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Autonomia differenziata, Cina e schiavismo: memorie e polemiche su Garibaldi massone

Feb 07 2023

Autonomia differenziata, Cina e schiavismo: memorie e polemiche su Garibaldi massone

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Allorche’ il disegno di legge sull’Autonomia differenziata di Calderoli e’ passato all’unanimita’ alla Camera, sebbene il testo sara’ operativo tra almeno un anno, l’eco di proteste localizzate nel Mezzogiorno e’ divampato in modo irreversibile. A fomentare il malcontento dei meridionalisti e dei cittadini consapevoli ed attivi, e’ stato sopratutto il giornalista, scrittore e storico Pino Aprile, con l’esemble di gruppi e Pagine social imperniate sul suo best seller “Terroni” ed il neonato ma radicato partito Equita’ Territoriale. Cosi’ e’ apparso un testo testo sul gruppo Terroni, dall’alto dei suoi oltre duecentomila iscritti, che focalizzava il revisionismo storico con il titolo Il MASSONE DEI DUE MONDI: un manoscritto che calca, in maniera discreta, l’appartenenza massonica di Giuseppe Garibaldi, con le conseguenti coperture delle proprie opere illecite od ai limiti della legalita’: o comunque l’eterodirezione di Garibaldi, se non si vuole tangere la sua entrata ufficiale nella Massoneria, da masnade massoniche focalizzate, in ultima istanza, all’espropriazione aurifera, economica, industriale e politica del rutilante Regno delle 2 Sicilie in favore del Piemonte. Il tutto mentre Calderoli ha asserito quento sui Lep, livelli minimi di prestazione (n.d.r.) da garantire costituzionalmente al sud, vi sara’ un accordo. Intanto sempre piu’ lettori, binariamente agli addetti ai lavori, si infiammano nel rivisitare la natura di Garibaldi e condividere il testo succitato. Appare cosi’, che la monarchia di Torino, oberata da debiti ineludibili detenuti sopratutto in Britannia e Francia, aveva come unica speranza di sopravvivenza, l’unificazione italiana sradicando lo strapotere spagnolo nel Suditalia; ma smantellare Napoli e meridione risultava all’epoca salvifico per le reggenze finanziarie ed aristocratiche di Londra e Parigi, le quali ravvedevano nei Borboni d’Italia, una concreta minaccia alla propria egemonia, nonche’ una fattiva nemesi ai loro primati.


Ma traspare un buco nero e infamante dell’attività di negriero del predicatore della “fratellanza universale”. Siamo nel 1850. Garibaldi, dopo la caduta della Repubblica Romana e la morte di Anita, è di nuovo in fuga e costretto ad un secondo esilio. Va in Africa, prima a Tunisi poi a Tangeri; infine si imbarca sul veliero americano Waterloo alla volta di New York ove giunge la mattina del 30 luglio. Al suo arrivo, anziché scendere dalle scalette come tutti gli altri passeggeri, è calato dalla nave, poiché immobilizzato dall’artrite, con un paranco assieme ai bauli dei passeggeri. Per qualche tempo lavorerà nella fabbrica di candele di Antonio Meucci; poi, stanco di un lavoro a lui per niente congeniale, nell’ottobre del 1851, raggiunge il Perù.

A Lima ottiene da un suo connazionale, l’armatore Pietro Denegri, il comando di una nave, la Carmen, con un equipaggio di quindici uomini. Scopo dell’ingaggio era il trasporto di un carico di guano (sterco di uccelli e ottimo fertilizzante) in Cina. Il 10 gennaio 1852, la Carmen, battente bandiera peruviana, al comando di Garibaldi, carica di guano, parte da Lima per raggiungere Canton tre mesi dopo, il 10 aprile. Dalla Cina, dopo aver venduto il fertilizzante, ripartirà per il Sudamerica con un carico di differenti generi: seta e “cineserie”.

“Pronto il carico, lasciammo Canton per Lima”, riporta Garibaldi nelle sue memorie. Ma di quale carico si trattasse non viene precisato dal nostro ‘eroe’, al contrario di altri casi dove nei suoi ricordi è pieno di dovizie di particolari. Chi, invece, è nella fattispecie prodigo di notizie e di lodi nei confronti del nizzardo è il suo armatore, Giuseppe Denegri, il quale mai si stancava di ripetere che “Garibaldi mi ha sempre portato cinesi (‘coolies’) grassi ed in buona salute”.

L’armatore era contento perché, normalmente, avveniva che l’indice di mortalità fosse altissimo: tra il 15 ed il 20% degli schiavi trasportati. Quindi, Garibaldi nel suo lavoretto da negriero era, a detta di Denegri, abbastanza umanitario, perché, durante il viaggio, trattava i ‘coolies’ più come uomini che come bestie. Praticamente, con queste affermazioni l’armatore intendeva ringraziare Garibaldi, schiavista buono, che non gli aveva deteriorato il “carico”, consentendogli così più lauti guadagni.

Ovviamente, il Denegri ometteva di dire quale fine facessero poi i coolies trasportati in genere dalle navi negriere, secondo gli usi e gli abusi di quei tempi e di quelle terre. I cinesi sbarcati a Cuba erano venduti in un apposito mercato e trattati come cani e maiali!

In Perù la situazione di quei poveretti era altrettanto tragica, in particolare per quelli impiegati nelle cave di guano (le guaneras) dove venivano sfruttati giorno e notte, sorvegliati da guardie armate per evitare che si suicidassero.

Gli estimatori e gli agiografi di Garibaldi, su questa infamante parentesi della sua vita, si prodigarono nel dire che non c’era niente di vero e che era tutta una montatura. Ma al di sopra di tutto vi è la disinteressata e anche, per quanto detto, per certi versi interessata, testimonianza del Denegri che, suo malgrado, getta un’ombra di infamante sospetto su questo “apostolo” della libertà delle razze e della fratellanza universale e mai come in questo caso il sospetto fu l’anticamera della verità. Come se son bastasse, in una intervista del 20 gennaio 1982 (sempre sul giornale la Repubblica), nel centenario della morte del plurieroe, anche Giorgio Candeloro, storico del cosiddetto Risorgimento, alla giornalista Laura Lilli che gli chiedeva una “valutazione su un Garibaldi vero, fuori retorica”, lo storico confidava: “Comunque Garibaldi, un po’ avventuriero, un po’ uomo d’azione, non era tipo da lavorare troppo a lungo in una fabbrica di candele. Va in Perú; e, come capitano di mare, prende un ‘comando’ per dei viaggi in Cina. All’andata trasportava guano (depositi di escrementi di uccelli che si trovano nelle isole al largo del Perú), al ritorno trasportava cinesi per lavorare il guano: la schiavitú in Perú era stata abolita e il guano non voleva lavorarlo più nessuno”. Insomma – afferma Candeloro – un lavoretto un po’ da negriero. E così lo storico conclude l’intervista a proposito di Garibaldi:

“Era un avventuriero, un uomo contraddittorio, fantasioso, un personaggio da romanzo“.

In sostanza il risorgimentalista Candeloro dà per scontato che la Carmen avesse trasportato ‘coolies’. Quei cinesi, come già detto, venivano venduti come bestiame, per l’esattezza “come cani e maiali”, sui mercati di carne umana di Cuba, Stati Uniti e Perú, e in quest’ultimo Paese, guarda un po’, venivano dirottati nelle cave di guano dove il manico del mestolo lo manovrava anche quel Don Pedro Denegri armatore della Carmen, la nave di Garibaldi che gli trasportava i ‘coolies’.

L’Italia è il Paese dove, qualche tempo fa, qualcuno ha definito lo stalliere di Arcore un eroe ed a questo punto non c’è tanto da meravigliarsi se, per 160 anni a questa parte, un negriero, un avventuriero, un corsaro e un predone è stato, a sua volta, dalla storiografia ufficiale e di regime, definito parimenti un eroe. Sic transit gloria mundi.
ANTONIO CIANO da IL MASSONE DEI DUE MONDI.EDITO DA “ALI RIBELLI “ DI JASON FORBUS.

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