I vescovi firmano per l’Italia

Dopo la due giorni nella città di Benevento, 30 vescovi dell’Italia meridionale e delle aree interne firmano il documento che, pur senza riferimenti politici, condanna i due progetti della destra. Il Vaticano li voleva rispettosi della campagna elettorale in corso. Ma non distanti dalla realtà. E quindi. No all’Autonomia differenziata. Sì ai migranti. No a quei progetti di regionalismo che “non farebbero altro che accrescere le disuguaglianze” tra cittadini della stessa nazione. Sì ai flussi migratori che possono diventare “un’opportunità” per un Paese senza più culle.

Posizioni chiarissime, quelle di un avamposto dei vescovi della Cei. Che mercoledì, al termine della due giorni di studio e confronto svoltasi nel Sannio, hanno firmato un documento che interroga la politica tutta sul tema dello spopolamento e del divario. Ma che, certo, non piacerà ai leader della destra, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che in campagna elettorale spingono rispettivamente ed esattamente su questi slogan: la presidente di Fratelli d’Italia con il resuscitato “blocco navale” contro i barconi (che non è neanche giuridicamente possibile); il leader del Carroccio con la promessa delle mani libere alle Regioni, su settori sempre più ampi della pubblica amministrazione fai-da-te.

Sono i vescovi dell’Italia meridionale e delle aree interne a tenere alta la voce, come storicamente è accaduto in altre stagioni. Accade oggi di nuovo con l’approvazione “benedicente” del presidente della Cei, l’arcivescovo Matteo Zuppi, che ha chiuso confronto e dibattito al centro “La Pace” di Benevento, aperti dal locale arcivescovo, Felice Accrocca.

Lavori tutti incentrati sul tema della grande emergenza dei comuni impoveriti dalla fuga di giovani e famiglie, e anche sui rischi di “ingiustizia” sociale che deriverebbero “al sud, ma non solo con danno al sud” da un regionalismo che non si preoccupasse prima di ripartire equamente le risorse secondo i divari oggi gravissimi, specie sui servizi sociali, la scuola, la Sanità.

Ovvero, questo i vescovi non lo dicono, il disegno che era stato sottoposto dalla ministra Gelmini nell’ultimo governo, un progetto che si fermava alla “spesa storica” senza fissare prima i Livelli essenziali di prestazione: così come chiedono in particolare i governatori del nord, Fontana, Zaia, Fedriga.
Già alla vigilia della due giorni di Benevento, il vicepresidente Cei con delega all’Italia Meridionale, monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio, si era schierato apertamente – in un’intervista a Repubblica – contro quel progetto politico, promosso innanzitutto dalla Lega.

“Sul divario civile e sulle aree interne si gioca, a mio modesto parere, tutta la partita per una democrazia matura e un’idea di civiltà. Che noi chiamiamo civiltà dell’amore – sottolineava monsignor Savino – Ecco perché dico che, per come l’hanno immaginata e per come si punta a realizzarla, questa Autonomia differenziata sia un enorme macigno gettato sulle spalle di generazioni presenti e future”.

La politica di destra spinge, quella di sinistra non si è opposta abbastanza? “Mi sembra che oggi la classe politica non abiti più i territori e soprattutto quelli periferici. Non va lì dove ci sono le più profonde contraddizioni, le povertà vecchie e le nuove”.

Il vicepresidente Cei cita anche uno studio di Matteo Prodi , in cui sono raccolte tre lettere dei vescovi italiani sul Mezzogiorno: datate 1948, poi ’89 e 2010. “Ora è anche più complesso e grave, all’indomani della pandemia, il tema del divario Nord -Sud. Ma vedo che se ne parla proprio poco, tra tanti slogan”. Ed è anche sulla sua lunga relazione, un saggio che include studi e ricerche in ambito economico e sociale, che si è svolto l’ampio confronto tra 30 vescovi provenienti da 12 Regioni d’Italia.

Che ha portato poi alla stesura del documento. “Chiediamo alla politica – dice il testo, reso pubblico mercoledì pomeriggio – interventi seri, concreti, intelligenti, ispirati da una progettualità prospettica, non viziata da angusti interessi o tornaconti elettorali: in tal senso, qualora entrasse in vigore l’Autonomia differenziata, ciò non farebbe altro che accrescere le diseguaglianze nel Paese; come comunità cristiana vogliamo crescere nella consapevolezza e nella partecipazione”. Non solo. “Le Aree interne costituiscono una larga porzione del Paese, accomunata da alcune criticità, depositaria di straordinarie ricchezze e tuttavia diversificata: sono, per analogia, come la piccola Nazareth, marginale, eppure custode della realtà più preziosa – aggiungono ancora i vescovi -. Non ci rassegniamo ad accompagnarle alla fine, in una sorta di accanimento terapeutico, ma vogliamo costituirci baluardo, forza per difenderle, dando vita a reti solidali capaci di attivare sinergie”.

Mentre infuriano i comizi nelle piazze delle città, lo sguardo di questi vescovi è fisso sulle aree dove c’è poca vita, e sui giovani costretti a lasciare le radici. L’appello è a combattere, impegnarsi. E anche ai cristiani. “Noi c’impegniamo a restare: la Chiesa non vuole abbandonare questi territori.

I vescovi italiani giacciono in una situazione di esiziale declino delle vocazioni, che aggredisce specialmente le aree periferiche. Nella provincia di Benevento, infatti, un giovane parroco di recente consacrazione, si trova a fare la spola tra piu’ chiese e paesini che, ad ogni modo, reclamano messe, attivita’ parrocchiale e confessorio; ma cio’ non e’ disponibile come prima, dati i tempi di secolarizzazione, smarrimento e laicizzazione.

Sul piano politico desta sgomento e sconforto che i vescovi meridionali non alludono, anche indirettamente, ai monopoli monetari e finanziari che impediscono di risolvere il duplice problema dell’immigrazione clandestina ed emigrazione territoriale dei giovani meridionali. Di conseguenza si evince l’ammonimento a Meloni e Salvini, i quali sbagliano a glissare, come gli ecclesiastici, sui veri nodi economici e politici che inficiano il mondo, binariamente all’Italia.