L’arte intima di Antonello da Messina
Il quattrocentesco esponente dell’arte figurativa italiana Antonello da Messina, merita maggior attenzione mediatica per la propria capacità di produrre figure monumentali, perfettamente simmetriche e ricolme di ieratica espressività: ma senza mai destare, probabilmente, grandi sconquassi interni allo spettatore, affranto casomai dal dolore del messaggio epocale, schietto, religioso della sofferenza che esorta alla probità.
Importante e mirabile per il Messina, la capacità di “sconquassare” in modo estremamente discreto, l’occhio del visitatore che guarda la sofferenza, la somma espressività dei personaggi sacri come il Cristo crocifisso del dipinto “La crocifissione”, eppure senza turbare il visitatore con immagini forti, sanguinarie, bensì inducendolo a guardare, sconvolgersi e riflettere su quell’ordine entropico in cui nella simmetria e serenità del paesaggio circostante, l’anima si interroga senza scomporsi. L’anima si può interrogare senza turbarsi appunto, con quesiti semplici ma profondi, suffragata e gravata da una formale ma discreta espressività. Che sia quest’ultima da intravedere nella cornice ambientale o solo e semplicemente nello stato del corpo di Cristo in “Crocifissione”, oppure nella sua fisionomia, non è importante. Ciò che conta in Antonello da Messina è la geometria dell’espressività, alla stregua della sua profonda ed ambigua immagine morale o spirituale che affiora in essa, nella forma del corpo con un Cristo elegantemente piegato su se stesso in croce, ostentando implicitamente le immani sue sofferenze. Ed il messaggio non squarcia l’anima bensì scava in essa un piccolo solco dove l’eleganza l’ordine e la placidità del paesaggio agreste circostante, ne rendono lapalissiana la immagine e la sua funzione, nell’interno dell’anima dello spettatore. Dunque immagini ambigue e discrete ma permeanti, placide ma ai limiti dell’interrogatorio quelle che rendono il Messina universale interprete di una religiosità inconfondibile, di un dio tangibile che sfida lo sguardo altrui chiedendo il perchè del male o del bene. Tanto forte infatti appare l'”Ecce homo” con un primo piano del figlio di dio rattristato ma mai arrabbiato, come a domandare il motivo di tanto cinismo e nefandezza. Il cappio al collo ne sono testimoni infatti, di tali sciagurate azioni, eppure dio ‘è discreto, quasi rasserenante seppur fortissimo nel solco di dubbi che scava nell’animo e nelle menti altrui.
Antonello da Messina ha tratti giotteschi nelle decorazioni molto leggere dei personaggi e delle cornici paesaggistiche che vi gravitano: una pittura che in più diviene ieratica mediante gli influssi del Piero della Francesca e coniuga con essa l’arte fiamminga del tempo, la quale drammatizza le espressioni, le passioni. Ecco dunque un paradigma di cosmopolitismo pittorico in chiave italica, da parte del Messina, in seguito all’approccio con la pittura olandese presso la borbonica corte di Napoli, cui alternò permanenze a Venezia influenzandone molto l’arte con lavori pubblici sapientemente commissionatigli.
Il Salvator Mundi è forse il quadro più rappresentativo dell’artista rinascimentale, compendiato nel volto un po’ tondeggiante del Cristo, che sfida lo spettatore con la mano sinistra appoggiata al bordo di un tavolo in legno da cui egli sporge con mantello blu ed abito rosso, in atto di benedizione mediante le due dita della mano sinistra. Ma la sua placidità e serietà è disarmante allorchè sprofonda nell’ambiguità tipica di chi vuole spingere il mondo, con sguardo serioso, a riflettere e forse a mondarsi dai propri peccati; ma senza turbamenti bensì mediante la coscienza che si piega e si rammarica davanti all’onnisciente.
Messina proveniva da una famiglia aristocratica e si hanno le prove notarili di un suo contratto di apprendistato presso un incisore stimato dell’epoca, il che evidentemente ha perfezionato la conoscenza e l’approccio agli spazi in modo molto ordinato, discreto appunto, che ha edulcorato la grande spiritualità del siciliano, declinata nella religiosità intima. E forse rispetto a cio’ oggi manca quel paradigma religioso che ritorni sovente nella produzione pittorica del secondo millennio, la quale urge di una rinnovata canalizzazione per uno sperato neorinascimento che abbracci la religiosità ed evolva il concetto di dio con trame postmoderne…