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Terrore atenei meridionali

Mag 06 2022

Terrore atenei meridionali

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È QUASI MEZZANOTTE PER GLI ATENEI DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA, riporta Roars.

È stato recentemente pubblicato uno studio della Banca d’Italia, firmato da Vincenzo Mariani e Roberto Torrini, che analizza la domanda e l’offerta di istruzione nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno e le conseguenze che ne derivano per la formazione universitaria e la disponibilità di laureati nel nostro Paese. Il lavoro, corredato da un’attenzione a dir poco selettiva per le fonti e i dati oggetto di citazione, accredita una lettura consolatoria sugli effetti positivi della riforma Gelmini. Mariani e Torrini non possono negare l’evidenza di dati impietosi sulla situazione delle università meridionali, ma consolano il lettore, sposando tutta la narrazione sulla convergenza delle università del Sud, sui meccanismi virtuosi che sarebbero finalmente innestati anche nelle università meridionali dagli incentivi previsti dalle riforme. L’obiettivo finale è mostrare che per le università del Sud non c’è stata iniquità nell’allocazione delle risorse.

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Lo studio registra l’andamento delle immatricolazioni e la caduta di immatricolati nel Meridione a partire dal 2003. L’inversione di tendenza successiva al 2013 permette al Centro-Nord di recuperare i livelli precedenti al 2003, mentre il Meridione a fine periodo, dopo la ripresa, esibisce il 15% in meno di immatricolati. Considerando che tra 2013 e 2019 la caduta demografica della popolazione tra 18 e 20 anni è stata pari all’8%, non si capisce come gli autori possano sostenere la consolatoria tesi che “la minore crescita degli immatricolati residenti nel Mezzogiorno è interamente riconducibile alla riduzione della popolazione”.

Il calo delle immatricolazioni dei giovani meridionali è stato accompagnato dalla fuga degli studenti dalle università del Sud. Dal 2004 ogni anno circa un quarto dei giovani meridionali che si immatricolano all’università lo fanno negli atenei del Centro-Nord, generando annualmente un flusso di 20-25 mila giovani emigrati che alla valigia di cartone hanno sostituito il loro laptop.

Secondo Mariani e Torrini si immatricolano alle università del sud gli studenti meno preparati e provenienti dalle famiglie con più sfavorevoli condizioni socio-economiche, “Sono gli studenti meridionali più preparati e provenienti dalle famiglie con più favorevoli condizioni socio economiche a scegliere gli atenei del Centro Nord”. Su quali basi gli Autori svolgano una simile affermazione non è dato saperlo. Perché il ricco è più bravo?

La parte sui maggiori tassi di abbandono e sui minori tassi di successo nelle università del Sud è un capolavoro. Gli Autori ricorrono a una complessa (e del tutto opaca e irriproducibile) analisi dei risultati delle prove INVALSI, ottenendo un risultato funzionale alla loro storia: “mentre nel 2020 al Centro-Nord poco meno del 33 per cento delle persone tra i 25 e 34 anni aveva conseguito un titolo universitario, nel Mezzogiorno la quota di laureati si attestava al 23 per cento, nonostante, come già ampiamente sottolineato, non vi siano differenze nella quota di giovani che avviano un percorso di laurea nelle due aree”.

Anziché notare l’allargarsi del differenziale territoriale della quota di laureati che ha accompagnato le “riforme di successo” degli ultimi 12 anni, Mariani e Torrini suggeriscono implicitamente al lettore che il Sud sta ricevendo meno perché meno è quel che merita.

Le università del Sud sono state, dunque, meritoriamente penalizzate per aver seguito quella “deriva localistica” che ha favorito “l’affermarsi di modalità di utilizzo delle risorse e nella selezione del personale poco virtuose”.

In questa versione ufficiale non c’è spazio per le famiglie impoverite che rinunciano a far studiare i figli anche a causa delle tasse universitarie più alte d’Europa; non c’è spazio per la fallimentare gestione del diritto allo studio; non c’è spazio per la crescente precarizzazione del lavoro accademico e per la fuga all’estero dei laureati e dei dottori di ricerca del Sud; non c’è spazio per un farraginoso sistema di reclutamento che non solo non è riuscito ad arginare clientelismo e malaffare, ma ha fornito un potente incentivo a comportamenti scientifici opportunisti e a cattive condotte accademiche.

Soprattutto, la ricostruzione giustificazionista di Mariani e Torrini nega che con le riforme degli ultimi anni si sia radicata una deriva che rende ormai tangibile e reale l’inaccettabile idea di un Paese che – a Costituzione invariata – ha finito per sposare nei dati e nei fatti il modello di una istruzione universitaria differenziata.

Chissà se mezzo secolo dopo il grande Pasquale Saraceno mostrerebbe sorpresa nello scoprire che la sua lungimirante e pessimistica previsione del 1972 ha finito per peccare di ottimismo.

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