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Assalto con acido: uomo cerca vendetta, risponde il legale

Gen 22 2023

Assalto con acido: uomo cerca vendetta, risponde il legale

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Di Rita Lazzaro

“Presto sarà libera, mi ha giurato vendetta”.
“A me ed ai miei familiari sei lettere di minacce. Risarcimento mai ricevuto”.
“Chi dice che lei non torni a cercarmi per portare a termine il suo piano, quello di vedermi morto o sfregiato a vita, che mi sorprenda ancora con l’acido o mi aggredisca con un coltello?”.
Questo è il duro sfogo di Daniele Polacci, 30 anni, cameriere in un ristorante di piazza Gae Aulenti, “Il Dani” sui social, parla in affanno e intanto il suo pensiero va veloce alla mattina del 3 gennaio del 2020 quando Tamara Masia, la donna di 46 anni che lui aveva conosciuto in chat, dopo un paio di incontri senza sentimenti, decide di punirlo cercando di accoltellarlo e poi di sfregiarlo con l’acido per avere smesso di “corteggiarla“.
Lo spray al peperoncino, lui che si porta le mani al viso per proteggersi e poi una lingua di acido gettato in testa che gli colerà sul viso procurandogli ustioni di secondo a terzo grado sulla guancia e sul collo.
Una storia di persecuzione al punto che la  donna  dal carcere ha continuato a minacciarlo di morte e avrebbe anche tentato di assoldare un sicario, convinta di doversi vendicare del giovane che l’aveva illusa, perché amata e lasciata dopo pochi incontri.


Sei lettere, la prima cinque mesi dopo l’aggressione, proprio mentre lui si stava riprendendo anche con l’aiuto di uno psicologo, e l’ultima un anno fa, in cui la donna in uno sbocco di odio e rancore, annunciava “vendetta eterna”. Erano state anche queste lettere in cui lei esprimeva un “odio feroce e malato” a convincere il gup Manuela Cannavale a condannare Masia a due anni di carcere in abbreviato e due da scontare in una Rems. “Tre lettere erano intestate a me – dice Polacci – e due a mio padre. In tutte mi incolpava di averla fatta finire dietro le sbarre, di avere rovinato la vita a lei, che mi amava. Nelle altre invece mi accusava di averla presa in giro, delirava, minacciava anche i miei genitori. Come faccio a non vivere nel terrore sapendo che lei sta per uscire, questione di mesi: io potrei andare all’estero, ma mio padre? Mia sorella?”.
Una personalità border, così risulta dalle carte del fermo la personalità della donna.
Descritta come molto problematica che già in passato e più in occasioni aveva dato segni di questo tipo senza però  mai arrivare all’estremo di usare l’acido. Risulta, sempre dalle indagini, che la donna cercasse da giorni di mettere in atto il suo piano di vendetta. Era stata notata anche davanti al palazzo dove abitava e abita Polacci alla periferia est della città: i vicini avevano dato l’allarme. All’arrivo delle forze dell’ordine però lei si era già dileguata. Resta in sospeso anche la questione del risarcimento. “La sentenza di condanna – spiega il 30enne – prevedeva una provvisionale di 11mila euro. Io non ho ricevuto nulla, eppure di spese ne ho sostenute parecchie. Il danno e la beffa, anche se il mio tormento oggi è ancora solo lei, che urla, insulta e mi vuole morto”. Una vittima che continua a sentirsi preda del carnefice. Una vittima che vive nel terrore che il predatore, nel caso di specie la predatrice, possa nuovamente attaccare.
Una situazione allucinante ma soprattutto vergognosa per uno stato di diritto.
1)Per questo motivo ci si chiede come sia possibile tutto ciò. Quali sono le falle giuridiche e gli errori che continuano a commettere le istituzioni in difesa della vittime che si sentono sempre più vittime e abbandonate? A questa e alle prossime domande per il quotidiano nazionale Adfnews risponderà l’avvocato Maria Concetta Raponi.
“Le norme ci sono basterebbe applicarle.
 Mi spiego meglio: la lentezza della giustizia e la non certezza della pena determinano di fatto un’ingiustizia. La giustizia per essere giusta deve avere tempi brevi e le pene debbono essere certe” . Un risarcimento danni mai avuto che porta la vittima a essere vittima di un principio che ormai primeggia nella giustizia made in Italy ossia “ oltre il danno la beffa”. Vittime che si trovano a sostenere non solo le spese legali ma anche mediche, tutto di tasca propria.
Un’altra vergogna che, certamente, non fa onore a uno stato che tanto si prodiga affinché nessuno venga lasciato indietro e affinché la legalità non resti solo una valore astratto”.
2)In che modo porre rimedio a una situazione tanto squallida quanto paradossale?
“Prevedere un sostegno economico alle vittime di violenza costituendo ad esempio un fondo regionale ad hoc che, tramite una convenzione con gli ordini forensi, vada a coprire le spese legali. Per quanto riguarda le spese sanitarie prevedere un’esenzione per le prestazioni sanitarie strettamente correlate alla violenza subita”.

Una storia ben lontana dal lieto fine ma c’è anche chi, dopo la tempesta, ha ritrovato la pace. Come successo con Jessica Notaro, classe 1989, un’attivista italiana, divenuta personaggio pubblico in seguito allo sfregio al volto con l’acido compiuto dall’ex fidanzato. Tutto ha inizio il 10 gennaio del 2017 quando la donna è  stata aggredita sotto casa sua a Rimini dall’ex fidanzato Edson Tavares. La coppia si era conosciuta sul luogo di lavoro ma l’uomo presto aveva iniziato a mostrare la sua indole violenta e Jessica lo aveva quindi lasciato e denunciato. L’aggressore è stato condannato in primo grado a 18 anni di reclusione, ridotti a 15 anni in appello.
A causa dell’aggressione, Gessica ha dovuto sostenere diversi interventi chirurgici e ha perso la vista da un occhio.
Ma l’orripilante vicenda non ha tolto a Gessica nè la voglia di vivere nè tanto meno di riscatto. Infatti in seguito all’aggressione, Gessica Notaro è diventata un’attiva testimonial contro ogni violenza di genere, apparendo in programmi televisivi e su testate giornalistiche anche internazionali, come la britannica BBC, per portare avanti una campagna di sensibilizzazione sul problema della violenza alle donne, prendendo come spunto le proprie vicissitudini personali.
Nel 2017 ha pubblicato l’album Gracias a la vida ed è stata nominata Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana “per il coraggio e la determinazione con cui offre la propria testimonianza di vittima e il suo impegno nell’ambito della sensibilizzazione sul tema del contrasto alle violenze di genere”. Nel 2020 approda a Sanremo dove la riminese canta la sua storia. “Un manifesto contro la violenza”.


“Ha una storia drammatica alle spalle”. Amadeus la presentava così, la fulgida riminese. Poi racconta la sua storia: “Subisce l’aggressione del suo ex fidanzato che le getta l’acido in faccia, il gesto più vigliacco”. Tre anni dopo Gessica Notaro sale sul palco del festival di Sanremo 2020. Per cantare. “Ha una grande forza e un grande talento, amava cantare, ha dovuto interrompere questa passione, poi ha deciso di riprendere”, spiega il presentatore, che accoglie Antonio Maggio, “amico fraterno di Gessica”.
“Potevi sciogliermi i dubbi – canta con Maggio -, hai sciolto il sorriso che avevo, ma ho quello di riserva”. E ancora: “Finché c’è fiato per dire basta, c’è ancora un fiore dopo la tempesta”. La canzone si intitola ‘La faccia e il cuore’. Parole che vengono confermate ma soprattutto attuate dalla stessa cantante in risposta a
al rapper Junior Cally “ Io e Junior Cally una cosa in comune l’abbiamo: la maschera. Lui per idolatrare la violenza e fare show, io per difendermi dalla violenza subita”. Questa è la risposta di  Gessica Notaro in conclusione della conferenza stampa all’Ariston, il tutto accompagnato da due foto: la maschera di Cally in scena e la maschera di Gessica per celare le ferite dell’oltraggio con l’acido lanciatole sul viso”.
Arriviamo a quest’anno, quando nella prima settimana di novembre la Notaro riporta su instagram questo messaggio:
“Non ho mai versato una lacrima per quello che mi è successo, stavolta ho smesso di piangere poco fa”. Lacrime di gioia visto che la showgirl riminese aveva appena detto sì alla proposta di matrimonio del campione di equitazione reggiano Filippo Bologni.
Un amore da favola quello che sta vivendo oggi Gessica Notaro, che non fa male, di cui ci si fida: così lo aveva descritto tempo fa in un’intervista a Verissimo. “Non è stato complicato per me fidarmi di lui, perché quello di prima non era amore, questo è amore e l’amore è una cosa bellissima, perché averne paura?”. Fanno eco le parole della giovane imprenditrice e attivista di Rimini, considerando anche il suo passato.
Due storie che confermano quanto la violenza non abbia genere e che non è la quantità a determinare la vittima ma la sua appartenenza al genere umano, eppure ancora oggi ci sono troppi tabù e stereotipi, paradossalmente in una società che è in lotta contro gli stessi. Per questo la domanda che si pone è la seguente: una vittima che diventa simbolo di coraggio e di riscatto.
3)Da donna e da professionista sempre in trincea per la tutela dei diritti come e quanto pensa possa fungere da supporto una donna come la Notaro?
“Ritengo che la testimonianza di Jessica Notaro, così come quelle delle altre vittime di violenza sia sempre di supporto a chi sta vivendo una situazione simile perchè, per quanto si possa fare informazione e formazione, il racconto della vittima, con tutta la sua emotività e tutto il suo dolore, è molto più impattante ed arriva dritto alla pancia delle persone”.
4)Invece come e quanto pensa servirà la sua storia non solo come  riscatto delle vittime ma anche per prevenirne altre?
“Le storie raccontate da chi ha subito violenza  danno molto coraggio a chi le sta vivendo, dalla spirale della violenza si deve e si può uscire.  Spesso la paura, la vergogna, il sentirsi soli impediscono alle vittime di violenza di parlarne, di esporsi, di denunciare.
Dai racconti del vissuto delle vittime di violenza è possibile riconoscere i primi campanelli di allarme che devono mettere in allerta chi sta vivendo situazioni simili, senza magari rendersene conto, e portarli a chiedere immediatamente aiuto, così come chi è a conoscenza di vittime di episodi di violenza deve denunciare; l’indifferenza a volte può uccidere”.  
Gessica Notaro e Daniele Polacci due storie: quella di un uomo e di una donna legati però dallo stesso filo: quello di essere sfregiati da chi diceva di amarli, lasciando loro il segno di un amore malato che, però, non ha scalfito minimamente la loro dignità e voglia di vivere.

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