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Stipendio in bitcoin: replica ai bancomat bloccati in Italia

Apr 20 2022

Stipendio in bitcoin: replica ai bancomat bloccati in Italia

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Bitcoin è una moneta digitale, cioè non esiste fisicamente e non è emessa da alcuna banca centrale. Essa risulta “estratta” da utenti in rete che cooperano tra di loro per risolvere complessi calcoli matematici. Qualche giorno fa, la quotazione mentre scrivevamo era di 37.115 euro, in calo dell’11,6% quest’anno. Si tratta di un asset volatile, molto rischioso per il piccolo investitore e con tanti problemi ancora irrisolti di natura normativa e fiscale. Il discorso è analogo per tutte le altre migliaia di criptovalute esistenti.

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Quali e quanti tasse sullo stipendio in Bitcoin se si volesse ricevere lo stipendio in Bitcoin, a quali rischi andrei incontro e quali opportunità mi ritroverei a cogliere e’ edotto da Giuseppe Timpone di Investire Oggi. Sul piano fiscale, che forse interessa tanti lavoratori, non esiste in Italia alcuna disciplina sul tema, bensì una serie di opinioni pubblicate dall’Agenzia delle Entrate. Il Fisco tratta le criptovalute alla stregua di valute straniere. Ne deriva che:

le imprese che acquistano Bitcoin devono pagare l’imposta del 26% sull’eventuale plusvalenza realizzata all’atto della rivendita; le persone fisiche che acquistano Bitcoin devono pagare l’imposta del 26% sull’eventuale plusvalenza realizzata, a patto che li detengano per almeno 7 giorni lavorativi consecutivi nell’anno solare per un controvalore non inferiore a 51.645,69 euro.
A tale fine, si precisa che il valore di acquisto dell’asset è considerato quello vigente l’1 gennaio dell’anno in cui avviene l’investimento.
Praticamente, i piccoli investitori raramente si troveranno a dover pagare tasse sulle criptovalute acquistate. Ciononostante, tutti sono tenuti a denunciarne gli importi acquistati sulle piattaforme exchange con sede all’estero, riportandoli nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi. Dunque, ricevere lo stipendio in Bitcoin può sembrare una mossa vincente per cercare di guadagnare ed evitare il pagamento delle imposte, in assenza di una normativa esplicita in materia.

In effetti, il lavoratore sembrerebbe non dover versare nulla al Fisco, a meno di superare gli importi sopra indicati. Nel caso in cui accadesse, il valore di “acquisto” sarebbe quello vigente l’1 gennaio dell’anno solare o la data in cui l’impresa ha versato lo stipendio in Bitcoin? E l’impresa potrebbe detrarre il valore d’acquisto dal suo reddito imponibile? Ricordiamo, però, che la disciplina generale prevede l’assoggettamento alle imposte sui redditi e ai contributi previdenziali di qualsiasi corresponsione avvenuta in conseguenza di un rapporto di lavoro. Il legislatore dovrà prima o poi intervenire sul punto.

Volatilità e sicurezza informatica sono un nodo da dipanare nel macrocosmo imminente del Bitcoin.
In primis, le criptovalute sono volatili e il lavoratore rischia di ricevere un accredito dal valore molto più basso dopo qualche ora, giorno o poco più. Viceversa, può accadere che il suo valore s’impenni. Questa seconda ipotesi è certamente in questa contingenza la regola, tuttavia non e’ fissa.

In assenza di certezze rischiamo di restare paralizzati dall’indecisione se mantenere in portafoglio l’asset o usarlo per effettuare pagamenti o ancora convertirlo in moneta fiat. Impossibile così poter ricevere l’intero stipendio in Bitcoin.
E ci sono i rischi informatici. Ad oggi, il mondo delle criptovalute si mostra vulnerabile agli attacchi cibernetici con furti finanche miliardari sulle varie piattaforme. Per contro, godremmo dell’assoluto anonimato in fase di utilizzo per l’acquisto di beni e servizi su internet e dell’estrema velocità nei pagamenti. Se il vostro capo vi corrispondesse parte dello stipendio in Bitcoin, un attimo dopo lo visualizzereste nel vostro wallet. Un bonifico bancario generalmente risulta accreditato sul conto dopo un giorno.

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