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Putin legalizza contrabbando prodotti occidentali

Apr 26 2022

Putin legalizza contrabbando prodotti occidentali

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Secondo la agenzia riportata dal Fatto di Travaglio ora il ministero russo ha approvato l’elenco diviso in 50 gruppi di prodotti e circa 200 marchi legalmente importabili che altrimenti non potevano essere venduti sul territorio, anche per scelta volontaria delle singole industrie americane ed europee che si erano impegnate a chiudere stabilimenti e punti vendita. “Questo approccio garantirà la fornitura di beni alla Russia, anche nonostante le azioni ostili dei politici stranieri”, aveva detto Mishustin. Una prima bozza di questo provvedimento ed elenco era stata diramata il 10 marzo scorso. Comprendeva apparecchiature tecnologiche, per telecomunicazioni e mediche, veicoli, macchine agricole, apparecchiature elettriche, oltre a vagoni ferroviari e locomotive, container, turbine, macchine per il taglio di metalli e pietre, display video, proiettori, console e quadri elettrici.

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Per aggirare l’embargo era stata emanata una specifica legge che conferisce al governo il diritto di determinare elenchi di prodotti per i quali il principio internazionale dell’esaurimento dei diritti di marchio è effettivamente stabilito quando viene venduto dal proprietario in qualsiasi parte del mondo. A sostenere la legalizzazione delle importazioni parallele era stato il Servizio federale antimonopoli (FAS): “Nelle condizioni attuali, questa misura aiuterà ad aumentare il numero di entità economiche che importano merci in Russia, che satureranno il mercato interno con merci originali, oltre a ridurre i prezzi dei prodotti venduti”, aveva osservato l’agenzia in un comunicato stampa il giorno prima, citando il vice segretario di Stato capo della FAS Russia Sergey Puzyrevsky. Cosi’ Putin contrattacca ferocemente l’occidente non solo dal punto di vista monetario e finanziario, bensi’ industriale, con la conseguente promozione di matrice prettamente cinese, di produzioni locali per beni voluttari e quelli di necessita’, in un’ottica di totale autonomia russa.

Dal corrispondente del Corriere della sera sito a Berlino– «Non farò alcun mea culpa. Non è roba per me». Scatenano un putiferio in Germania le dichiarazioni al New York Times dell’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, che rivendica e difende tutte le sue scelte controverse, dall’amicizia con Vladimir Putin al mantenimento degli incarichi ben remunerati al servizio dell’industria energetica russa, al rifiuto di criticare direttamente il leader del Cremlino, condannando esplicitamente l’aggressione contro l’Ucraina. È la prima volta che Schröder parla pubblicamente dall’inizio della guerra e la gravità delle sue dichiarazioni spinge perfino la copresidente della Spd, Saskia Esken, a dire che l’ex cancelliere dovrebbe lasciare il partito socialdemocratico: «Lo abbiamo più volte invitato a lasciare i suoi incarichi nelle aziende russe, ma non ha voluto seguire il nostro consiglio. Purtroppo, agisce da molti anni soltanto come un uomo d’affari. Ora dobbiamo smettere di guardare a lui come a uno statista ed ex cancelliere», ha detto Esken, secondo cui «la sua difesa di Putin dall’accusa di crimini di guerra è assurda».

Le sanzioni antirusse hanno comunque poca voce in capitolo sulle scelte del Cremlino. Mordono quelle che hanno l’obiettivo di tagliare la Federazione Russa dal sistema bancario e finanziario internazionale. Morderebbero ancora di più se l’insieme dei Paesi occidentali applicassero con coerenza le medesime misure nei confronti dell’importazione di oli minerali (soprattutto gas) dalla Russia. Le esitazioni di alcuni (soprattutto della Repubblica Federale Tedesca) ne stanno indebolendo l’impatto.

Anche ove venissero applicate sistematicamente da tutte le parti in causa, è difficile, però, pensare che la sanzioni facciano tremare Putin e siano un’alternativa efficace a misure militari, dirette a rafforzare la resistenza Ucraina.

Dopo la Seconda guerra mondiale, sono state applicate sanzioni nei confronti del Sud Africa, Cuba, Venezuela, Corea del Nord, l’Iran, per non citare che i casi più noti. Difficile sostenere che le sanzioni siano state il veicolo che ha portato il cambiamento di sistema politico nella Repubblica del Sud Africa, dove già alla fine degli Anni Settanta l’Apartheid era macera e decotta. Negli altri casi non hanno avuto effetti di rilievo, pubblicano su “Formiche.net”

Prima della Seconda guerra mondiale, di solito si ricordano le sanzioni applicate dalla Società delle Nazioni per l’aggressione all’Abissinia (nome con cui allora veniva chiamato l’Impero d’Etiopia). Più pertinenti sono le sanzioni poste dagli Stati Uniti nel 1941 nei confronti del Giappone (embargo alle esportazioni di oli minerali verso l’Impero Nipponico) e congelamento dei conti correnti e dei fondi di giapponesi investiti negli Usa; vennero concepite come alternativa alla belligeranza. Cinque mesi dopo la decretazione delle misure, alle prime luci dell’alba del 7 dicembre 1941, una flotta di portaerei della Marina imperiale giapponese attaccò la United States Pacific Fleet e le installazioni militari statunitensi di Pearl Harbor, sull’isola di Oahu, nell’arcipelago delle Hawaii. Difficile immaginare una maggiore belligeranza ma oggi con la criptovaluta incipiente ed il sistema Fiat imperniato sulla finanza speculativa e la privatizzazione dei debiti pubblici, i paesi iniziano ad annaspare economicamente, con indici di poverta’, disoccupazione, deidustrializzazione, stallo economico, crescenti ovunque. Ecco la cagione che espone al pericolo l’intero blocco occidentale, dinanzi la fronda e la riorganizzazione della Federazione russa, coadiuvata dall’assenso della Cina e dalla mobilitazione dei Brics, nella ricerca di misure di sviluppo che eludano i nocumenti causati dal dollaro e dal suo armamentario mediatico, politico ed istituzionale.

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