Mosse antinflazione: consigli di economista

ADDOMESTICARE L’INFLAZIONE NELL’ERA DELLA DE-GLOBALIZZAZIONE e’ il mantra degli studiosi indipendenti di finanza e gestione macroeconomica, come il professor Alberto Micalizzi, tecnico apicale con un passato nella Borsa di Londra:”I Paesi occidentali sono investiti da un’ondata inflattiva che appare fuori controllo. Solo nelle ultime ore, il Regno Unito ha riportato un incremento dei prezzi al consumo del 10,1%, tornando dopo 40 anni alla doppia cifra, e la Germania un’inflazione dei prezzi industriali del +37,2%, cosa mai successa nella storia (il grafico riportato sotto evidenzia l’unicità del fenomeno).

Si badi, questa non è un’inflazione da eccesso di liquidità (troppo denaro in circolazione) bensì da scarsità di beni (poca offerta di prodotti). Deriva cioè dal fatto che i produttori di materie prime ma anche di beni industriali intermedi hanno diminuito la produzione e quindi l’offerta, per numerose ragioni, tra le quali citerei la paralisi economica seguita alle restrizioni Covid ma anche una volontà meramente speculativa da parte di cartelli internazionali di produttori e distributori.

Questo tipo di inflazione non si combatte con l’aumento dei tassi di interesse, come le Banche centrali stanno cercando di fare. Infatti, non solo l’aumento dei tassi è insostenibile a causa del livello raggiunto dai debiti pubblici dei principali Paesi occidentali, USA ed Eurozona in primis, ma, paradossalmente, tassi più elevati diminuiscono i capitali a disposizione delle imprese e riducono la capacità produttiva, finendo per contrarre ulteriormente l’offerta di beni e servizi e aumentare, anziché diminuire, l’inflazione.

Dunque, il problema si risolve espandendo l’economia reale, non contraendo quella finanziaria. Occorre cioè stimolare la produzione con l’obiettivo di aumentare l’offerta di beni con conseguente diminuzione dei prezzi.

Per fare questo ci sono due strade di fondo: agire sulla domanda interna o puntare sulla bilancia commerciale (import/export). Negli ultimi mesi il modello di globalizzazione selvaggia è entrato in crisi e ciò è testimoniato dalla contrazione dell’export di Germania e Cina (ma anche dell’Italia), le cui economie sono tradizionalmente sbilanciate sulle esportazioni. Nello scenario attuale di de-globalizzazione è dunque necessario puntare sulla domanda e sulla produzione interna, l’esatto opposto della narrativa neo-liberista.

Per un Paese come l’Italia questo richiede un piano straordinario di crescita del PIL di almeno €200 miliardi in 3 anni che punti prevalentemente su consumi interni, investimenti e spesa pubblica “produttiva”.

Per conseguire questi obiettivi occorre adottare politiche fiscali espansive, come la riduzione dell’IVA, attivare una banca pubblica di finanziamento alle imprese e raccogliere il risparmio degli italiani con modalità innovative che non espongano alla speculazione sul debito ed alle manipolazioni dello spread (a queste soluzioni farò cenno in un prossimo articolo).

In tutto questo, del Patto di Stabilità occorre fare un falò..

E’ dunque possibile riposizionarsi nel nuovo scenario di de-globalizzazione che sta prendendo forma. Quello che è mancato sinora è la volontà politica, cioè sono mancati uomini politici visionari e consapevoli del nuovo corso che la storia ha innescato”.

La verita’ apodittica che viene slatentizzata confrontanto dati e rapporti europei, premia l’Italia nell’ambito dell’avanzo primario, ossia la parte di bilancio derivante dal pagamento delle gabelle, a disposizione pubblica: negli ultimi anni l’Italia ha messo da parte oltre seicento miliardi, a fronte dei cinquecento della Germania e dei trecento e dispari della Francia, pur avendo rispettivamente venti milioni e tre milioni in piu’ di abitanti rispetto il Bel Paese. In questo scenario tali soldi non sono stati reinvestiti dalla politica all’interno della nazione, bensi’ hanno remunerato i fondi d’investimento e le banche commerciali forestiere che non hanno decurtato cosi’ il debito italiano; quest’ultimo e’ incostituzionalmente detenuto all’estero, in seguito alla separazione della Banca d’Italia e del Ministero del tesoro caldeggiata da Draghi e predecessori. Oggi l’Italia staziona in una fase di impotenza finanziaria con investimenti azionari dei propri correntisti, indirizzati all’estero. Ecco la cagione che vede il professor Malvezzi auspicare il veto politico per le banche, di prestare ed investire contemporaneamente, congiungendo speculazione ed attivita’ relative le banche di credito cooperativo.

In tutto questo pantano figura e viene allusa la Costituzione italiana decapitata, peculiarmente nei comma che obbligano lo stato a tutelare e favorire il risparmio privato, l’attivita’ di impresa ed abrogare speculazione e cessioni di sovranita’.




Blocco legislativo ai finanziamenti

E’ volonta’ del nuovo esecutivo italiano a nome Draghi, di ristrutturare il sistema imprenditoriale italiano per un nuovo slancio verso la crescita: cio’ coincide con il desiderio della Banca centrale europea di recidere i prestiti bancari alle micro, piccole e medie imprese gravate dal Covid, precedentemente dall’euro sostituendo la lira, dalla concorrenza sleale della Cina e dalla diminuzione di 20 miliardi annui-come sostiene il senatore Alberto Bagnai-agli investimenti pubblici per il lavoro alle imprese, negli ultimi anni. La spiegazione a tale processo di deflagrazione industriale della piccola e media impresa, di matrice europea, si focalizza sui presunti crediti inisigibili di imprese e cittadini, che a causa di recessione annosa e crisi altalenanti, le banche europee principali, non possono incassare. Il dato tuttavia non detto da Draghi e seguaci, relativo a tali crediti inesigibili, consiste nel fatto che le piccole e medie imprese restituiscono di norma per intero i prestiti, alla stessa stregua dei privati, mentre le multinazionali sono solite non restituire tutti gli importi dei prestiti elefantiaci che beneficiano. Draghi invece, ha la mansione euroamericana di dipanare il tessuto italiano della piccola, media e micrompresa, a suon di leggi, e finanziare solo la ripresa postcedente il Covid, di grandi imprese italiane. Allorche’ la bolla finanziaria e quelle prossime, e’ scoppiata e scoppieranno, le regole finanziarie mutarono e muteranno per legge, ma a tale mutazione non corrispose e corrispindera’ un potenziamento del lavoro, atto a pagare i prestiti dei mutui sub prime ed evitare la finanziarizzazione delle imprese, a detrimento delle produzioni fisiche. Oggi si tende con Draghi, ad organizzare un asfaltamento di imprese piccole e medie con la pletora di lavoratori che vi gravitano, teleologica alla massimizzazione delle incostituzionali macroimprese, ed alla disoccupazione incipiente che farebbe assumere in prospettiva, tali disoccupati dalle macroimprese, con regole modalita’Cina, ossia: piu’ lavoro, meno paghe, meno diritti.https://www.facebook.com/marketplace/item/598907453997358/