi lascia la porta aperta al colosso cinese, rischia di mettere in discussione la NATO e di interrompere i rapporti di intelligence con gli Stati Uniti. Persino il nostro Copasir aveva avvertito di prendere sul serio quelle raccomandazioni. Cosa o chi, potrebbe aver convinto Giuseppi ad afferrare il guanto di sfida?

Possibile che siano stati i Cinquestelle, i cui leader sono apertamente filocinesi, ma contro cui basta sbattere un piede per terra, per vederli scappare a gambe levate a rimangiarsi tutto quello che hanno detto un minuto prima?

Assolutamente non è credibile. E’ ovvio che sia intervenuto qualcuno capace di far sentire a Conte le spalle coperte. E chi è, che in questo momento è entrato in conflitto con Pompeo e più in generale con l’amministrazione americana?: Uno su tutti. Il Vaticano.

Ora sì che si spiega la tracotanza del governo Conte, nel chiudere la porta in faccia alle raccomandazioni americane.

Ma esistono altri elementi, per inquadrare davvero Conte, in quello che potrebbe essere definito una sorta di “partito del Papa”?

Certo che esistono e sono anche abbastanza palesi. Conte non è stato di certo estratto dal cilindro in un momento di confusione generale. Il personaggio è stato accuratamente allevato negli ambienti che contano e lasciato volutamente nell’ombra come una sorta di “cellula dormiente” da attivare al momento opportuno, per far saltare in aria schemi politici e volontà popolare, con governi creati ad hoc. Stile Monti.

Giuseppe Conte si è formato nel “tempio” del cattolicesimo democratico, nel luogo in cui erano di casa, Prodi, Mattarella….

Leggendo questi nomi pensate davvero che qualcosa sia stato lasciato al caso ? Chi era il direttore di quel circolo? Era Pietro Parolin, attuale Segretario di Stato Vaticano. Quello degli accordi con la Cina, per intenderci. Quello che a Roma ha incontrato Pompeo dopo che questi aveva incontrato Conte. Come a dire: veditela con noi, non vedertela con lui. In effetti Parolin ha sempre dimostrato di essere molto protettivo nei confronti di Conte, come quando l’ha voluto introdurre negli ambienti che contano di Civiltà Cattolica, come sottolineano i Gesuiti.

Sembrerebbe che Parolin sia stato anche premuroso nei confronti di Conte, nel consigliargli i membri della sua task force governativa per la gestione del post pandemia. Potrebbe trattarsi di una coincidenza ma non ho potuto fare a meno di notare, che proprio Parolin, insieme al futuro leader della task force di Conte, Vittorio Colao e qualche altro membro, erano insieme al Bilderberg del 2018, quindi in tempi assolutamente non sospetti.

Se le entrature in Vaticano di Giuseppe Conte sono indubbie, così come il sostegno ricevuto da personaggi di spicco come Parolin, possiamo dire altrettanto della deriva filocinese del Vaticano e quindi accendere un faro sulle reali motivazioni del cambiamento di rotta di Giuseppi, rispetto alle promesse fatte agli americani?

Scopriamolo insieme:

Mike Pompeo il 30 settembre è venuto a Roma. Avrebbe dovuto incontrare il Papa, che però non l’ha ricevuto.

Come potete vedere lo scontro tra USA e Vaticano è palese. Ma cosa c’entra la Cina?

C’entra e come. Mike Pompeo soltanto qualche settimana prima di ricevere il rifiuto del Papa, aveva pubblicato un attacco durissimo nei confronti della Santa Sede con un appello a non rinnovare gli accordi con la Cina che farebbero perdere autorità morale al Vaticano.

Nel 2018, infatti, la Cina e la Santa Sede, avevano stretto degli accordi sulla scelta dei vescovi da parte del Papa, che ufficialmente dovevano essere funzionali alla tutela dei cristiani in Cina.

Purtroppo la situazione dei fedeli (non solo cristiani) in Cina non ha fatto altro che peggiorare, per questo gli americani hanno invitato la Santa Sede a non confermare quel trattato che loro considerano un errore, perché in quel modo legittimerebbe l’inaccettabile condotta del partito comunista cinese contro la libertà di religione. Ma il Pontefice pare non ne voglia sapere di fare qualcosa che irriti i cinesi, quindi meglio non incontrare Pompeo. A questo punto, c’è chi obietta che il rifiuto del Papa sia dovuto semplicemente ad una questione di gerarchia. Ma questa tesi è smentita dal fatto che Pompeo ha già incontrato il Papa prima che scoppiasse la polemica sugli accordi con la Cina. Altri obiettano che il Papa non può incontrare il rappresentante di una amministrazione in un periodo di campagna elettorale. Ma anche questa tesi è smentita dal fatto che il Papa stesso, ricevette, ad aprile 2016, il candidato alle primarie democratiche Bernie Sanders.

C’è invece un altro fatto che rafforza la tesi secondo cui il Papa non intenda incontrare chi vuole dargli consigli o raccomandazioni in funzione anti-cinese.

Il Segretario di Stato americano, infatti, non è stato l’unico a fare un lungo viaggio verso Roma, con la speranza di incontrare il Papa. Anche l’anziano cardinale Joseph Zen, nonostante i suoi quasi 90 anni di età, si è messo in aereo da Hong Kong per raggiungere Roma ed aspettare per quattro giorni, udienza dal Papa, per convincerlo del gravissimo errore che farebbe nel nominare Peter Choi, vescovo imposto da Pechino, come nuovo vescovo di Hong Kong .

Secondo il cardinale Zen, la scelta del vescovo di Hong Kong sarà cruciale nei rapporti tra Cina e Santa Sede e sarebbe un disastro totale, per la chiesa di Hong Kong, se questa ricadesse su un vescovo filocinese. Equivarrebbe a lanciare un messaggio al mondo, di sudditanza della Santa Sede al regime di Pechino come si è già vociferato dopo che il Papa, nel suo discorso all’Angelus, diffuso dalla sala stampa vaticana, ha deciso di non fare riferimento ai cinesi impegnati nella difesa della democrazia e alla situazione delle rivolte ad Hong Kong.

In pratica: toccatemi tutto ma non la mia Cina.

Torniamo allora a Conte e al posizionamento del governo italiano nello scontro in atto tra USA e Cina. Ed al fatto che quel posizionamento passi dalla scelta del partner italiano per le infrastrutture 5G.

Giuseppe Conte, prima dell’arrivo di Pompeo ha riunito il governo. Obiettivo? Riuscire a nascondere sotto al tappeto gli accordi degli operatori italiani con il colosso cinese, almeno fino al 4 novembre, poi si vedrà. Nella migliore delle ipotesi, dopo le elezioni americane, non ci sarà più il rischio che Pompeo torni arrabbiato, chiedendo di sollevare quel tappeto.

I problemi però sono due: il primo è che quegli accordi sono abbastanza palesi e quindi troppo ingombranti per scomparire senza dare nell’occhio. Dei miei collaboratori, sono andati in giro per l’Italia dove stanno installando le antenne 5G e si nota chiaramente che sono tutte apparecchiature Huawei.

Ma lasciamo stare queste foto. Anche io a casa ho il cartone di un cellulare Huawei. Atteniamoci solo a dati ufficiali.

In questo caso, a rompere le uova nel paniere a Conte, sarebbe un’inchiesta antidumping scattata in Europa, partita da Europacable, che a nome dei produttori del settore, accusa la Cina di aver venduto in Europa cavi e infrastrutture a prezzi bassissimi, di fatto creando delle inaccettabili distorsioni della concorrenza. Dall’inchiesta si evince che ad acquistare componenti cinesi siano stati anche operatori italiani, tra cui Open fiber, la partecipata di Cassa Depositi e Prestiti che si occuperà dello sviluppo della banda larga nel nostro paese. Tra in nomi figura anche Retelit, già associata in passato, come vedremo, al nome di Conte.

Se qualcuno si meraviglia di vedere Open Fiber, partecipata da CDP in una lista di aziende che si rivolgono alla Cina forse si è perso questo passaggio (foto in basso).

Come mai in questo caso non è scattato il Golden Power per impedire che le nostre reti strategiche finissero nella mani dei cinesi? Perché erano cinesi appunto.

Sorte diversa è spettata, invece, a Retelit, solo perché in quel caso erano libici e non cinesi. Ma sulla questione Retelit dovremmo stendere un velo pietoso, grande almeno quanto il tappeto che servirebbe a Conte per nascondere agli americani gli accordi dei nostri operatori con i cinesi.

Sto per raccontarvi, una storia surreale, a tratti comica, che se la spiegassi a voce, senza poter mostrare le prove, susciterebbe ilarità tra i miei ascoltatori ed io finirei nell’alveo dei più fantasiosi complottisti.

C’era una volta un imprenditore di nome Mincione (che ora una inchiesta ci dirà se utilizzava davvero i soldi del Vaticano) il cui gruppo Fiber 4.0 si rivolse ad un avvocato di nome Giuseppe Conte, per chiedergli una consulenza per una scalata a Retelit, una compagnia di telecomunicazioni italiana. Conte suggerì – come si legge nell’articolo del Corriere della Sera (non in un blog complottista)- che la legge sulla golden power poteva essere fatta valere su Retelit. Qualche settimana dopo l’avvocato Conte fu nominato presidente del Consiglio in Italia. E che cosa fece ? Fece scattare il golden power su Retelit, come aveva consigliato al suo assistito. Niente di più elementare.

Ad attaccare Conte su questa questione, furono quelli del PD, che però nel governo successivo, dovettero fingere un’amnesia galoppante, dato che si trovarono al governo proprio con Conte.

Questo dimostra che anche l’uso del Golden Power, sarà abilmente strumentalizzato per favorire gli amici, non certamente per provare a fermare gli eventuali nemici con gli occhi a mandorla.

Voi pensate che tutto quello che ci siamo raccontati, tutti i puntini che abbiamo unito, fino ad avere un mosaico chiaro sulle fazioni in campo, sia sfuggito all’astuto e navigato Mike Pompeo, ex potente capo della CIA americana, solo perché “L’Italia è fedele all’alleato atlantico ed è saldamente ancorata ai valori delle democrazie occidentali” come gli ha detto colui che firmò per primo la via della seta ed aprì le porte al 5G cinese?

Pompeo avrà sicuramente finto di credere ad ogni singola parola, infastidito dal rumore delle unghie sugli specchi di Palazzo Chigi.