Search:

Morti sul lavoro: risarcimento negato per scolaro e scandali

Gen 10 2023

Morti sul lavoro: risarcimento negato per scolaro e scandali

image_pdfimage_print

Loading

Di Rita Lazzaro

Non ci sarà alcun risarcimento da parte dell’Inail ai genitori di Giuliano De Seta, lo stagista morto il 16 settembre in un incidente in fabbrica a Noventa di Piave (Venezia). A renderlo noto è la famiglia del 18enne, che rimase vittima di un incidente in fabbrica durante il periodo di alternanza scuola-lavoro, quando fu travolto e ucciso da una lastra d’acciaio. La norma prevede infatti un indennizzo solo nel caso in cui il lavoratore abbia famigliari a carico. Il giovane si trovava in azienda per uno stage e non come operaio della ditta. Il processo sul mancato indennizzo deriva, inoltre, dal fatto che il ragazzo, travolto e ucciso da una lastra di acciaio, si trovava in azienda come stagista e non come operaio della ditta dove stava svolgendo il periodo obbligatorio di alternanza scuola-lavoro. Il processo nei confronti dei quattro indagati per la morte del 18enne – che studiava in un istituto superiore di Portogruaro – è in programma il 10 marzo. Questa di San Donà di Piave (Venezia),  in cui un 18enne e’ morto  sul lavoro schiacciato da una lastra di metallo: era una dramma avvenuto all’interno di  uno stage scolastico. Una situazione tanto tragica quanto ingiusta dove si ha la prova amara di come la giustizia non sempre vada di pari passo col senso di umanità e di rispetto della vita umana. Aspetti che però paradossalmente ne dovrebbero essere l’essenza della stessa. Purtroppo la lista dei giovani morti durante uno stage non si ferma qui. Da ricordare infatti la morte di Lorenzo Parelli, il ragazzo di 18 anni ucciso da una trave d’acciaio nell’ultimo giorno di tirocinio alla Burimec di Lauzacco, in Friuli, nell’ambito del progetto di alternanza scuola-lavoro, il 21 gennaio dell’anno scorso. Una morte che ha portato proteste in Friuli Venezia Giulia e in molte città d’Italia contro l’assenza di controlli nell’alternanza scuola-lavoro.

“Questa non è scuola, non è lavoro. Vogliamo sicurezza e diritti, stop Pcto (percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) e stage che insegnano la precarietà”. E’ il messaggio della Rete degli Studenti Medi che avevano dato vita a una giornata di mobilitazione. “Lorenzo ha perso la vita durante una attività che il Ministero dell’Istruzione considerava formativa”, dice il coordinatore della “Rete degli Studenti Medi”, “non vogliamo che la sua morte passi in secondo piano”. Indignazione a quanto pare rimasta inascoltata. Non per nulla a poco più di un mese di distanza dalla morte di Lorenzo, nel febbraio dello stesso anno è la volta di Giuseppe Lenoci. Uno studente morto a 16 anni durante uno stage. Il sedicenne viaggiava a bordo di un Ford Transit guidato da un operaio di 37 anni. E tale mezzo, per cause ancora da accertare, si è schiantato contro un albero, che ha ucciso sul colpo lo studente. Ferito invece e’ risultato  l’uomo alla guida,  che e’ stato indagato dalla Procura di Ancona per omicidio colposo.

Gli studenti di Fermo a tal proposito, si sono cosi’ espressi: “Non chiamatelo incidente. Stop alternanza scuola-lavoro”. Il nome di Giuseppe Lenoci nel frattempo è stato più volte urlato dai suoi coetanei. “Non chiamatelo incidente”, hanno detto studenti e studentesse: “In meno di un mese – hanno dichiarato quelli del collettivo Depangher – è il secondo studente morto durante lo stage, stesso sistema del modello di alternanza scuola-lavoro. Entrambi mirano a sfruttare lo studente”.

Ma la morte di giovani vittime di un sistema mal gestito che vede l’alternanza scuola lavoro non è che la sua piaga che colpisce il diritto dei lavoratori. Questi ultimi purtroppo sono anche vittime dell’avidità e dell’ingordigia umana che mette il risparmio prima dell’incolumità umana mietendo così morti innocenti, la cui pecca era quella di esercitare un diritto che spetta loro,  ossia lavorare. Proprio come successo a Luana D’Orazio, la ragazza di 22 anni mamma di un bambino che rimase stritolata nell’orditoio a cui era addetta. Ebbene, secondo il giudice che due mesi fa ha condannato a due anni di reclusione Luana Coppini e a un anno e sei mesi Daniele Faggi, appare “evidente” che le “diverse manomissioni” al macchinario “sono state poste in attuazione di una medesima strategia imprenditoriale volta alla massimizzazione della produttività a discapito della sicurezza delle fasi delle lavorazioni”.

Nelle 17 pagine di motivazione della sentenza sulla suddetta morte bianca tra le piu’ clamorose della storia italiana, il gup richiama le considerazioni del consulente della Procura, che nella sua relazione aveva quantificato nella misura dell’8% i vantaggi produttivi derivanti “dall’intervenuta accertata manomissione dei macchinari che consentiva al lavoratore di accedere alle parti in movimento della macchina, senza l’impedimento della protezione, e dunque in maniera più celere seppur estremamente pericolosa”. Un terzo imputato per la morte della giovane, il manutentore Mario Cusimano, ha scelto di essere giudicato con rito ordinario: il processo si è aperto il 13 dicembre scorso, prossima udienza il 22 marzo.

E nella lunga e vergognosa mattanza di morti sul lavoro da ricordare i rider, definiti da numerosi giornalisti, semplicemente i nuovi schiavi in quanto vite umane trattate come mere macchine che hanno un solo compito: velocita’ e massimizzazione del profitto. Sebastian Galassi, rider 26enne, licenziato dalla società Glovo poiché che non aveva effettuato una consegna che gli era stata affidata. Un messaggio freddo sull’app, di quelli pre-impostati e automatici, lo informava che il rapporto di lavoro era terminato. Ma il ragazzo quel messaggio non l’ha mai letto. Infatti il ragazzo era deceduto in un incidente stradale a Firenze proprio mentre effettuava la consegna, ma ci hanno pensato i familiari a diffonderlo. L’azienda aveva detto che si era trattato di un errore e per rimediare ha promesso di pagare parte delle spese del funerale del ragazzo.

Purtroppo la morte di Galassi avvenuta il 3 ottobre del 2022 non è un caso isolato. Infatti nel marzo dello stesso anno, sempre in un incidente, a Livorno, perde la vita un altro rider, il 32enne Willy De Rose. Questo giovane era un grande appassionato di rugby: lo aveva praticato da ragazzo arrivando ad ottimi livelli nella Etruschi Livorno, poi la necessità di lavorare per una vita più stabile lo aveva costretto a trasferire l’amore per la palla ovale nel ruolo di allenatore dei ragazzini. “Mi ricordo certe mattine, quando saltavamo la scuola e andavamo al campo per vedere chi era più bravo a piazzare la palla ovale tra i pali”, ha raccontato al cronista locale Federico, il fratello maggiore di William, che fa il pizzaiolo dopo aver anche lui immaginato di lavorare come rider. William è morto a Livorno mentre a bordo dello scooter con la borsa termica, stava facendo la consegna per conto di una delle aziende che attraverso l’algoritmo cadenzano il ritmo (accelerato) della distribuzione incrociandolo con la comodità dei clienti.

Storie diverse ma tutte con tutte legate dallo stresso e amaro epilogo: la morte mentre esercitavano il diritto alla dignità, il diritto al lavoro. E risarcimenti irrisori o negati. Quel diritto che sa sempre più di sfruttamento e assenza di dignità anziché diretto a garantire una vita libera e dignitosa proprio come previsto dalla nostra Costituzione. A quanto pare anche quest’ultima morte si incanala tra i decessi avvenuti in uno stato che, nonostante questi orrori, osa ridimensionare con cesure alla spesa, la propria componente davvero “sociale”.

0 Comments
Share Post