Le supercar italiane sconosciute

Dopo l’acquisto della Fiat da parte dell’azienda partecipata dallo stato francese Citroen Pegeout urge fare delle disamine manageriali che mortificano il sistema politico e industriale italiano, con spiragli tuttavia, di enorme ottimismo: la Fiat e’ fallita a causa del fatto che in seguito alla crisi il mercato europeo e’ sempre peggiorato per essa, che non ha effettuato reiterati aumenti di capitale come le sue rivali fra cui Citroen. La Fiat e’ una fabbrica privata come Citroen e Renault ma da sempre osteggiata dallo stato che a parte la cassa integrazione, non la compartecipa dal punto di vista degli investimenti, dei guadagni e delle perdite. La Chrysler oggi volano di crescita e stabilizzazione per Fiat e’ stata salvata con investimenti statali americani che in seguito l’ha obbligata a tutelare gli azionisti americani, gli stabilimenti e gli operai del posto, prioritariamente rispetto agli altri. Perfino la potenza egemone sul piano automobilistico, ossia Volkswagen, ha subito la stessa sorte che oggi la vede prima al mondo per vendite. Viceversa Fiat ha dovuto essere assorbita da Citroen che e’ semipubblica, giacche’ la super cedola pagata agli azionisti Fiat attesta che anziche’ fusione si tratta di acquisizione, in questi casi. Alla fine a causa di incompetenza manageriale della amministrazione italiana, la Fiat ha dovuto ripararsi sotto l’ombrello degli aiuti di stato della Francia, che in quanto azionista privilegerà’ per sempre i lavoratori, gli operai e gli stabilimenti francesi rispetto a quelli italiani. E siccome in tale operazione e’ inclusa anche la Opel irrorata da denaro pubblico tedesco con Merkel a salvaguardare i tedeschi in quanto azionista, il dado e’ tratto: Fiat e’ stata regalata agli stranieri per faziosita’ politica, invidia economica e mediocre lungimiranza manageriale. Il che comporta un forte ridimensionamento dell’indotto italiano intorno al settore automobilistico.

Per quanto avvenuto si deduce come inevitabile un ritorno del ruolo dello stato quale azionista delle fabbriche di rilievo anche private, e diventa cruciale rilanciare i venticinque grandi marchi automobilistici fatti “annegare” dalla scarsa coesione manageriale e politica relativamente agli interessi dell’Italia: riprendere sotto l’egida statale, entrare in quote azionarie e massimizzare a livello nazionale e globale i piu’ importanti marchi dell’auto obliati dalle cicliche crisi italiane, e’ un dovere in ottica salvaguardia dell’indotto, dell’auto e del mercato italiano e mondiale stanco di rivolgersi ad auto tedesche quali punti apicali di eccellenza.

Autobianchi e Innocenti erano antesignane di Mini Cooper e un misto fra Abarth e Smart, piccole potenti e belle; Isotta Fraschini era icona di lusso ed estrema raffinatezza, oltre alla de Tomaso connubio di Ferrari e Lamborghini. Se poi si allude alla Ovale come coupe’ e spider oltre le creazioni Mazda e Mg, si evince l’italianita’ che riflette stile, bellezza, potenza e personalita’. Senza pensare a omologhe Range Rover di fattura italiana ma prezzo inferiore come la Fissore che hanno reso l’Italia assolutamente indipendente dal punto di vista del fabbisogno automobilistico nei desideri della clientela. Fino alla mirabile Fornasari che aggredisce la Porsche Macan a Cayenne massimizzando la sinuosita’ e la potenza. Infine la Diatto che surclasserebbe i modelli coupe’ e spider targati Mercedes e Bmw con quella eleganza declinata in velocita’ e solidita’ che in Italia non si associano piu’ o mai lo sono state, alla Fiat casa madre di macchine senza pretese.

L’Italia deve produrre la massa monetaria bastevole a comprare e rilanciare i suddetti marchi, senza prendere denaro in prestito da una banca centrale apolide, privata e decisore finale delle somme monetarie cui l’Italia deve disporre per il proprio sempre piu’ limitato, potere industriale e commerciale…