I trucchi sconosciuti della spesa dell’Italia

Bisogna pur capire ed affrontare in maniera legittima il tema della rivendicazione di spendere la maggior parte del gettito fiscale prodotto nelle proprie regioni, da parte delle regioni che appunto hanno una maggiore concentrazione di sedi fiscali di aziende nella propria terra. E’ tuttavia inconcepibile il fatto che in Italia i distretti produttivi siano stati invertiti in maniera totalistica a favore della zona settentrionale, nell’arco di poco piu’ che centocinquanta anni. Prima la questione della industria era affare sopratutto meridionale, con conseguente gettito fiscale odierno superiore al sud. Ed e’ stato raggiunto, tale traguardo, con la scelta miope e deliberata, di escludere le imprese meridionali dalle gare di appalto per la pubblica amministrazione finche’ appunto la questione delle industrie per la produttivita, non diventasse di pertinenza quasi esclusiva per il nord.

Un paese civile ovvierebbe a questo problema mediante un piano di costruzione infrastrutturale, aziendale e formativo, che foraggiasse il meridione in guisa diversa da ora. Ora infatti il meridione d’Italia e’ assistito ma non aiutato, in quanto non vi e’ interesse ad avere un’Italia duale ed in competizione casomai. Cosi’ si arriva alla degenerazione attuale in cui una parte d’Italia, in cui si spendono tremila euro in piu’ per cittadino rispetto all’altra parte d’Italia, reclama giustamente una porzione maggiore del gettito fiscale proveniente dalle sue imprese. Tuttavia si occulta la necessita’ di non assistere piu’ la parte meridionale d’Italia la quale e’ solo un mercato di sbocco per la parte settentrionale, bensi’ di dotarla di infrastrutture adeguate alla parte settentrionale d’Italia per garantirne uno sviluppo adeguato.

A conti fatti entrambe le estremita’ dello stivale italiano avrebbero il diritto/dovere di spendere la stessa somma, maggiorata rispetto ad oggi, per i singoli residenti. Cio’ tuttavia non avviene a causa di volonta’ politiche e manageriali che fanno dell’Italia detentrice della parte piu’ ricca d’Europa e di quella al contempo piu’ povera; il che e’ paradossale vista l’esigenza di usufruire di maggiori risorse fiscali da parte del nord, e maggiore sviluppo autonomo da parte del sud.

La prima cosa da fare al fine di unificare l’Italia sarebbe togliere il pareggio di bilancio dalla costituzione che impedisce di spendere in maniere illimitata al fine dello sviluppo da un lato, e uscire dall’euro al fine di ricreare la siddetta moneta Fiat, ossia positiva e illimitata che oggi si adopera solo a favore della finanza, anziche’ a favore delle imprese e dei cittadini come accadeva fino agli anni ottanta. Cravatta artigianale Ornella Castaldi, 100%100 italiana, chiusura con gancio e nodo fisso; 40€ su shop di francescopaolotondo.com e marketplace della pagina Facebook Francesco Tondo.




Debito pubblico e scenari migliori

Il debito pubblico italiano è asserragliato nelle grinfie dei cassieri europei che di fatto lo rifinanziano: sono queste le mosse che consentono di pagare stipendi, pensioni e servizi essenziali, al popolo italiano.

Giacchè i movimenti populisti “per definizione” minacciano la stabilità creditizia e debitoria europea, è giusto porre ad ognuno soluzioni manageriali costruttive.

Uno stato evoluto come l’Italia, potrebbe eludere i rischi di rappresaglie fiscali europee, semplicemente rilanciando un concetto cardinale della democrazia: ovvero l’entrata nel debito del proprio popolo, mediante un meccanismo di acquisto autonomo del debito.

Sembra che, sulla base di dati non vetusti, se ogni italiano acquistasse per circa tremila euro il proprio debito interno, si smantellerebbe il debito stesso; palese dunque il concetto delle clausole di salvaguardia da parte di enti europei, che solleverebbe barricate per impedire tale manovra; eppure con l’ausilio di trattative costruttive e risolute, le stesse clausole di salvaguardia potrebbero essere spalmate sui “salvatori della patria” che hanno originato il processo di acquisto del debito. Il paradosso, ora, è salvare il potere di acquisto di quella consistente fetta di popolazione che si è affidata al populismo.

Quasi ogni italiano dispone di cinquemila euro da versare per il salvataggio finanziario della sua nazione. Le trattative teoriche richiedono un forte impegno attraverso un esborso monetario, per potersi concretizzare.

Io intravedo nessuna via drastica, tuttavia l’azione perentoria da intraprendere adesso, risiede nel salvaguardare il potere di acquisto di un intero popolo, magari mediante un processo di salvaguardia e salvataggio autoctoni. In alternativa la forbice tra povertà recessiva e ricchezza improduttiva, causerà uno sprofondamento totale dell’Italia.

Giacchè risulta palese il fatto che l’Italia possegga i numeri per sedere al tavolo dei paesi più ricchi e progrediti, il baluardo contro il polulismo risiede nell’intervento finanziario privato, con una trattativa continentale realmente costruttiva. Questo scaturisce dalla verità apodittica che una guerra finanziaria non conviene a nessuno.

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