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La autoliberazione di Napoli

Set 27 2020

La autoliberazione di Napoli

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27 SETTEMBRE 1943, LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI. I NAPOLETANI LIBERARONO LA CITTA’ DAI TEDESCHI

dal Romanzo “Il giudice e Mussolini” di Raffaele Vescera
“Liborio viaggiò nottetempo in compagnia della luna, nel silenzio d’Irpinia solo gli ululati dei cani delle masserie o forse dei lupi gli giungevano alle orecchie. Scalò il Passo di Mirabella, affrontando l’impossibile salita di Dentecane, per poi lasciare l’irta Irpinia e ritoccare terra piana. Sotto la luna gli apparve la maestosa sagoma del Vesuvio che disperdeva in cielo segnali di fumo bianco e nero, e poi ecco Napoli. Liborio si fermò alle porte della città, aveva conoscenze, riparò l’automobile in un cortile e si menò vestito su un letto per due ore di sonno.
All’alba s’avviò a piedi per raggiungere l’indirizzo dell’ultima residenza conosciuta di Maria, rifugiata a casa dell’amica Carmela. «Stai attento alle strade, i tedeschi rastrellano case e sotterranei, hanno catturato ottomila uomini, renitenti alla chiamata destinandoli ai lager di lavoro. Quelli che ritengono più colpevoli, oppure presi a caso per dare l’esempio, li uccidono. Le esecuzioni avvengono davanti all’università Federico II, la più antica del mondo, cui hanno dato fuoco per punire la nostra grande cultura, al cospetto di una folla piangente di cittadini obbligati, con le pistole puntate contro, ad applaudire la fucilazione dei condannati. Gli altri, in processione li avviano al triste destino. E stai attento al cielo, piovono bombe, gli aerei inglesi arrivano d’improvviso e non ti danno il tempo di nasconderti. Il Vesuvio ha ripreso a fumare, per pianto e per rabbia», gli dissero.
«Siamo in ballo e balliamo, ho due occhi, uno per guardare a terra e l’altro in cielo. Ho dato la parola a sua eccellenza Del Giudice e non posso mancare».
Arrivato nel cuore di Napoli dopo un lungo cammino, raggiunse la strada indicata nell’indirizzo ricevuto. Bussò inutilmente alla porta della baronessa e ridiscese quando l’ululo di una sirena mise in subbuglio il quartiere. “Stanno arrivànno, Stanno arrivànno”, travolgendolo gridava un fiume di gente in fuga dalle case per raggiungere i rifugi antiaerei. Seguì la corrente, laggiù sotto le gallerie borboniche, dov’erano ammassati a migliaia i napoletani. Ma l’allarme non era per gli aerei e neanche per l’eruzione del Vesuvio. Era arrivata prima l’eruzione di rabbia dei napoletani. Gli strazianti violini si fecero pietre, i dolci mandolini pistole, le battenti chitarre fucili, le rimbombanti tammorre bombe a mano, i sapienti cantastorie passaparola. Il coraggio passava di bocca in bocca, con la frase prima pronunciata a denti stretti, “Adesso vi facciamo vedere chi sono i napoletani”, e poi urlata a squarciagola da impareggiabili tenori. Si scatenavano le donne, per riprendersi mariti e fratelli, lanciavano giù dalle finestre mobili, arnesi, pentole d’acqua bollente, coltelli e quanto potesse colpire i tedeschi. Partirono scugnizzi e sciuscià, dalle Vie Pal uscivano guaglioni di quindici, dodici, e guagliuncièlli ‘e sèje sett’anne per riprendersi i padri al grido di currìte, currìte guagliù, lanciavano pietre con fionde sui soldati e bombe a mano, trovate chissà dove, contro i carri armati. Sbucando dai nascondigli armati di fucili, arrivarono muti gli uomini per tendere agguati mortali a ogni angolo di strada.
“S’è llèvato ‘o cappiello”, dicevano i vecchi, parlando del Vulcano che festoso lanciava lapilli per saluto ai figli insorti. Così, per quàtto jurnàte e quàtto nuttate, uòmmene, fèmmene e criature, assediarono fascisti e tedeschi che sconfitti chiedevano la resa. Napoli si scarcerava da sola, era la prima grande città a farlo, consegnandosi libera agli Alleati, mentre il Vesuvio si placava.”

“Il giudice e Mussolini” ediz. Enrico Damiani

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