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Il Maradona di Francesco Amodeo

Nov 28 2020

Il Maradona di Francesco Amodeo

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26 Nov Quello che non vi hanno detto su Maradona e su quello che ha rappresentato. Raccontato da chi non ha mai seguito il calcio.

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Oggi il mondo intero, ma in particolare Napoli, si è svegliata con un nodo in gola e le lacrime agli occhi per la morte di Diego Armando Maradona.

Io non sono un tifoso di calcio, non lo sono mai stato, quindi ho la lucidità di riconoscere le colpe del Maradona uomo più di quanto io abbia assistito alle gesta del Maradona calciatore. E da napoletano vi posso dire che al di là di quello che vogliono farci credere i moralisti ad orologeria, il segno indelebile che Diego Armando lascia al mondo, ed in particolare alla mia città, dipende principalmente da quello che  le sue prodezze e la sua umanità hanno rappresentato fuori dal rettangolo di gioco. Chi vede Maradona come un grande sportivo ma un cattivo esempio, è perché è troppo piccolo per percepirne la grandezza. O troppo ipocrita per poter sostenere il contrario.

Maradona infatti, in più occasioni, è stato il simbolo del riscatto dei sud del mondo. Quei sud che lui ha rappresentato in ogni longitudine, dal sud America al sud Italia.

Maradona ha consacrato il suo genio ai mondiali del 1986 nella partita contro gli inglesi.

Erano gli anni in cui l’Argentina si trovava nel pieno di una devastante crisi economica a causa della giunta militare che aveva governato il paese. Erano gli anni in cui l’Inghilterra, invece, era una delle maggiori potenze del mondo, simbolo dell’imperialismo economico dominante. I due paesi si scontrarono qualche anno prima, nel 1982, in ambito militare, per il controllo sulle isole Falkland, su cui l’Argentina reclamava la sovranità, e che invece restarono all’Inghilterra. Quella sconfitta militare degli argentini, ebbe solo il merito di contribuire alla fine del sanguinoso regime militare in Argentina, ma la rabbia per le ingiustizie neo imperialiste in sud America erano più forti che mai. Il popolo argentino, in quello scontro militare con l’Inghilterra, era doppiamente vittima: dei sui governati e degli imperialisti. Due figure che furono spesso l’una l’emanazione dell’altra, con conseguenze disastrose per il popolo. Quel popolo di cui Maradona era rappresentante e idolo e che ebbe possibilità di riscatto, soltanto grazie a lui in un campo di calcio.

Siamo ai mondiali di giugno del 1986, quando il pallone lanciato in direzione di Diego Maradona si impenna e va verso il portiere inglese. A quel punto lo scontro tra le due figure diventa emblematico: l’imperialismo con la sua potenza contro il popolo con la sua genialità. Il portiere inglese è alto almeno 25 centimetri più del giocatore argentino, quel Diego Armando figlio di immigrati, mezzo indios, proveniente dal più povero dei quartieri. Il pallone sta per cadere dall’alto e Maradona sa di non poterlo colpire per primo. Ma si inventa un colpo di genio. Alza il pugno sinistro chiuso al cielo e lo schianta contro il pallone, che finisce in rete.

“La mano di dio”, la chiamerà Maradona. Proprio quella mano che sembra essere stata negata al suo martoriato popolo. Quel goal, nonostante l’irregolarità tecnica, rappresenta la vendetta calcistica su secoli di oppressione imperialista. Quel pugno rappresenta la lotta di classe, la lotta di liberazione. L’atteso riscatto. Dopo quattro minuti, ancora lui, segna quello che verrà definito il gol del secolo. Supera tutti gli avversari da solo partendo da centro campo, molti gli cadono davanti in ginocchio. Inchinati, simbolicamente, ai popoli oppressi. L’Argentina vince la partita ed in finale batterà la Germania dell’Ovest. Tutto quello che militarmente ed economicamente non sarebbe mai potuto accadere, succede grazie a Diego in un campo di calcio: l’Argentina, il sud America, sono finalmente sulla vetta del mondo.

Maradona arriverà poi in Italia, a Napoli, in quel sud bistrattato da sempre dal resto d’Italia, che vorrebbe imporgli un complesso d’inferiorità. Tutto quello di bello che nasce al sud e che ci viene invidiato, finisce per esserci tolto, proprio come quel Banco di Napoli che negli anni 80 rese possibile l’affare Maradona. Di Napoli ci invidiano tante cose che non si possono comprare, il Vesuvio, il clima, il mare, le isole. Maradona per la prima volta rappresenta, invece, qualcosa che ci invidiano e che si poteva tecnicamente comprare, ma che volutamente non si è venduto. Il più grande schiaffo della mia città all’arroganza del potere e dei soldi che l’hanno sempre fatta da padrone. Maradona dice NO a quegli Agnelli, che in quegli anni compravano tutto quello su cui poggiavano gli occhi. Quelle oligarchie che oltre al calcio avevano in pugno il nostro paese.

“Agnelli mi chiamava continuamente – confessò poi Maradona alla stampa – promettendo cifre pazzesche, gli risposi che non avrei mai potuto fare questo affronto ai napoletani, perché io mi sentivo uno di loro e non avrei mai potuto indossare in Italia altra maglia se non quella del Napoli”.

Anni più tardi, invece, quegli stessi Agnelli, soffiarono via con uno schiocco di dita un altro argentino del Napoli, a testimonianza che la differenza vera la fa l’uomo, non lo sportivo.

Come sportivo Maradona ha portato scudetti, gioie immense per i tifosi. Ma quando ha gridato al mondo che:  “Napoli non è sporca, è l’Italia che sporca Napoli”, quelle parole non hanno rappresentato uno slogan calcistico ma la rivincita di una città che non ha mai trovato voce, o per lo meno, non una voce capace di rimbombare così nel mondo.

Ed oggi la sua morte per motivi di salute, indirettamente, ma ovviamente legati alla sregolatezza della sua vita, sono l’ultimo insegnamento che lascia al mondo. Dimostrando che le conseguenze della droga sul fisico e sulla psiche ti rendono mortale anche se sei considerato un Dio. E questo è un messaggio importante, indispensabile per i più giovani. Un’altra eredità che lascia Maradona con la sua morte. Lui che ha sempre ammesso i suoi vizi, li ha pagati a caro prezzo. Diego Maradona non è morto di droga. Ma l’uso che ne ha fatto ha sicuramente influito drasticamente. Ed è questo messaggio che deve essere un monito per tanti. Chi usa quella droga schifosa lo fa generalmente con l’illusione di avere qualche istante di onnipotenza. Maradona, invece, ha sempre dimostrato in vita, di esserci caduto per il motivo opposto: il bisogno inconscio di passare tragicamente dalla dimensione sovraumana, che gli hanno sempre attribuito, a quella di uomo normale, fragile, vulnerabile, con tutte le sue debolezze.

Il 25 novembre 2020 è quindi morto un uomo. Non un super uomo. E’ morta una grande persona che lascia a tutti, sportivi e non, una eredità preziosa ed un vuoto incolmabile.

Se poi volessimo giudicare i miti, non per quello che hanno rappresentato, ma per i vizi che hanno avuto, allora dovremmo smetterla di citare Kafka, come fanno gli pseudo moralisti sulle loro bacheche, di ammirare le opere di quei geni assoluti di Leonardo Da Vinci, di Michelangelo, di D’annunzio, che di vizi, nella vita privata e nella sfera familiare, ahimè ne hanno avuti tanti.

Se gli opinionisti senza macchia e senza paura, che tanto si stanno dando da fare in queste ore, dalle pagine dei principali quotidiani, per sminuire la figura di Maradona, esaltando il suo rapporto con la droga, aprissero gli armadi dei loro editori, non troverebbero forse scheletri, ma vi assicuro che resterebbero sommersi da montagne di coca.

Francesco Amodeo autore de La Matrix Europea.FacebookTwitterWhatsAppEmailCondividi

TAGS:

argentina, calcio, coppa del mondo, diego armando, droga, francesco amodeo, imperialismo, leggenda, maradona, mito, mondiali, morte maradona, napoli, riscatto, verità

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