Search:

Burqa aggressioni ed orgoglio: ecco la giurisprudenza

Dic 25 2022

Burqa aggressioni ed orgoglio: ecco la giurisprudenza

image_pdfimage_print

Loading

Di Rita Lazzaro

Mentre in Iran le donne scendono in piazza contro il velo, in Italia succede l’esatto opposto. “Il velo è la mia scelta e la mia dignità”: cio’ compariva su uno dei cartelli esibiti da un migliaio di bengalesi che hanno sfilato domenica mattina in centro a Mestre dopo le minacce a una donna della comunità perché indossava il velo islamico. Il corteo è sfilato pacificamente dalla stazione fino a piazza Barche in nome della libertà e dei diritti di una delle più popolose comunità straniere in città finita spesso sotto nel mirino della micro-criminalità. Già in passato si era svolto un corteo della comunità del Bangla Desh per reclamare sicurezza e protezione da parte delle istituzioni. Una manifestazione fatta dopo quanto successo a Sanuara Sarder, mamma di 29 anni di origini bengalesi, che vive in Italia da tredici anni, a Mestre.
La donna quando esce indossa il niqab, il velo che copre completamente il corpo compreso il volto, lasciando scoperti solo gli occhi. Un abbigliamento che le è costato un’aggressione. “Ero andata a trovare mia cognata – racconta – Quando sono uscita, mi sono fermata un momento nel portone con i bambini ad aspettare che mio marito e mio papà ritornassero. E lì mi sono accorta che due donne italiane, sui quarant’anni, mi guardavano, ridevano e dicevano ad alta voce: “Ma dove va quella mascherata come un fantasma? Gente come lei non dovrebbe essere in Italia”. Forse credevano che non capissi la loro lingua».
Una situazione di tensione che passa dalle parole ai fatti con l’ arrivo del padre della donna. «L’uomo si avvicina – si legge nella denuncia – chiede le motivazioni delle offese, ricevendo parole di disprezzo e sentendosi dire che se la figlia voleva andare in giro vestita in quel modo, era meglio che rimanesse a casa». Poi la donna spinge via il padre di Sanuara Sarder e quando lei fa per proteggerlo, le si para davanti al viso. «È venuta dritta contro di me provocandomi, “Toccami”, diceva, “Toccami che ti faccio vedere io”. Io non ho mosso un dito e quella mi ha sferrato un calcio sulla gamba, facendomi cadere a terra». «Non riuscivo neanche a muovermi per la paura – si legge ancora nel verbale – e all’improvviso la signora approfittando della posizione in cui ero mi ha colpita di nuovo in modo violento con un pugno sull’orecchio. Poi mi ha strappato il velo facendolo a pezzi e mettendoselo in tasca».
Una vicenda che ha portato l’indignazione della comunità bengalese, promettendo proteste e manifestazioni, di fatto avvenute.
«Portare il velo non è reato – sostengono i familiari della vittima- Anzi, è un diritto costituzionalmente garantito. È ora di smettere di terrorizzare le donne musulmane che portano il velo».
“Portare il velo non è reato”
Frase su cui riflettere e non poco, partendo proprio dal panorama legislativo italiano.
È vero, nel nostro ordinamento non esiste una norma specifica che vieti l’uso del burqa, esistono solo delle norme di carattere generico. Il loro obiettivo è di assicurare che chiunque partecipi a manifestazioni tenute in luogo pubblico o aperto al pubblico possa essere riconosciuto e non sia di ostacolo alla pubblica sicurezza.


Ma analizziamo un altro aspetto delle affermazioni dette dalla comunità bengalese.
Portare il velo non è reato anzi è un diritto costituzionalmente riconosciuto.
Ma è davvero così?
Partiamo dall’oggetto della discordia: il niqab.
Si può ben constatare che c’è un errore formale da parte della comunità senegalese, visto che la parola “velo” racchiude diverse tipologie e non solo il niqab.
Infatti comprende anche:
l’ hijab, lo chador, il khimar, la shayla, il burqa.
Ecco, forse sarebbe meglio che la comunità musulmana inizi a usare bene le parole senza far troppa confusione, essendo la loro cultura e quindi col rischio di confondere chi appartiene a ben altra come, ad esempio, quella cristiana.
E a proposito di cristianesimo, è giusto ricordare a chi invoca il Testo in difesa del velo (lato sensu) che la Costituzione della Repubblica italiana è di matrice cristiana e proprio perché cristiana riconosce un principio cardine della nostra cultura umana e giuridica:
il principio di uguaglianza formale secondo cui : “tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge e hanno pari dignità sociale senza distinzione di sesso”.
Di conseguenza stona e non poco una Costituzione che riconosce il velo islamico.
Infatti è sì vero che l’art 19 Cost. riconosce a “tutti il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume” .
E a proposito di buon costume.
È buon costume far girare per strada donne coperte dalla testa ai piedi o col viso tutto coperto salvo gli occhi?
È buon costume che la donna debba coprirsi altrimenti è vista dagli altri uomini rischiando così di essere severamente punita dal padre o dal marito?
È buon costume che la donna sia obbligata a indossare il velo?
È buon costume che le donne musulmane paghino con la stessa vita il loro “no” alla cultura d’origine?
Chiediamo, di grazia, alla comunità bengalese cosa pensa delle ultime novità su l’atroce morte di Saman Abbas.
Non per nulla il murales che la ritraeva col velo è stato rimosso, visto che è morta proprio per essersi opposta allo stesso.
Perché le comunità musulmane che minacciano manifestazioni a gogò per difendere il loro velo e la loro cultura, non sono scese in piazza per il barbaro omicidio non solo della 18 enne ma anche di Masha Amini e di tutte le altre donne uccise a colpi di pistola o bastonate al punto di non essere neppure riconosciute, solo perché non hanno indossato il velo?
Perché non dicono niente a riguardo?
A quanto pare qualcosa non torna.
Forse perché quel velo non è un semplice pezzo di stoffa ma è una storia, una cultura, un modus vivendi dove la donna è donna e l’uomo è uomo secondo il principio in cui:
la donna ubbidisce e l’uomo comanda e dove la donna si deve coprire perché è donna; l’uomo decide liberamente il suo anzi il loro abbigliamento.
Stando così le cose, la Costituzione non c’entra nulla col velo, visto che c’è un problema in radice ossia la violazione del principio di uguaglianza formale, uno dei pilastri della nostra cultura e civiltà.
E la politica? Perché tace?
Perché non ha colto l’aggressione della senegalese col velo, atto indubbiamente da condannare tanto quanto il vuoto normativo sull’uso dello stesso?
Perché non partire proprio dall’art 3 Cost?
Aggredire una persona per il suo abbigliamento è violenza, costringere una donna a indossare il velo è violenza, indossare un indumento che palesa una totale mancanza di parità di diritti tra l’uomo e la donna è violenza.
Ennesimo cortocircuito frutto di politiche serve e sottomesse impregnate di una disgustosa ipocrisia, visto che in Iran le donne muoiono per liberarsi dal velo e in Italia si scende in piazza per garantirlo in nome di una Costituzione i cui principi sono ben avulsi dallo stesso.
E chissà magari un domani per amor dell’accoglienza e della pace nel mondo anche le nostre bambine reciteranno le parole della poesia di Patrizia Defranceschi “ Sotto il burqa”.
dove una bambina si chiede come sia il volto della madre visto che lo vede di rado.
Ebbene sì,anche questa è violenza.

0 Comments
Share Post