Blitz

Soltanto quindici milioni di incasso totale per un’opera d’arte cinematografica tanto attuale, che coinvolge il mondo della droga, la rutilante Londra in versione degradata, gli agenti di polizia oppressi da sindromi depressive, e quello degli psicopatici dal grilletto facile. Blitz è stato girato nel 2011 e vede rivestire i panni del protagonista, il pelato ma carismatico e prestante Jason Statham. Tale poliziotto-sergente abusa del proprio potere pestando un delinquente di basso calibro all’interno di una sala giochi.

Purtroppo tuttavia, il “delinquentuccio” in questione si vendica di ogni suo crimine perpetrando crescenti omicidi di poliziotti, che destano più scalpore proprio per il preavviso che l’assassino da ad un giornalista poco prima dell’uccisione.

Il binomio professionale che coinvolge Jason Statham, virile e quasi omofobico, proprio con un poliziotto omosessuale, si rivela come un’indovinata mossa artistica che indaga e colpisce il già pubblicizzato ed attuale “odio di genere”. Poi il tema del razzismo ben incastonato in questa trama dinamicissima giova all’adrenalina che scaturisce dalle peripezie delle vittime dell’assassino psicopatico. E inoltre la suspence per la lotta al fine di salvare la successiva vittima appartenente all’Arma dei poliziotti. Ella è un’agente donna di colore, divenuta tossicodipendente in seguito alle sue numerose operazioni di infiltrazione all’interno delle bande di spacciatori; poi c’e ‘ la salvezza della poliziotta afro operata proprio dal giovane spacciatore conosciuto durante un’operazione sotto copertura, il quale poco tempo prima di immolarsi per salvare la vita della donna, le aveva chiesto aiuto.

Insomma, nel riquadro dell’arte in generale, Blitz è un interessante esperimento che coniuga bene i temi universali con il desiderio di catarsi pubblico, e l’azione violenta contro gli assassini, gli psicopatici, magari contro i pregiudizi sociali verso i reietti occlusi nell’omosessualità, nelle discriminazioni di genere, di razza, di censo, e di lavoro. E proprio il lavoro, in cui il giornalista proposto nella pellicola, è metafora di superficialità professionale in favore di attaccamento venale pernicioso.




Il momento di uccidere

L’arte diventa sublime ma dolorosamente sferzante in questa pellicola del millenovecentonovantasei, che amalgama quattro carismatici attori da Oscar: Sandra Bullock, Mattew Mcconaughey, Samuel Jackson e Kevin Spacey.

Tratto dall’omonimo libro del sommo esponente della letteratura di stampo “legale” John Grisham, vale la pena ascrivere il Diritto di uccidere, nella bacheca dell’arte alta di classe moderna. Stracolmo di catarsi nelle scene che intercorrono tra il duplice omicidio degli stupratori della figlia del protagonista afroamericano, fino ai tenzoni tra lo sceriffo afroamericano e i membri del Ku Klux Kan che sfocia in dispute fisiche che premiano il beniamino “nero”, questo film sensibilizza su una molteplicita’ di temi universali da rammentare sempre: importanza centrale della famiglia nella vita, come spartiacque principale delle azioni e delle condotte. Infatti il gesto abominevole dello stupro, della tortura, dello spregio con l’urina ed il tentato omicidio di una bambina afroamericana di dieci anni, sara’ foriero non solo di sparatoria da parte del padre umile operaio nel Minnesota degli anni cinquanta, ma anche della sua difesa indefessa di Mccaunegay avvocato nobile e squattrinato. Ma non solo la famiglia e’ il tema universale cristallizzato nell’opera hollywoodiana cult in questione, perche’ si evince la sacralita’ del rispetto umano verso le minoranze, e sopratutto verso i cittadini afroamericani. Oltre che l’etica del lavoro e lo sposalizio con le cause giuste, nel percorso degli uomini e dei professionisti virtuosi. Infine il momento di uccidere ritrae la dignita’ della indigenza, in cui un padre disperato, lavoratore sfruttato ed oberato dalle minaccie delle banche, non si esime dal vendicare la figlia abusata e vilipesa anche a costo della pena di morte. Anche se binariamente a tali temi universali basati sulla virtu’ umana e la probità’ dell’avvocato difensore che allontana la famiglia per difenderla pur di difendere il padre di famiglia omicida, si trova anche un ritratto della societa’ corrotta nei propri gangli. Infatti il giudice aborrisce ogni tentativo discrezionale dovuto per scagionare l’omicida, pur di mantenere intatta l’ingiustizia legalizzata a sfavore delle minoranze afroamericane. E questa condotta del giudice e’ tenuta sia per una esigenza di tranquillita’ e protezione personale, dal Ku Klux Kan, sia per un razzismo recondito che guida l’America come il mondo. Cosicche’ quest’opera cinematografica metatemporale, universale e nobile nell’estromettere dal mondo i cattivi razzisti, delinquenti pedofili e stupratori di quell’America troglodita, assurge ad un compito di ricordo costante di tre cardini dell’esistenza: la giustizia vera, la deontologia professionale, l’importanza della famiglia, l’amore genitoriale, l’amicizia, l’anticorruzione e infine, l’antirazzismo. Anche se l’avvocato deve convincere la giuria e se stesso con un’arringa molto empatica in cui il pregiudizio razziale si invertiva nell’empatia e compassione proprio prendendo a paragone una bambina bianca nella disavventura ipotetica accorsa alla bambina nera. Cosi’ il genio legale si fonde nell’arte donandole un’accezione sublime in una cornice contemporanea…