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Talento ed uguaglianza: laureati italiani assaltano i posti

Mar 20 2023

Talento ed uguaglianza: laureati italiani assaltano i posti

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Di Rita Lazzaro

“C’è una parola che riecheggia sulle bocche degli adulatori del destino. Una parola “magica”, che rappresenta il biglietto da visita perfetto per integrarsi in una società “forgiata” dalla deresponsabilizzazione, dalla privazione del dovere e dall’uguaglianza patologica. Una parola che ci giustifica ogni qualvolta non riusciamo, per carenza di volontà, a raggiungere l’obiettivo prefissato, scaricando la responsabilità sull’altro. Questa parola è il talento. Un mito che diffonde passività e sfiducia verso le proprie possibilità. Fortuna, capacità e privilegio sono alcune caratteristiche che possiamo attribuire al talento e che ne rafforzano il(dis-) valore.”
E’ così che Matteo Colnago nel libro l’atleta combattente descrive il concetto di merito.
Lei nel descrivere quest’ultimo parla di “una parola che riecheggia sulle bocche degli adulatori del destino. Una parola “magica”, che rappresenta il biglietto da visita perfetto per integrarsi in una società “forgiata” dalla deresponsabilizzazione, dalla privazione del dovere e dall’uguaglianza patologica. Una parola che ci giustifica ogni qualvolta
non riusciamo, per carenza di volontà, a raggiungere l’obiettivo prefissato, scaricando la responsabilità sull’altro.
Fortuna, capacità e privilegio sono alcune caratteristiche che possiamo attribuire al talento e che ne rafforzano il(dis-) valore.”
A tal proposito è inevitabile parlare dei tanti, troppi giovani talenti costretti ad emigrare, a lasciare la loro terra per far sì che il loro sudore, sacrifici e impegno, abbiano la più che giusta e dovuta ricompensa. Come, ad esempio, svolgere il lavoro per cui si è affrontato un percorso di studio ed essere remunerati in modo dignitoso. Purtroppo questo in Italia non succede e lo dimostrano i fatti, come la presenza di 1.232 laureati tra gli oltre 26 mila aspiranti netturbini che hanno affrontato le selezioni a Napoli. Tutti con lo stesso obiettivo: ottenere uno dei 500 posti da operatore ecologico aperti da Asia, l’Azienda di igiene urbana del capoluogo campano. E questo nonostante il bando richiedesse la sola licenza media. Oppure come il caso di Marco Morosini, 25enne di Macerata, dottore col massimo dei voti, che da tre anni fa il collaboratore scolastico a tempo determinato. E intanto studia per una seconda laurea. “Pensavo di essere quasi l’unico laureato a fare questo lavoro, ma non è così…”
Gran parte dell’informazione nel venire a conoscenza di queste situazioni anzichè indignarsi di un talento non riconosciuto, elogia una scelta costretta anziché voluta, visto che di meglio non c’è ed “almeno pagano”.
1)Lei come spiega tutto ciò?
2)Quali e quante sono le responsabilità non solo politiche ma anche sociali?
3)Cosa si dovrebbe fare per evitare i circa 31 mila (4,2 ogni mille laureati) cervelli in fuga come successo nel 2020 su 7,5 milioni di laureati?
Colnago replica:“Con questi adulatori dell’uguaglianza, io non voglio essere confuso e scambiato. Poiché così parla in me la giustizia: tutti gli uomini non sono uguali. Nemmeno dobbiamo divenir tali! In alto la vita vuol comporsi di un edificio con pilastri e giardini: essa vuole scrutare i lontani orizzonti e guardar al di la di bellezze felici, perciò vuol salire! E perché ha bisogno di altezza, le son necessari i gradini, ed il contrasto tra i gradini e coloro che li salgono! La vita vuol salire e salendo supera sé stessa!” Scrisse Nietzsche in Cosi parò Zarathustra, descrivendo in poche righe la natura dell’Uomo e la vita, lo strumento con cui egli ha la possibilità di esercitare la sua natura. Il talento non è il destino attribuito dalla concezione dogmatica o materialista della vita che determina le sorti di ogni singolo “Uomo per “gentil concessione” del Padre onnipotente o dettato dalle stelle. I talenti sono quei gradini che descritti magistralmente da Nietzsche fungono da vettore verso il proprio inconscio, trasformando la parte più lontana di noi stessi in un tesoro tangibile e rievocabile quotidianamente. Avere talento non significa attendere il Divino come vuole insegnarci Samuel Beckett; serve rievocare il Sacro in noi per raggiungere le nostre altezze ed ognuno di noi sale gradini diversi, in posti differenti con ritmi e cadenze personali. Ognuno di noi sale la sua montagna, ma non è l’altitudine che determina il talento bensi’ le modalità con cui affronta la scala delle difficoltà. Questo è il talento. Ed allora quel è la matrice della genesi della fuga di talenti? Nel “paradiso” del pensiero liberale, vi sono angeli travestiti da demoni che rivendicano arrogantemente il diritto di “eguagliare” ogni momento dell’individuo nell’esasperato tentativo di accrescere in esso il suo ego innato e smisurato che nel dettato normativo e sociale “la legge è uguale per tutti” si debba leggere la massima livellatrice “siamo tutti uguali”, così che anche i mediocri possano innalzarsi allo stesso rango dei migliori.

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In ossequio all’uguaglianza come forma di diritto universale, il pensiero liberale ha anestetizzato le differenze attribuendone un significato non virtuoso ma peccaminoso. Come recuperare la consapevolezza di noi stessi, quando ci è proibito distinguere, scegliere e preferire? In un mondo ormai senza limite serve erigere del limite affinché competenze e diversità vengano valorizzate. Uno Stato che non è in grado di discriminare non ha futuro! Quest’affermazione fa tremare i labili cuori dei narcisisti pretenziosi di possedere senza sacrificare, ma l’eziologia determina scientificamente cosa vuol dire discriminare ovvero attivarsi per distinguere i temi del pensiero oppure discernere le cose le une dalle altre. Ogni nostro pensiero, qualsiasi riflessione e tutte le nostre azioni sono discriminatorie in quanto scegliamo l’essenza con cui agire. Le opinioni sono cernite, le osservazioni cominciano scartando ciò di cui non tratta e di conseguenza “discrimina”. Una società che impara a discriminare permette di definire, classificare, valutare e quindi selezionare mediante dei parametri; nel momento in cui i limiti sono soverchiati le differenze vengono annullate e di conseguenza capacità, attitudini e virtù sono annichilite: non esiste più la qualità e l’eccellenza. Tutti possono essere ciò che non gli spetta anteponendo la possessione alla realizzazione. Seppur in parte contaminato, lo sport risulta essere il castello nella roccia della discriminazione ovvero della realizzazione delle differenze. Un esempio apparentemente scontato ma esaustivo sono le modalità di competizione di molte gare olimpioniche. Le fasi ad eliminazioni discriminano gli atleti a seconda dei risultati ottenuti, avanza chi nel dare il meglio di sé ottimizza tutte le sue risorse e quindi fa emergere il talento. Il podio è aperto a tutti ma non è per tutti. Una montagna non vieta a nessuno di scalarla ma fa in modo che solo chi è preparato può arrivare in cima. L’uguaglianza patologica è uno strumento di omologazione ed illusorio viatico di libertà che serve a sradicare le risorse umane di una nazione istigandole all’abbandono della propria Terra d’origine, così da innescare un processo di dissoluzione indentaria dove limiti e confini vengono sostituiti dal pressapochismo ed incompetenza dettate dall’arroganza pretenziosa della possessione. La stessa Atene, considerata la più compiuta delle democrazie, fondava la sua grandezza sull’evoluzione spirituale e politica amplificando il Mito dell’autoctonia, riconoscendo il legame indissolubile di un popolo alla propria Terra intesa come universo valoriale e quindi di crescita autentica dei propri cittadini. Per evitare tutto ciò dobbiamo, in primis noi, imparare a discriminare costruendo i pilastri della nostra vita, autenticando le differenze che ci contraddistinguono, lasciando nei bassi fondi i pretenziosi paladini democratici così che salendo i gradini e badando a contraddistinguere il nostro percorso con autenticità, possiamo far fiorire i nostri immensi giardini.

“Avere talento non significa attendere il Divino come vuole insegnarci Samuel Beckett; serve rievocare il Sacro in noi per raggiungere le nostre altezze ed ognuno di noi sale gradini diversi, in posti differenti con ritmi e cadenze personali”.
Parole queste su cui si dovrebbe riflettere e non poco, soprattutto quei Dio in terra, che in realtà si sono dimostrati solo meteore.

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