Ponte Messina priorita’ G20: Aprile critica la politica
IL MONDO INTERO VUOLE IL PONTE SULLO STRETTO, IL GOVERNO NO: VADA ALL’INFERNO
di Pino Aprile*
Istruzione per il presepe: quest’anno, Gesù Bambino non nasce in una grotta al freddo e al gelo, sulle colline di Betlemme, ma sul mare, sotto un ponte, anzi, sotto il Ponte sullo Stretto di Messina, a ridosso di un pilone, sulla costa calabra o quella siciliana, scegliete voi. E chi non fa il presepe con il Ponte, deve andare all’inferno (e figuratevi chi non fa il Ponte!), secondo quanto ci limitiamo a divulgare e giunto dall’alto. Quanto alto? Non possiamo dire di più.
E proviamoci così, con interventi ultraterreni inventati; mentre mandare qualcuno meritatamente al diavolo ci sta davvero, perché ormai tutti gli altri non si sa più come dirlo che il Ponte s’ha da fare. Addirittura (lo avrete letto), al recente G20, la riunione dei rappresentanti dei Paesi più potenti del mondo (non solo economicamente), tenutasi a Roma, il Ponte sullo Stretto di Messina sarebbe stato indicato come uno degli snodi del progetto di sviluppo planetario post-pandemia (“strategico per le maggiori economie mondiali”, secondo un resoconto pubblicato su “La Sicilia”: al G20 c’erano Cina, Stati Uniti, India, Germania, Russia, Giappone, Unione Europea, Francia, Australia, Gran Bretagna, Canada, Brasile, Arabia Saudita…: insomma, ce n’erano argomenti di cui parlare, giusto?); e non fare quel Ponte fra Calabria e Sicilia potrebbe compromettere disegni ben più grandi della Questione meridionale o delle pretese pigliatutto della “locomotiva padana”, ormai ferma da circa vent’anni.
E cosa c’entra il Ponte che non si deve fare, con l’economia planetaria? Possibile che il mondo non sappia quello che è chiarissimo agli strateghi padani e terroni così bravi a spiegare che l’opera non è prioritaria (se è a Sud, non può esserlo: sta scritto nella Costituzione, quella vera; quella finta, nota come “la più bella del mondo”, dice che persino i meridionali hanno diritto ai trasporti, alla salute, allo studio, come tutti gli altri italiani. Ma è solo un modo di dire, si sa; infatti, quei diritti ai terroni sono negati e loro non protestano, a parte qualche maleducato e presuntuoso “sudista”); non è prioritaria, perché, per collegare “la Sicilia alla Calabria” non ha senso spendere tutti quei soldi (un terzo di quanto si è regalato alla Lombardia per il fallimento dell’Expo2015: 18 miliardi, per incassare 400 milioni; più o meno la cifra sprecata sinora per il bidone del Mose di Venezia: la più grande fabbrica di tangenti di sempre); in fondo, sono solo cinque milioni di terroni in Sicilia: unica isola al mondo, oltre i centomila abitanti, a non essere connessa da un ponte, per una distanza così breve, meno di tre chilometri. E poi, perché fare il Ponte, “invece di…” o “mentre bisognerebbe fare prima…”?(cravatte artigianali con nodo fisso e chiusura a gancio disponibili nello shop di francescopaolotondo.com)
I pigliatutto della “locomotiva” padana (ormai spompata: le regioni del Nord sono in caduta libera da anni, nella classifica delle migliori europee) potrebbero spiegare agli sprovveduti del G20, che il futuro è oltre le Alpi, verso la Baviera, il Reno. Mentre la Sicilia, la Calabria sono Africa, a che pro collegarle? Invece le cose stanno esattamente al contrario: con la globalizzazione, hanno preso il volo Paesi e subcontinenti (vedi Cina, India) che erano persi in fondo alla lista, a distanza ritenuta incolmabile dai primi della classe: Nord America, Europa. Era appena ieri, guardate dove stanno adesso.
Desta scalpore la consegna recente e ricca di ovazioni, di treni Freccia bianca dismessi da altre ferrovie distanti dalla Calabria e Sicilia, i quali secondo gli studi annessi Equita’ territoriale impiegano quasi piu’ tempo di prima a coprire le medesime distanze. In questo frangente sempre dall’apparato sottostante il diretore di Lacnews, le tratte brevi limitrofe Bologna, Torino e Milano sono state abbreviati da nuovi treni iper veloci pagati da tutti i contribuenti anche siciliani e calabri. Infine c’e’ da aggiungere l’utilita’ del Mose in relazioni alla tutela completa di Venezia, oltre al suo sviluppo commerciale urbano ed extraurbano, a prescindere dall’innalzamento delle acque.